Cucine da Incubo
Cibo

Ho chiesto ai ristoratori cosa succede dopo aver partecipato a Cucine da Incubo

Dal 2013 Cucine da Incubo aiuta ristoranti disastrati a rimettersi in piedi. Ma quanto c'è di vero nella formula dello chef Cannavacciuolo?
Andrea Strafile
Rome, IT
dietro le quinte serie tv
Cosa succede davanti e dietro la tv, spiegato da chi la fa.

“Il menu di Cannavacciuolo è durato solo per quella puntata. Non che i suoi piatti non fossero buoni, ma non ha considerato che Roma ha delle ricette standard per i turisti”

C’è stato un periodo nel quale segretamente mi divoravo qualsiasi reality gastronomico: cinque puntate alla volta di 4 Ristoranti, la doppia puntata di Masterchef la sera stessa che usciva e, naturalmente, il dilagante disagio di Cucine da Incubo.

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Nonostante la formula di questi programmi sia praticamente sempre la stessa da anni, non riuscivo a smettere di guardarli. Con una perversione tutta speciale per il programma di Antonino Cannavacciuolo, Cucine da Incubo, appunto. Dall’alto delle sue due stelle Michelin a Villa Crespi e a suon di pacche sulla schiena, lo chef compieva miracoli in locali disastrati, gestiti da persone che sembrava assurdo avessero anche solo pensato di aprire un ristorante.

Non potevo fare a meno di pormi alcune domande: queste persone erano davvero così sprovvedute? Il loro cibo era seriamente così terrificante? Ma soprattutto, l’intervento dello chef Cannavacciuolo era stato quel miracolo divino che li aveva salvati dal baratro e dalla perdizione?

Come funziona Cucine da Incubo

Prima di rispondere a queste domande, un’infarinatura generale.
Cucine da Incubo è un format abbastanza antico (la prima stagione è del 2004) che viene dal Regno Unito. Il super chef Gordon Ramsay si intrufolava nelle cucine più orripilanti del Paese e, benedicendole con la sua esperienza, ridava loro nuova vita. In Italia Cucine da Incubo esiste dal 2013. Il lancio del programma è andato così bene da fare 270.000 spettatori in un canale privato (Fox Life). Insomma, niente male.

Da allora non una sola virgola è cambiata: lo chef bistellato entra in ristoranti e locali in difficoltà, assaggia il menu dicendo quasi sempre che la roba fa indicibilmente schifo e comincia a lavorare con loro e su di loro per farne un posto decente dove la gente abbia voglia di entrare a mangiare. Analizza il loro servizio—che è invariabilmente una scarsità—li fa sedere tutti insieme a parlare come un mistico delle padelle, gli fa un menu ad hoc semplice e, spettacolo degli spettacoli, restaura il locale dalla sera alla mattina. Il servizio successivo è sempre un trionfo e tutti vissero felici e contenti.

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Per rispondere alle domande di cui sopra ho quindi contattato alcuni ristoranti che hanno partecipato al programma. Sono anche andato a visitarne uno a Roma, dove vivo, per toccare con mano l’esperienza mistica. Intanto, per rassicurarvi, posso dire che in linea di massima quello che vedete è abbastanza vero.

Le Lanterne, Roma

Le Lanterne Roma.jpg

Iniziamo da Le Lanterne, ristorante in centro a Roma che ha partecipato alla prima edizione del programma ed è gestito dalla molto accogliente Emilia Karaš. Nella puntata del 2013 si vedeva un classico locale per turisti abbastanza brutto, desolato e con un menu da innumerevoli piatti. Con mia sorpresa mi sono trovato davanti un ristorante abbastanza pieno (ed è in una strana posizione, ci devi arrivare, non ci passi davanti se non per caso. Quindi presumo che viva ancora in parte di quell’esperienza televisiva) e con una sala un po’ troppo shabby, ma del tutto uguale a quella del programma nonostante i quasi dieci anni passati.

Amatriciana Le Lanterne Roma.jpg

Ho ordinato dei paccheri all’amatriciana, come fece chef Cannavacciuolo, e una cotoletta di pollo, perché mi andava, accompagnata da cicoria. I paccheri sono arrivati dopo 20 minuti, ma non erano precotti come quelli nel programma. Sopra c’erano pezzi di guanciale piccoli che si sbriciolavano e nel complesso erano molto salati e piccanti. Dei piatti fatti da Cannavacciuolo nemmeno l’ombra. “Il menu dello chef è durato solo per quella puntata,” mi racconta Emilia Karaš. “Non che i piatti che ci ha proposto non fossero buoni, ma lo chef non ha considerato che Roma ha degli standard per i turisti: non puoi servire un piatto di cozze, devi comunque avere in carta le ricette tradizionali.” Quello dei menu un po’ senza personalità, se non quella dello chef, sembra essere un problema abbastanza comune.

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”A noi è servita molto come esperienza, soprattutto a risolvere i problemi maggiori che avevamo, cioè quelli di comunicazione.”

Ho chiesto poi a Emilia come fossero stati selezionati: loro hanno fatto una richiesta di partecipazione, ma ci sono altri ristoranti della prima edizione, come la Trattoria al Capolinea a Milano, che sono stati contattati dalla produzione. “In pratica hai una settimana per girare: il locale è invaso di persone che ti dicono cosa fare e cosa dire, selezionano delle comparse per strada per le cene che si vedono e alla fine danno una rinfrescata al locale,” continua Emilia Karaš. “La ristrutturazione la pagano loro, ma è solo superficiale: danno una rinfrescata alle pareti, la arredano in maniera diversa ed è fatta, in un giorno hai un locale nuovo.”

Se vi state chiedendo quanti ristoranti si sono salvati e se la formula Cannavacciuolo funziona sul serio, al momento hanno chiuso 18 ristoranti e otto hanno cambiato gestione su un totale di 67 ristoranti in tutte le otto stagioni. Per fare un raffronto, in UK i ristoranti chiusi sono stati otto e altri tre sono stati venduti, ma in sole cinque stagioni. Quindi la formula del programma, possiamo dirlo, funziona abbastanza bene.

La Tana degli Elfi, Roma

“Ci sono persone che vengono apposta da fuori perché hanno visto il programma e ci riempiono non solo il ristorante, ma anche il b&b,” mi racconta Ersilia la Placa, titolare de La Tana degli Elfi in provincia di Lecce, apparso nell’ultima stagione. “Noi abbiamo ancora l’80% del menu dello chef Cannavacciuolo: la gente qui vuole provarlo, come se fosse un’estensione della sua cucina stellata.” Una specie di ristorante satellite di Antonino, insomma. Ma li ha aiutati veramente? O li ha solo rimessi in piedi?

“A noi è servita molto come esperienza, soprattutto a risolvere i problemi maggiori che avevamo, cioè quelli di comunicazione. Siamo un ristorante familiare e il grosso veniva dai nostri litigi,” mi dice ancora la signora Ersilia la Placa. “Invece lui ci ha fatti sedere e confrontarci con calma: loro ti dicono di accentuare i tuoi problemi, ma è anche un bene, perché alla fine è davvero bravo a farti capire dove sbagli e cosa fare.”

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Le 2 Fontane, Taranto

Sempre in Puglia, un altro ristorante che si è salvato è stato Il Ritrovo dei VIP, oggi Le 2 Fontane, a Taranto, che è anche una delle puntate più esilaranti di tutte le stagioni. La famiglia Pastore era una macchietta tutta italiana con piatti che nemmeno uno cuoco sotto LSD sarebbe stato in grado di fare. “La produzione ci ha detto che servivamo piatti disastrosi, ma non erano veramente così cattivi. Però lo chef ci ha insegnato che con gli ingredienti che abbiamo qui possiamo fare parecchio. Quindi ora cambiamo menu quasi ogni settimana. E devo dire che ancora molte persone vengono qui grazie al programma, a distanza di cinque anni,” dice il proprietario Emanuele Pastore.

“Di vero c’è il 50%. All’epoca un po’ ce l’eravamo presa per le richieste che ci avevano fatto”

Trattoria Al Capolinea, Milano

Ultima, ma non per importanza, ho sentito la signora Scilla de Lorenzis, proprietaria di Trattoria al Capolinea a Milano. Non molto dopo la puntata della prima stagione, la nostra Giorgia Cannarella aveva scritto un pezzo su Dissapore intervistandoli. Ne era venuta fuori una sorta di denuncia sui retroscena orripilanti della produzione, che per fare audience aveva chiesto loro persino di mettere degli scarafaggi in cucina e di riusare l’olio esausto per cuocere la cotoletta. Oggi però la vedono in maniera diversa: “Di vero c’è il 50 percento,” mi dice la signora Scilla de Lorenzis. “All’epoca un po’ ce l’eravamo presa per le richieste che ci avevano fatto, ma dopo tutti questi anni devo dire che le cose vanno come si deve. Abbiamo capito sostanzialmente che la chiave era alzare di molto la qualità di quello che serviamo.”

Io non faccio magie, non faccio miracoli. Quel che posso fare è mettere a disposizione i miei 24 anni di esperienza,” aveva detto Cannavacciuolo in un’intervista riguardo Cucine da Incubo. E bisogna essere onesti: non è un mago né un santo, ma la formula dello chef Antonino, a quanto pare, funziona. Come il programma, da sempre uguale a se stesso, che sembra immortale.

Nota: una versione precedente del post riportava una informazione errata rispetto al ristorante Ai tre scalini, comparso nel programma a maggio 2022. L’errore è stato corretto. Ci scusiamo per il disagio.

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