Che il 2020 sia l’anno del virus è indubbio, difficilmente ci dimenticheremo di questi lunghi giorni passati in casa ad aspettare. La questione non è tanto cosa succeda tra le mura domestiche, le problematiche sociali, economiche, la qualità della salute mentale in queste circostanze: la questione è che nessuno sa come agire e l’inazione è la regola. E invece c’era un periodo in cui il virus era tutto il contrario e la sua spinta portava a muoversi freneticamente.C’era un periodo in cui il virus era tutto il contrario di quello che è oggi, e la sua spinta portava a muoversi freneticamente.
"Siamo profeti di santa follia, templari del delirio, interessati a tutto quello che è caos, disordine, degenerazione".
Lo stesso Lory D nel 1993 con Antisystem esce su BMG, la super major che oramai fiutava l’affare rave: il disco, nonostante sia una grande prova incompromissoria fatta di rumore e bordate di pistole laser e tubi metallici rimane comunque un qualcosa che ha perso la “genuinità” originaria, nonostante il suo scarso appeal per il mercato. Ma soprattutto, oramai è diventata musica più raffinata, si è evoluta in qualcosa che può anche fare a meno del ballo.Lo dimostra lo splendido Muta di Leo Anibaldi, uscito nello stesso anno: sta diventando quasi “musica classica”. È qui che Freddy K, rimasto sempre in retroguardia rispetto ai due mostri sacri della techno, improvvisamente prende il testimone e diventa il paladino di una nuova era. Quella della macchina musicale che parte da se, non serve essere programmatori o avere intelligenza musicale sopraffina, affatto.Da una parte c'era il centro delle possibilità, dal quale partiva la rivoluzione. Dall’altra c'era la periferia coatta della disperazione con niente da perdere.
Per fare un paragone, la Viruz era come quei film horror di serie B che all'inizio ti lasciano perplesso perché sembrano una versione triturata e malsana di quelli d’autore, e poi invece diventano culto. Lo stesso nome di battaglia di Freddy K era mutuato dal protagonista di Nightmare, tanto per sottolineare quest’apparentamento col grottesco e col "mettere paura" a prescindere. Lo slogan simbolo di tutta questa storia potrebbe essere concentrato nel brano di Freddy K, "Roma", contenuto su Rage of Age, il suo primo long playing pubblicato nel 1995 sulla mitica etichetta di riferimento della techno romana, l’AVC ovvero Alternative Current.L'importante era sentire roba sintetica e a manetta e farsi di roba sintetica a manetta, e anche chi non si faceva stava lo stesso a manetta come i boosterini che tanto andavano di moda.
Tornando a Rage of Age, al contrario, ascoltando una traccia-omaggio come l'oscura "Dario Argento" non solo si sente quel filo conduttore con le atmosfere cupe/oniriche/misteriose della romanità tanto care a Lory D e Anibaldi, ma soprattutto una tendenza pre-HD, pre bubblegum bass, con le sue vocette digitali campionate senza pietà e le sue sgommate imprevedibili. E ovviamente il marchio di fabbrica che distingue la techno romana da quella di qualsiasi altro posto: una devozione totale e sincera al caos, tanto che sembra tutto programmato fuori tempo. Anzi, lo è, tanto che la parola “programmazione” è praticamente accessoria se non inutile.Il Virus Team aveva come quartier generale il Makumba a San Giovanni, e il Gasoline/Qube a Portonaccio. Nel 1997 Freddy K, con i suoi accoliti Manolo Bad Boy, Alex Coma, Daniele Mattioli, Fabio Marafino e Marco Angeli, teneva testa a 2000 invasati alla serata Virus. Facevano grandi numeri, ma sicuramente meno rispetto ai primi storici rave: da una parte questo fu paradossalmente un presentarsi come una forza piuttosto “underground”, dall'altra invece la loro popolarità e il loro credo si diffuse in maniera molto più serpeggiante, proprio come un vero virus. Arrivava a chi avrebbe voluto aderire ma non poteva, e anche a chi era terrorizzato all’idea."Il marchio di fabbrica che distingue la techno romana da quella di qualsiasi altro posto era una devozione totale e sincera al caos"
"Ce lo saiz, io c’ho il viruz mica l’aiz" era il motto preferito degli adepti, che in questa frase mettevano quasi al loro posto l'epidemia in voga nei novanta—quella dell'AIDS appunto—che limitava i contatti intimi, sessuali, tra esseri umani. No, il viruz vedeva oltre la carne, l'AIDS gli rimbalzava: non perché fosse un movimento spirituale, anzi. Semplicemente la carne era di troppo. Non tanto la musica, quanto il suono era la vera cura, faceva come scudo tra la mortalità e l’essere mortale stesso, o meglio come filtro da aprire e chiudere a piacimento."Ce lo saiz, io c’ho il viruz mica l’aiz" era il motto preferito degli adepti, che in questa frase mettevano quasi al loro posto l'epidemia dell'AIDS che limitava i contatti intimi tra esseri umani.
Ma non era solo la musica, era anche il look a fare i virusini: una rivisitazione dell’immagine revarola colorata a vestiti larghi e cappellini, rovesciata in pantaloni aderentissimi fino a piallare i testicoli, in bomberini ghiaccio con l'interno arancione "e se annava”. Dove non si sa, ma “se annava”. A sfoggiare teste rasate, ma più che citare un discorso politico cosciente era più che altro una specie di THX 1138 di George Lucas gettato in un comprensorio di case popolari opprimenti. Skinhead non vuol dire per forza fascista.La questione musicale era la stessa: tutto quello che di musicalmente buono era arrivato dai rave, nel senso proprio di "bontà", sparì. La second summer of love condita con l'MDMA; l'elettronica smarmellata figlia delle atmosfere elusive dei Goblin, di Aphex Twin e delle tendenze industrialoidi che la capitale, prima su tutti, sdoganò con il regno della coppia Lory D Leo Anibaldi, creatori del suono di Roma; tutto questo si sgretolò. O meglio, si trasformò in una “spremuta de sangue”, per citare il proto-coatto Mario Brega.L’etichetta di Lory D Sounds Never Seen si poneva come fautrice di musica internazionale che in qualche modo guardava a una complessità di linguaggi atta a immaginare un futuro diverso, se non radioso sicuramente reattivo e aperto, in cui anche le droghe erano empatiche e i suoni profondi e psichedelici. l seguaci del virus invece, a colpi di anfetamine, speed e spray, taggavano VIRUS in ogni centimetro quadrato della città.Pantaloni aderentissimi fino a piallare i testicoli, bomberini ghiaccio con l'interno arancione "e se annava”. Dove non si sa, ma “se annava”.
Nei primi albori della Viruz io facevo il liceo, e l’arrivo di questo movimento fu abbastanza straniante: la loro musica era una “non musica”, cassa dritta e pedalare, ipnotismo completamente gratuito e deumanizzante. I loro valori erano chiaramente dei disvalori nati per spirito di contraddizione ma più immaginati/anelati che realmente messi in atto. Il loro look faceva pensare subito a dei fascisti a piede libero, e in parte era pure vero—non era raro vedere alle feste virus bandiere con celtiche e braccia tese. Ma appunto, in parte.Ci trovavi anche dei figli del proletariato che passavano le giornate non a scuola ma a lavorare, e quindi cercavano una valvola di sfogo che annullasse definitivamente il senso di oppressione di un bucio di culo così. Ci trovavi quelli stufi delle velleità intellettuali che finalmente ascoltavano qualcosa di semplice ma massiccio, che colpiva sicuramente il basso ventre anziché la testa che già conteneva troppe informazioni discordanti e contraddittorie.Una periferia dell'impero che in un solo momento diventava la stessa periferia in tutto il mondo, rassegnata ma in maniera strafottente.
Lei andava principalmente alle feste pomeridiane, piene di minorenni, con quello che all’epoca era il suo tipo, un benzinaio simile a un armadio a due ante. Non era nazi per niente lei, anzi, il contrario. E lui alla fine era un tipo ok, nonostante tutti i luoghi comuni di borgata che prevedono anche la rissa, la difesa della ragazza come proprietà/ragione di vita, e chiaramente il fatto “de esse duro fuori e morbido dentro”.Alla fine in amore la spuntai io, ma fu un braccio di ferro tostissimo, tanto che una volta dovetti nascondermi al pianerottolo sopra mentre lei affrontava lui nel dirgli che la loro storia era finita. Musicalmente invece probabilmente non la spuntò nessuno. Molto presto le sottoculture giovanili si diedero all’hip-hop, e quindi arrivarono le posse, e tornarono i rave fricchettoidi stavolta illegalissimi, nei quali era quasi sempre più importante la location che la musica che si ascoltava.Avvenne quindi un cambiamento radicale di gusti che comunque non era meno massificante del fenomeno viruz—a dimostrazione che alla fine se ti vogliono rifilare la monnezza, lo fanno ovunque. A questo si aggiunse un cambio di rotta per quello che era il ballo. A questo proposito scrive in Remoria un illuminante Valerio Mattioli rispetto al “linguaggio del corpo” dei virusini:Molto presto le sottoculture giovanili si diedero all’hip-hop, e quindi arrivarono le posse, e tornarono i rave fricchettoidi stavolta illegalissimi, nei quali era quasi sempre più importante la location che la musica che si ascoltava.
Il mio aneddoto conferma questa sensazione: impossibile sfuggire al Viruz, nel bene o nel male. Anche perché poi si trasformò in un negozio di dischi, dove talvolta a fine anni Novanta andavo ad acquistare vinili e a far sentire le mie demo elettroniche. Ma vigeva sempre una situazione per cui ai “bravo, belle cose” non seguiva nessun interesse a prendere sotto l’ala il novellino. Forse perché i party techno a Roma erano diventati una questione di “predominio”, e così anche riguardo l'ultima deriva dei rave, in cui riuscire a suonare era difficilissimo se non avevi qualche santo al tuo fianco.Ma a volte non era utile neppure avercelo: se il DJ di turno era strafatto e entro cinque minuti toccava a te, stai sicuro che quello suonava ancora anche se lo cacciavano a calci. Tant’è che alla fine Freddy K se ne andò via da Roma per la mitica Berlino, come allo stesso modo Lory D a una certa era fuggito per andare in Veneto: entrambi vittime di un'implosione.“Ballare ai ritmi dell’hardcore significava abdicare alle forme libere, sciolte, estroverse dei primi saturnali rave, e costringere il corpo a una serie di mosse contratte, celeri, nervose. Nelle forme di danza che il turboproletariato coatto inaugurò al Virus, i muscoli si ingrossavano e i nervi si tendevano in figure che sembravano parodiare un’isterica degenerazione del passo dell’oca. Al contrario dell’hakken, lo stile atletico che in Olanda aveva accompagnato l’ascesa della gabber, le danze coatte erano una rigida successione di mosse che sovrapponevano le movenze dell’automa a quelle di una parata militare: le braccia si levavano in aria in saluti sospettosamente simili al riflesso pavloviano del Dottor Stranamore, i piedi puntavano ad angolo all’interno, i talloni scattavano in fuori, il busto si impettiva, le mani battevano aggressive a tempo o disegnavano in aria le rigide geometrie di un Tetris immaginario. «Passo del pinocchietto» lo chiamavamo noi pischelli di borgata che dai coatti volevamo tenerci a distanza, e che dei coatti segretamente subivamo tutto il fascino, tutta la potenza che ci arrivava da una forma di vita così massiccia, così poderosa, così nuova.“
Queste le motivazioni di Freddy K: “in tutto il mondo la scena si era evoluta, continuava, invece Roma si era completamente fermata lì. Roma è una città molto tradizionale, anche chiusa per certi versi. Io mi sono vissuto i suoi anni più belli, per quelli che erano i miei interessi ovviamente: la scena musicale, la techno, i rave… Poi tutto si è fermato e mi sono sentito vecchio, anzi, Roma mi faceva sentire vecchio, bloccato, senza una via di uscita in un vortice di mentalità chiusa”.“Quando il virus diventa malattia voi ne pagate le conseguenze”, diceva un vecchio motto del movimento, e in effetti così è stato. Ma è stato anche un periodo di grande gioia per quelli lo vissero, in una condivisione nella quale forse lo scontro/incontro era più importante di un semplice e ipocrita viaggione chimico “peace and love" da neo-frikkettoni. Adesso, nella situazione in cui ci troviamo, non avremmo mai pensato che un detto d’epoca ci sarebbe apparso così saggio: "Esci dal coma, beccati il virus”. E allora, auguriamo buon risveglio a tutti, “de core”.Un grazie a Sdio Canato (e lo saiz). Dedicato alla memoria di Valeria V. Demented è su Instagram e su Twitter. Segui Noisey su Instagram, YouTube e Facebook. Leggi anche:Alla fine Freddy K se ne andò via da Roma per la mitica Berlino, come allo stesso modo Lory D a una certa era fuggito per andare in Veneto: entrambi vittime di un'implosione.