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Se non capisci chi ha scelto gli Sugar Puffs, leggi questa recensione di Bandersnatch

Su Netflix è uscito lo speciale di Natale, che per la prima volta è più “Black Mirror” nella forma che non nel contenuto.
Black-Mirror-Bandersnatch

Ci hanno tolto tutto, persino il sacrosanto diritto a vivere passivamente l’intrattenimento: per la prima volta da quando uso Netflix non ho potuto tenere il telefono in mano mentre guardavo il film o la serie TV, neanche per un secondo. Non ho potuto fare altro, perché stavo facendo già altro—guardando un film e decidendo io come sarebbe dovuto proseguire. Ero praticamente uno di quei grafici che realizza dei loghi gratis per aziende o enti con la scusa del “concorso”. Senza neanche il pagamento in visibilità.

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Da una manciata di giorni è infatti disponibile su Netflix Bandersnatch, quello che è considerabile lo speciale di Natale di questo Black Mirror—nonostante non ci sia né il Natale, né la neve. Un mediometraggio interattivo, che forse per la prima volta è più “Black Mirror” nella forma che non nel contenuto. Interattivo nel senso che, almeno sulla carta, era lo spettatore a poter scegliere lo svolgimento della storia, attraverso delle scelte a bivio.

Visto che sono una persona vendicativa, ho deciso che anche chi vorrà insultare VICE scrivendo che non ci piace mai niente dovrà scegliere per cosa insultare. Se pertanto hai già visto Bandersnatch e ti ha ricordato le storie di Topolino o su Facebook hai scritto che “non sei riuscito ad azzeccarne neanche una,” puoi proseguire a leggere al punto A. Se non lo hai visto e hai paura degli spoiler, per te c’è il punto B.

A) Uno dei motivi per cui la mia convinzione è che ci vorrà un po’ per capire la portata dell’esperimento di Netflix—che a onor del vero è figlio di altri piccoli esperimenti come quello sulla serie di Minecraft—è che non abbiamo compreso appieno che cosa avevamo davanti. C’è chi si è lamentato del fatto che “esistono dei giochi molto più complessi di così” e chi si è lamentato che “almeno Topolino non si girava ogni venti secondi sfondando la quarta parete a chiedersi chi avesse scelto per lui.” Il “segreto” di Bandersnatch è che i bivi non sono una scelta narrativa, ma la narrazione stessa. Il fatto di costruire molti layer meta, tanto che a un certo punto ci chiediamo se davvero le nostre scelte abbiano effetto reale sul procedere del tutto, fanno parte della storia che Charlie Brooker e il suo team vogliono raccontarci. Persino quando abbiamo l’impressione di aver fatto la scelta sbagliata, stiamo solo esplorando il mondo che ci verrà descritto in una scena psichedelica da Colin: non abbiamo sbagliato, stiamo solo esplorando uno dei vari mondi possibili. E lo stiamo facendo fin dalla prima scelta, quella dei cereali, ma questa è un’altra storia: se hai scelto i Frosties vai al punto C, se invece hai optato per gli Sugar Puffs, c’è il punto D.

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B) Davvero nel 2018 siamo ancora fissati con gli spoiler? Parliamoci proprio chiaro: un bel prodotto d’intrattenimento lo si gode anche se si sa qualcosa della trama. The Others resta un filmone anche se sai che il finale ti svela che gli spettri sono in realtà i protagonisti, la prova di Kevin Spacey rimane pazzesca persino se sappiamo già che Kaiser Soze è lui. Ora, non siamo davanti a un capolavoro in termini di scrittura, ma siamo davanti a qualcosa su cui—bene o male—puoi mettere mano tu. Posso dirti che vale la pena provare a “giocare” a Bandersnatch, di stare tranquillo che non ci saranno scelte sbagliate (ma potresti vivertela come spoiler) e di combattere questa tua paura leggendo TUTTE le possibili combinazioni del film su Reddit. Poi tornare al punto A.

C) Dicevamo: ci sono scelte che sono apparentemente ininfluenti (proprio come i cereali, che alla fine determinano solo se sei una persona spregevole o meno) ma che cambiano la percezione del nostro racconto. La musica o il cibo che mangiamo la mattina non cambieranno certo le azioni del padre del protagonista, ma faranno sì che più avanti sullo schermo ci comparirà un’ape e non la tigre Tony, o che la colonna sonora sia un po' diversa. Sono aspetti sui quali in un film “normale” non ci soffermeremo neanche, ma che diventano centrali grazie alla nostra curiosità e alla nostra voglia di sentirci “parte attiva” di ciò che stiamo guardando. Poi ci sono le scelte più “influenti”: il primo sentimento che ho provato quando ho scelto di accettare il lavoro per la casa di programmazione e sono stato balzato qualche scena indietro è stato di frustrazione. Mi sono chiesto come fosse possibile che la mia scelta “sbagliata” mi portasse semplicemente al punto di partenza, per farmi cambiare opinione e farmi proseguire nella trama lineare. Poi però sono capitato in un’altra “linea temporale”. Certo, non mi è stato chiaro fino a che Colin e Stefan non si sono calati l’LSD e hanno iniziato a discutere, però ho percepito che ci fosse qualcosa di più del semplice concetto di “giusto” o “sbagliato”. Se comunque pensi di aver sbagliato tutto quanto prosegui al punto E, altrimenti vai con la F.

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D) Visto che so che NESSUNO ha scelto gli Sugar Puffs, tutte le risposte che cercavi sono al punto C ¯\_(ツ)_/¯ [NdR: in redazione tutti tranne l'autore hanno scelto gli Sugar Puffs]

E) Per quanto il confine sia molto labile tra la reale presenza del libero arbitrio o la totale assenza dello stesso, penso che il film vada in una direzione precisa. Nel primo capitolo di Realismo Capitalista Mark Fisher ci parla di come Kurt Cobain, alla fine, con la sua protesta non fosse altro che un ingranaggio di MTV che aveva bisogno della lotta contro se stesso per far sì che nel suo dualismo uscisse “vincitore”. Ecco, a grandi linee ci troviamo di fronte allo stesso pensiero di base: la realizzazione di questo gioco è l’unico orizzonte possibile per Stefan e le sue scelte—tendenzialmente—non lo distolgono dall’obiettivo, ma distolgono il suo pubblico dal valore del prodotto. C’è chi scopre che ha ucciso il padre e nonostante le cinque stelle iniziali contribuisce a rimuovere il prodotto dal mercato, chi lo valuta un gioco mediocre perché alla fine le scelte della vita del nostro protagonista sono state “democristiane” e così via, ma nessuna di queste scelte è sbagliata, sono tutte possibili. Alla fine, ovviamente, non andrà mai come voleva Stefan—o forse sì, visto che nel suo intento c’era quello di dare nuova vita al libro di sua madre. E forse non avremo scelto quello che abbiamo voluto, ma abbiamo comunque avuto l’illusione di farlo. Il vero motivo per cui le nostre scelte sono inutili, però, lo analizzeremo al punto G. Se sulle scelte giuste/sbagliate non hai già letto 588300 status Facebook, vai al punto F.

F) Esatto, non c’è giusto o sbagliato, quindi di base hai fatto giusto. Volendo, se ci si rompe il cazzo all’inizio—cosa che prima di dover scrivere questo pezzo ho fatto—ci si può togliere da ogni impiccio in poco più di mezz’ora, dare una conclusione alla storia e rimanere delusi dal fatto che è molto scarsa a livello di trama, andando a segnare l’ennesimo torto fattoci dal futuro diventato presente. Ma così facendo si perde il nucleo centrale della narrazione che è il piano meta-narrativo. A tratti un po’ troppo gigione e tronfio della sua intelligenza e consapevolezza del medium—come quando entra in gioco Netflix, in molti dei finali possibili—ma dall’altro capace di salvare una storia che di per sé non ci dice niente rendendo impressionante le modalità in cui lo dice. Visto che presto sarà a Sanremo e dovrete prenderci confidenza, Ghemon rappava (o meglio Clementino in una canzone di Ghemon): “Non ho detto niente stavolta l'ho / Detto così bene che non importa se / Dico qualcosa perché é evidente che / Sto dicendo bene ma non dico niente,” che poi qualche anno dopo è stato riassunto da Lazza in “Non dico quasi niente / Ma lo dico bene.” La storia non sarà delle più sbalorditive, ma per quanto possa sembrare da stronzi, il come è forse più importante del cosa. Non perché Bandersnatch sarà il futuro dell’intrattenimento—credo che il “giochino” di farci cliccare sia praticamente esaurito—ma perché un film che ha la consapevolezza di sé e di ciò che lo circonda è qualcosa di epocale. Bandersnatch sa di essere visto sul computer o su un telefono, per bene che vada su un televisore attraverso una Playstation. E nel periodo in cui le sue pagine ospitano Roma di Cuàron, che per molti è un sacrilegio vedere su un quindici pollici, quale miglior risposta di fornirci un prodotto che al cinema sarebbe inutilizzabile? Ma c’è ancora qualcosina da dire? Se pensi di sì, vai al punto G. Altrimenti salta alla H.

G) Concludendo, dunque, siamo davanti alla rivoluzione dell’intrattenimento mondiale? No. Però siamo di fronte a qualcosa che ci sembra futuro pur essendo estremo presente: come in molti segnalavano sui social, ci sono delle piccolezze che rendono il prodotto quantomeno godibile. L’analisi del subconscio e dell’io è qualitativamente eccelsa, persino il viaggio da trip smette i panni del film con Seth Rogen e James Franco che si spaccano di canne e diventa una rappresentazione fedele di una realtà soggettiva. Ed è proprio la soggettività la base del processo narrativo: ognuno ha fatto le proprie scelte, ma alla fine le ha fatte a discapito di un altro (il protagonista) e in qualche modo controllato (così tanto che se non si clicca in tempo, il computer sceglie per te). Per quanto sia facilissimo lamentarci—dicendo che Black Mirror ha perso la sua capacità di raccontare la distopia, senza accorgerci che in realtà lo “schermo nero del telefono” è solo un pretesto per analizzare l’uomo—Charlie Brooker ha per l’ennesima volta fatto il suo sporco lavoro e lo ha fatto bene. Se per te basta così, sono felice ti sia piaciuto. Se invece ti aspetti un piccolo appunto che non hai letto per tutto l’articolo, be’, ecco il punto H.

H) RAGA BASTA CON GLI ANNI OTTANTA PERÒ.