Musica

Quanto era bella la musica a Firenze negli anni 80?

C'era un tempo in cui Piero Pelù non era un rocker peloso sanremese ma l'avanguardia della musica italiana—e con lui anche tutti i suoi concittadini.
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Piero Pelù; fotografia tratta dall'artwork di Transea dei Litfiba

Tra la metà degli anni Settanta e i primi Ottanta la musica a Firenze ha vissuto un periodo irripetibile. Lo descrive al meglio Pier Vittorio Tondelli: “La scena giovanile fiorentina era esuberante. Mostre, party, feste, disco, rassegne cinematografiche, avanguardie teatrali, sfilate di moda; in una parola, il trend fiorentino anni Ottanta esplodeva. Mi sembrava di trovarmi nel posto giusto al momento giusto”.

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Firenze non era allora solo il centro della new wave italiana (meglio, del post-punk), ma soprattutto un laboratorio di fermenti e linguaggi che, proprio come a Milano, iniziavano a dettare legge nel mainstream a venire. E fortuna vuole che le etichette Spittle e Materiali Sonori, proprio come fatto con Matita Emostatica e la scena milanese, abbiano pensato bene di ristampare anche la storica raccolta del 1993 Firenze Sogna.

Ma che cosa sognava Firenze? Bè, la moda più importante, innanzitutto: l’embrionale nuovo rock italiano, cioè la naturale trasformazione della new wave che non voleva saperne di morire. Ecco quindi i Litfiba, che detteranno legge in Italia persino durante l’epopea del grunge. I Diaframma, in pratica un progetto solista di Federico Fiumani che inaugura il cantautorato indie italiano. Ecco Raf, il re del pop dagli Ottanta ai Duemila, a fare incetta di dischi d’oro e di platino.

Cosa sognava Firenze? L’embrionale nuovo rock italiano, cioè la new wave che non voleva saperne di morire

Firenze, insomma, non ha mai voluto rinchiudersi nel provincialismo. Lo spiega bene il suo clash di stili e tendenze delle ore in notturna. Ad esempio, in locali come il Manila in the Jungle, con i suoi eventi di moda e gli allestimenti dei giovani stilisti, che Bruno Casini, nel libretto originale allegato al disco, descrive composto da “una giungla con zoo music, safari party e performance teatrali. All’interno, acquari di pesci tropicali, scenografie orientali”.

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Viene in mente anche il celeberrimo Tenax, con la pioggia finta che evoca Blade Runner. Oppure il Banana Moon, un locale pionieristico che ha ospitato tanto i Gaznevada quanto le opere colte di Franco Battiato e Francesco Messina, così, senza battere ciglio, diventando un punto di riferimento assoluto. Certo, alcuni locali risultarono talmente avanguardisti da durare una stagione: pensiamo al Lester, che anticipava persino l’estetica minimalista contemporanea con le sue musiche postindustriali.

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La copertina di Firenze Sogna, cliccaci sopra per ascoltarla su Spotify

A riprova della dimensione meticcia e precorritrice di Firenze, la sua scena arriva a interagire e conquistare altre città italiane. Vale per i Magazzini Criminali, un collettivo performativo teatrale che bazzicava la Architettura sussurrante del milanese Alessandro Mendini. Oppure per i mitici e avveniristici Giovanotti Mondani Meccanici del leggendario Alexander Robotnick, con i loro innovativi fumetti e i concept multimediali che flirtano con i romani di Frigidaire. O, ancora, alla surreale Naif Orchestra che fa comunella con il milanese Maurizio Marsico della Monofonic Orchestra.

Parlando proprio dell’asse Firenze–Milano, il sound che trapela dai solchi del disco sottolinea il filo conduttore evidente: stessa fissa per il post-punk e per la sperimentazione, il blues elettrico rivisto in chiave wave e le cover punkettone dei classici anni Sessanta, così come per il prog che prende deviate derive postmoderne.

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Il filo conduttore sull'asse Firenze – Milano è evidente: stessa fissa per il postpunk, il blues in chiave wave, le cover punkettone e le derive postmoderne del prog.

E se ci immergiamo appieno in questa pirotecnica Firenze Sogna, troviamo nel primo brano, “Music is Painting in the Air” dei Sensations’ Fix, il cavallo di battaglia di una seminale band prog/kraut che, con il suo misto di synth e chitarre lisergiche, anticipò senza dubbio certe sensazioni new wave. Il tastierista Franco Falsini fu peraltro uno dei primi rocker italiani a smanettare col Moog, nonché autore dell’incredibile disco di culto Naso Freddo. Proseguiamo con gli Insieme e il loro ibridone fusionwave, “Picchia e ripicchia”, il cui DNA arriverà ai Rock Galileo durante i Novanta, per poi sublimarsi in jazz.

La Bella Band è un altro monumento jazz rock virato fusion, già usciti nel 1978 per la storica Cramps. In questo inedito, “Mattutina”, i Nostri evocano il compositore argentino Lalo Schifrin e spezie al sapor di Frank Zappa, intrisi di effetti liquidi e spigolosi che avviano nuovi equilibri sonori. Il batterista Daniele Trambusti diventerà poi un membro fisso sia dei Litfiba nel successo di El Diablo, quanto dei Diaframma, del Pelù solista e, soprattutto, dei Steve Piccolo's Domestic Exile.

Litfiba

I Litfiba in una foto d'epoca

Sono proprio i Litfiba i prossimi, con il curioso “Anniversary” che mette in luce la loro duplice anima: quella mediterranea, dal respiro italiano e melodico, e quella più cupa, derivata dalle scorribande londinesi. Si tratta di uno dei loro primi brani, datato 1983 e rimasto inedito fino alla pubblicazione di questa compilation. Il gruppo ha ancora in formazione il bassista Gianni Maroccolo (che con i suoi CSI influenzerà le generazioni a venire), ma il batterista Renzo Franchi sostituisce Ringo De Palma, prima di passare per un poco agli amici e rivali Diaframma.

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I Diaframma, guarda caso, sono i successivi e non hanno bisogno di presentazioni. Nel brano, il lato B del primo singolo, suonano devoti ai Joy Division. “Illusione Ottica” non ha alla voce Sassolini bensì il primo cantante, l’ottimo Nicola Vannini che finirà negli Psychotic Drivers a suonare rock neopsichedelico.

I Diaframma non hanno bisogno di presentazioni.

Collante del prossimo gruppo è sempre Renzo Franchi, che per un periodo ha suonato nei Cafè Caracas, l’ambizioso progetto di Raf e di un Ghigo Renzulli pre-Litfiba, volenteroso di ricreare i Police in salsa fiorentina. Qui alle prese con una cover di Mina dal primo 45 giri del 1980, una “Tintarella di luna” tra le migliori di sempre (dritta al secondo posto dopo i Melt Banana). Ghigo Renzulli non suona però nell’incisione, poiché lasciò la chitarra a Serse Maj, turnista di lusso per Lucio Dalla, Vasco Rossi, Ramazzotti e Bertè.

Una band che non è trascesa oltre il culto fiorentino è quella degli Alcool, la cui importanza è tuttavia evidente nella svolta rock dei Litfiba, che ne prendono in prestito le parti di chitarra, seppur trasposte in chiave tamarra. I Mugnion’s Rock, con la scattante “Deborah”, si pongono invece nelle coordinate di un fresco space surf, simile a quello proposto da Johnson Righeira all’epoca del primo disco solista. Si nota qui un drumming notevolissimo, seppur acerbo: alle pelli troviamo infatti proprio Ringo De Palma, poi diventato il batterista icona dei Litfiba, e alla voce… be’, dovrebbe esserci un Pelù alle prime armi. I credits non ce l’assicurano ma ci piace comunque pensarlo.

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Federico Fiumani

Federico Fiumani in una foto promozionale

Così come ci piace pensare che i Mr. Blues continuino ancora oggi, ibernati orgogliosamente a fare rock blues da locali zozzoni come in questa cover di Muddy Waters, “Caledonia”. Mentre i Lightshine con “Let’s Get Four Funky Steps” sono l’esempio più fulgido di un funk no wave gelido e ficcante. Un suono che poi darà vita a Rap Attack grazie a Ernesto De Pascale, il primo esempio di rap in Toscana, agli Hypnodance e a alla loro italo disco e, infine, alla musica pop d’autore di Massimo Altomare.

I Naif Orchestra di Arlo e Giampiero Bigazzi ci regalano un gioiello electronic funk, jazzato e stortignaccolo, dedicato a tutti i “Fratelli italiani”. La sintesi delle loro esperienze finirà poi per dare vita alla storica etichetta Materiali Sonori. Con i Rinf e la loro “Was Besonders” torniamo in territori sfacciatamente no wave, tra chitarra, fiati e batteria elettronica sparata a dare un gusto EBM. Il gruppo di culto si è poi distinto per aver realizzato un paio di mix insieme ad Adrian Sherwood; mica pippe.

Se parliamo di culto, ecco Alexander Robotnik : uno dei pionieri dell’italo disco.

Se parliamo di culto, ecco Alexander Robotnik con il classicone “Problèmes D'Amour”. Al secolo Maurizio Dami, è uno dei pionieri dell’italo disco, che nel 1984 entra nei succitati Giovanotti Mondani Meccanici a rappresentare un’eccellenza fiorentina. Lo stesso vale per i Neon e la loro “Information of Death”. Ancora oggi, la leggendaria band paladina della minimal wave è un saldo punto di riferimento per le generazioni elettroniche italiane e mondiali.

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Gli Avida invece erano un’anomalia: un curioso gruppo di “comedy new wave”, il cui lato B dell’unico singolo “A fumme mariuà” diventò nel 1982 un vero tormentone. Basato sul mito delle figurine contenenti droga per adescare i ragazzini, “La bustina” vede un supergruppo formato da Stefano Fuochi dei Neon, da Alexander Robotnick e da Daniele Trambusti portare la lezione degli Skiantos nella città del sommo poeta.

Alex Robotnick

Alexander Robotnik in una foto d'epoca

Da qui in poi il disco si concentra sul discorso improvvisativo, performativo e teatrale. Apre le danze il Collettivo Victor Jara, capitanato da David Riondino, autore di una canzone popolare e di denuncia. “Pazzum pazzia” presenta proprio un brano sulla pazzia e le sue declinazioni nel quotidiano, già edito nel 1979.

I NEEM, con “L’Italia che vola”, danno invece vita a un potente mix di spoken word, free jazz e rumorismo puro, mentre i Magazzini Criminali, con il loro proverbiale assurdismo, si prodigano in sovrapposizioni di linguaggi e suoni nella disturbante “Tijuana, Frontiera a Nord-Est”. Gli Zeit scelgono “Una danza infinita” tratta dal loro album del 1981, in cui il folk e la musica etnica tornano verso un discorso più lineare e meno postmoderno, ma non per questo poco affascinante. La loro miscela fusion e world è difatti originalissima e anfetaminica.

È possibile che Firenze abbia bruciato così tanto da lasciare oggi solo le ceneri?

Giunti all’ultima traccia, segnaliamo anche i gustosi intermezzi composti dalle interviste ai protagonisti, Antonio Aiazzi dei Litfiba, Federico Fiumani dei Diaframma, Ernesto De Pascale dei Lightshine e Maurizio Dami. Parole che ancora adesso risultano illuminanti per chiarire l’attitudine di questi ex ragazzi.

È vero, sotto il Ponte Vecchio ne è passato di tempo. Eppure, è possibile che Firenze abbia bruciato così tanto da lasciare oggi solo le ceneri? L’ovvia risposta è che Firenze Sogna (ancora). Poiché la sua realtà è oggi più piccola, ha più possibilità di tornare agli antichi fasti. E, forse, questa ristampa non è casuale. Come afferma Lapo Pistelli nel libretto originale: “Insoddisfatti del presente, litigiosi sul futuro, malinconici sul passato, il carattere dei fiorentini col tempo non cambia”. It’s still 1983, baby.

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