Alcuni ragazzi che hanno frequentato facoltà “inutili” ci dicono se si sono pentiti

Ci sono due tipi di persone tra quelle che a un certo punto si troveranno a darti consigli sull’università: quelle che sostengono che si debba studiare “qualcosa di utile” e quelle che invece portano avanti l’idea secondo cui sia meglio dedicarsi “ciò che ti piace”. Se passione e utilità si sposano, il problema non sussiste. Ma il caso vuole che a 18 anni gli appassionati di ingegneria elettronica o scienze informatiche siano una minoranza, e che a quell’età è molto più probabile che si abbiano passioni vaghe per ideali vaghi e attività astratte, meglio se inutili. Come nel mio caso.

Per questo ogni anno migliaia di studenti si ritrovano a imparare concetti che non si capisce bene quale applicazione pratica potranno mai avere, e a chiedersi, tra continui ricordi di crisi e ascensore sociale bloccato, se quello che hanno studiato si tradurrà mai in stipendio. In alcuni casi, arrivando a domandarsi se a 25 anni si è troppo grandi per tentare il test d’ingresso a medicina.

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Per capire se veramente si è destinati a pentirsi di aver terminato facoltà considerate “inutili”, ho chiesto ad alcune persone che le hanno fatte di tirare le somme della loro esperienza. Ignorando deliberatamente ogni dato sul collegamento tra titolo di studio e occupazione, ho deciso di basarmi esclusivamente sul grado di diffidenza percepito negli occhi dell’interlocutore in risposta alla domanda “cosa studi?”, e ho scelto Scienze della Comunicazione, Lettere, Sociologia, DAMS e Filosofia.

SCIENZE DELLA COMUNICAZIONE

Perché l’ho scelta: In Italia Scienze della Comunicazione è denominata dal 1960 Scienze delle Merendine. Dal 1961 la definizione di Scienze delle Merendine non fa più ridere. Chi la sceglie, solitamente lo fa perché attratto dalla possibilità di monetizzare sui gusti della gente o è vittima di una forte indecisione la notte prima della chiusura delle iscrizioni. Silvia A. per esempio, che ha 27 anni e oggi lavora in una struttura alberghiera, dice di averla scelta “perché volevo fare pubblicità e, anche se non ho continuato gli studi e sono finita a fare un lavoro non prettamente legato al campo di ciò che ho studiato, non me ne sono mai pentita.” Più chiare le motivazioni di Alessandra, 23 anni e un lavoro nel mondo della comunicazione musicale, che mi dice di averla scelta a causa sì di un’indecisione post liceo classico, ma soprattutto dal desiderio di lavorare in un ufficio stampa o in qualche rivista di moda.

Cosa ho imparato: La grande pecca della facoltà, secondo Silvia, è che a livello pratico non s’impara nulla. “Magari, avendo fatto anche una tesi in marketing politico, ho imparato ad analizzare meglio quello che viene passato dai media, a guardarlo con uno sguardo più critico,” continua, “però si tratta di nozioni di cultura generale che effettivamente non hanno un risvolto pratico.” Alessandra, dal canto suo, mi dice invece di aver imparato cose bellissime sul cinema neorealista anni Cinquanta, ma soprattutto qualche concetto su pubblicità e valore di mercato—utili a capire, a posteriori, come la sua università l’ha fregata nella scelta.

Quanto è stata utile: Nonostante questo, mi dice Silvia, definirla una facoltà inutile sarebbe sbagliato e pensa che la chiave stia nel continuare gli studi e specializzarsi in un campo più preciso: “Credo che oggi servano più esperti in comunicazione che ingegneri,” conclude. Alessandra è della stessa idea e non si è mai pentita, anche se tornando indietro probabilmente frequenterebbe la stessa facoltà in un altro ateneo.

La Sapienza di Roma. Foto di Melania Andronic.


LETTERE

Perché l’ho scelta: La facoltà di lettere è quella dall’aurea più nobile, legata a doppio filo con l’idea di cultura fine se stessa, ma anche a un futuro da professore, studioso, ricercatore—tutte attività appunto nobili, ma con uno scarso appeal. A quanto pare non sempre è il caso. Martina, 28 anni, laureata in lettere moderne e oggi account in un’agenzia di pubblicità, mi dice di averla scelta “perché al liceo mi piacevano le materie umanistiche e volevo lavorare nel campo dell’editoria.” Silvia B. invece, 28 anni e un lavoro nell’ambito della comunicazione, deve la sua scelta alla passione. “Ho sempre amato leggere (e scrivere), e quando si è trattato di scegliere in quale facoltà iscrivermi, con la crisi alle porte, mi sono detta: ‘Se devo finire comunque a fare la cameriera, almeno mi godrò gli anni dell’università’!”

Cosa ho imparato: Per quanto riguarda l’eredità pratica della facoltà, Martina dice di aver fatto alcuni esami più interessanti e pratici, come laboratori sui lavori tecnici dell’ambito editoriale. Per il resto, Lettere trasmette in effetti competenze difficilmente applicabili alla vita di tutti i giorni: “Ho imparato sicuramente l’analisi dei testi e l’origine della lingua, cose che non mi sono servite nell’ambito del lavoro ma mi hanno insegnato ad andare a fondo, a farmi domande, a fare piccole ricerche e trovare risposte, cose che qualsiasi università dovrebbe insegnarti.” In quanto materia umanistica, mi dicono entrambe, il vero problema sta proprio nel contatto con il mondo del lavoro e nella mancanza di praticità.

Quanto è stata utile: Sull’utilità della laurea, sia Silvia che Martina confessano di aver messo in discussione la loro scelta a posteriori. Mentre Silvia crede che questo discorso possa però essere applicato a tutte le lauree, Martina crede che l’esperienza universitaria in quanto tale le sia stata utile, ma ha dubbi maggiori sulla facoltà scelta: “col senno di poi mi piacerebbe mettermi in gioco con qualcos’altro, anche se non posso lamentarmi di come sia poi andato il mio percorso professionale.”

SOCIOLOGIA

Perché l’ho scelta: Sociologia nel dizionario è la “Scienza che ha per oggetto i fenomeni sociali indagati nelle loro cause, manifestazioni ed effetti, nei loro rapporti reciproci e in riferimento ad altri avvenimenti.” Per me, rimane la psicologia applicata alle scienze politiche, con sbocchi professionali misteriosi. Sofia, 27 anni, in un certo senso, sembra giustificare la mia confusione: “Ammetto di averla scelta senza motivo, finito il liceo non mi era chiaro cosa volessi fare, Sociologia mi sembrava l’indirizzo con materie di studio più vario, speravo di schiarirmi le idee, forse!” Motivazioni simili hanno spinto Marco, 28 anni e oggi impiegato nelle Risorse Umane di un’agenzia di comunicazione, che indeciso tra psicologia e sociologia ha optato per quest’ultima in quanto gli “apriva più strade.”

Cosa ho imparato: “Adesso sto facendo una scuola di formazione di Counselling, quindi sto continuando su quel campo, e sociologia mi ha aperto un mondo in questo senso, mi ha insegnato ad avere un approccio totalmente diverso al sociale,” mi dice Sofia. Ovviamente continua, si tratta di nozioni teoriche più che pratiche, che devono essere approfondite con una specializzazione. Marco, a livello pratico, sembra invece vederne soprattutto le lacune: “Ho fatto esami interessanti e vari, che mi hanno dato un’infarinatura generale, ma se ti dovessi nominare una cosa pratica sinceramente non saprei cosa risponderti, forse esperienza nel fare ricerche e qualche conoscenza di alcune dinamiche del mondo del lavoro.”

Quanto è utile: Per quanto riguarda l’utilità, chiariscono entrambi che Sociologia può aprire porte a specializzazioni molto diverse, che vanno dalla pedagogia a “politica del territorio”, e il campo in cui si decide di specializzarsi è fondamentale. “Sociologia è utile se non viene vista come un prolungamento delle scuole superiori ma è motivata da un interesse per i temi trattati. Bisogna inventarsi qualcosa e proseguire gli studi con una specializzazione,” dice Sofia. Marco ha deciso di fermarsi dopo la triennale, e sull’utilità della laurea è più cauto. “Probabilmente sarei finito a lavorare in questo campo anche senza una laurea, non me ne pento, ma credo che sia stata utile più a livello personale che professionale.” Comunque, si dice contento del suo lavoro e anche tornando indietro Sociologia rimane la facoltà che meglio si addice ai suoi interessi.

Foto via Flickr.

DAMS

Perché l’ho scelta: Il DAMS, inutile nasconderlo, è considerata la facoltà inutile per eccellenza, quella colpevole—o meritevole—di ergere a “materie di studio” soggetti che la maggior parte delle persone si limita a considerare “hobby”. Quest’idea sembra confermata da Giacomo, 31 anni, oggi programmatore. “All’epoca ero molto appassionato di cinema e ho voluto studiare qualcosa che mi piaceva, pensando che nel caso le cose fossero andate male avrei avuto le mie conoscenze informatiche come paracadute.” La passione sembra ciò che ha spinto anche Laura, 29 anni e oggi impegnata nell’organizzazione di eventi: “Mi piaceva l’arte, e avevo la vaga idea di voler lavorare per una rivista d’arte e frequentare mostre, in qualche modo questo mi ha portata a fare arte visive al DAMS invece che storia dell’arte, che consideravo troppo ‘seria’.”

Cosa ho imparato: Giacomo mi dice di aver imparato “un po’ di storia del cinema e come funzionano alcuni meccanismi all’interno di quel mondo,” chiarendo però che si tratta di cose che per l’80 percento avrebbe potuto imparare a casa e che non si sente di definire prettamente “pratico” ciò che ha studiato. Simile il giudizio di Laura, il cui insegnamento principale lasciato dall’università rimane, a posteriori, “che ci avrei dovuto perdere qualche anno di più e godermi di più quel periodo, approfittarne magari per creare contatti e frequentare di più le possibilità che mi venivano offerte a livello di attività extracurriculari.”

Quanto è utile: Laura, nonostante non si senta di definire utile di per sé quello che ha studiato, si dice soddisfatta della sua scelta, che le ha permesso, oggi, di fare un lavoro che le piace e di cui senza aver frequentato il mondo del DAMS probabilmente non sarebbe neanche a conoscenza. Più severo il giudizio di Giacomo, che mi dice che tornando indietro studierebbe qualcos’altro: “Non necessariamente di più pratico, semplicemente qualcosa che sono sicuro di non poter imparare da solo, anche perché negli anni i miei interessi sono cambiati.” Tuttavia, crede che il DAMS non sia meno utile di altri corsi umanistici, anche se, dice, quello dell’utilità non dovrebbe essere l’unico criterio di scelta.

FILOSOFIA

Perché l’ho scelta: Su filosofia girano cliché così noti e longevi che non avrebbe bisogno di introduzioni. Quelli che posso confermare per esperienza personale, è che la scelgono le persone molto intelligenti e particolari, che c’è molta più matematica di quanto non si pensi, e che dietro la scelta di questa facoltà c’è al 99,7 percento un bravo professore di liceo apertamente di sinistra che ti raccomandava con tono cinico di non studiarla. Riccardo, 27 anni, oggi lavora in una casa di produzione televisiva, e mi dice di averla scelta perché aveva “bisogno di arricchirsi a livello personale,” e perché nessuna facoltà umanistica avrebbe assicurato comunque un lavoro. Un po’ quello che sostiene Antonella, laureata in filosofia e oggi editor di Motherboard, che mi dice che nella sua carriera scolastica è stata l’unica materia a suscitarle interesse, e che “essendo una persona decisamente paranoica avevo bisogno di acquisire degli schemi mentali astratti per imparare a vincere sui miei pensieri. Devo dire che in un certo senso ci sono riuscita.”

Cosa ho imparato: Riccardo ha seguito un percorso incentrato sull’estetica, e dice di aver imparato quindi “che il brutto sotto ogni forma—estetica, morale, etica—genera violenza, e nel mio lavoro cerco di mantenere saldo questo principio tentando di scovare la ‘bellezza’ per gli occhi, per la testa e per l’anima in quel ‘locus horridus’ che è, a volte, la tv italiana.” Antonella ammette di non aver imparato niente di propriamente pratico, ma non per questo è pentita, e tornando indietro sceglierebbe ancora filosofia—anche perché, mi spiega, economia alla Bocconi sarebbe stata sicuramente peggio.

Quanto è stata utile: Sull’utilità di Filosofia, nonostante l’attestata limitata praticità, sia Antonella che Riccardo sono positivi. Da una parte, Antonella dice che in relazione a ciò che le interessava imparare le è servita molto e ne riconosce sia pregi che limiti: “Chi fa Giurisprudenza o Economia ha una visione del mondo più pratica ma non per questo meno approfondita. Viviamo in un mondo fatto di leggi e di giri di soldi, in fondo.” Anche Riccardo si dice soddisfatto della facoltà che ha scelto, che alla lunga ha avuto una grande importanza, anche se non diretta, nel lavoro che svolge oggi.

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