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È ora di ammetterlo: i messaggi vocali ti rendono una persona peggiore

Invecchiando sto capendo che ci sono forme di stupidità che non mi posso più permettere. Tipo i vocali su Whatsapp.
Niccolò Carradori
Florence, IT
Juta
illustrazioni di Juta
vocal
Illustrazione di Juta.

Fra poco meno di un mese compirò 31 anni, una data significativa perché indica che la soglia dell'età adulta è stata ampiamente superata, e quanto sia impossibile tornare indietro. Quest'anno ho avuto pensieri che non avevo mai avuto prima: mi sono preoccupato di mettere insieme per tempo la documentazione per le tasse, ho fatto controllare la macchina per dei piccoli rumori che mi infastidivano, ho comprato un cuscino contro il torcicollo. Ma soprattutto ho deciso di dire addio ad alcune abitudini, pensieri e pretese che alimentavano il mio Io post-adolescente. Quello che brama attenzione, vuole nutrire l'ego, e tende a farti fare cose completamente inutili. Tipo le note vocali.

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È ora di ammetterlo: i messaggi vocali hanno trasformato l'antropocene in un ecosistema in cui la gente riascolta ossessivamente la propria voce registrata per capire se risulta credibile, e vuole farsi largo nella quotidianità degli amici obbligandoli a chiudersi in bagno al lavoro per ascoltare la loro opinione su quanto sia buono il ristorante libanese in cui hanno mangiato la sera prima.

Molto più prolissi di un semplice messaggio scritto, e molto meno esaustivi di una chiamata, i messaggi vocali possono mettere chi li riceve in una posizione scomoda: possono essere ascoltati soltanto in determinate situazioni—a meno che tu non sia una di quelle persone a cui piace far sapere i cazzi propri agli sconosciuti che le circondano—e ti fanno sentire uno stronzo nel rispondere con messaggi di testo quando il tema da affrontare è complesso. Ma registrarne uno in mezzo alla strada, col telefono inclinato accanto alla bocca e il volume della voce superiore a una normale telefonata perché siamo convinti che altrimenti non funzionerà?

Conosco bene queste sensazioni perché ho inviato un'infinità di note vocali sull'ottusità di Lele Adani nei gruppi Whatsapp del fantacalcio, e sto cercando di smettere guardando in faccia la realtà. Così dico a me stesso: potresti benissimo inviare un messaggio che la gente può leggere in religioso silenzio e comodità. Non serve nemmeno essere un amanuense—prenditi due minuti e scrivi, stronzo. Se hai qualcosa di troppo lungo da dire, invece, dovresti chiamare così da evitare una telefonata a intermittenza (cosa che di fatto sono i messaggi vocali). Ci diciamo quello che ci dobbiamo in diretta, alternando in tempo reale la conversazione, e non perdiamo tempo.

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Ci sono anche altri fattori, oltre alle perdite di tempo. Uno dei più importanti è quello dell'intimità sociale. I messaggi vocali sono il corrispettivo digitale del piede infilato fra la porta e il battente. I messaggi scritti in chat privata con una persona appena conosciuta su Instagram o Facebook sono accettabili, perché c'è la freddezza del testo a mettere una distanza dignitosa. Ma più volte in questi anni mi sono sorpreso a mandare messaggi vocali a persone mai viste, con l'implicito intento di accelerare il clima di intimità: un accollo piuttosto fastidioso e irrispettoso. Una vera rottura di coglioni. Senza contare poi il gradiente di nevrosi che ti scatena—come registrare un messaggio cinque volte prima di inviarlo a una tizia, con il terrore che quello sbagliato potesse partire senza volerlo, passando il tempo a riascoltarsi per valutare l'efficacia del tono di voce. Che incubo è?

Eppure ti rendi conto di quanto siano stupidi i messaggi vocali solo quando li subisci indirettamente. Fra le mie nuove forme di progresso verso l'età adulta si è inserita anche la cura del corpo: mi sono iscritto in palestra. La settimana scorsa, con tutto il tedio e la fatica che comporta fare cardio dopo anni di maritozzi con la panna e sigarette, mi sono dovuto sorbire un intero litigio in diretta tramite i messaggi vocali che la ragazza accanto a me inviava e ascoltava mentre faceva camminata veloce sul tapis roulant. È lì che ho realizzato quanto la nostra società stia diventando distopica. I messaggi vocali hanno raddoppiato il fastidio che provoca la gente rumorosa quando usa il cellulare in luoghi pubblici: adesso non solo sei obbligato ad ascoltarli, ma ti toccano anche i loro interlocutori.

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Oltre all'inutilità e ai fattori sociali, poi, ci sono quelli esistenziali. La possibilità di mandare messaggi vocali scatena dentro di noi un bisogno infantile ed egoista: la voglia di imporre agli altri svariati minuti di interventi senza contraddittorio. Lanci un vocale-missile di tre minuti in faccia alla gente dando per scontato che a loro vada bene starti ad ascoltare. Magari devono interrompere quello che stanno facendo, pur di ascoltare il tuo prezioso messaggio vocale su quanto la battaglia in Game of Thrones ti abbia sconvolto. C'è una strana forma di edonismo e di trionfo della più antipatica volontà di potenza nei messaggi vocali, che andrebbe temuta e avversata.

Ormai la cavalcata e dei sistemi di interazione digitale è arrivata a un punto in cui dobbiamo chiederci dove stiamo andando: abbiamo perso molte parti della civiltà sociale in questa scalata, e va bene. Ma dobbiamo cominciare a mettere dei freni allo scarico di morbosità nella nostra vita quotidiana, a cominciare appunto dalle cose più puerili. Per questo io dico: basta messaggi vocali.

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