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Le 'navi fantasma' nordcoreane che continuano ad arenarsi sulle coste giapponesi

Dietro i barconi da pesca 'condotti' da cadaveri e scheletri ci sono le dure condizioni imposte dal governo della Corea del Nord.
navi fantasma nordcoreane
Screenshot via La Stampa

Periodicamente, decine di barche da pesca di provenienza sconosciuta finiscono per arenarsi sulle coste giapponesi. Spesso sono vuote, ma a volte sono piene di cadaveri o di scheletri. Sono state ribattezzate “ghost ships” o navi fantasma e si pensa vengano dalla Corea del Nord.

Quest’anno ne sono arrivate già un centinaio—89 per la precisione, stando al quotidiano giapponese Yomiuri Shimbun che cita la guardia costiera di Tokyo. La maggior parte sono state ritrovate nel nord del paese e sulla costa ovest, quella di fronte alla penisola coreana. In cinque di queste c’erano dei cadaveri, 12 in totale.

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Ma non è un fenomeno nuovo: l’anno scorso ne erano arrivate 44, l’anno prima 66. In pratica in Giappone il fenomeno ha ormai un’occorrenza stagionale, complici i venti autunnali e invernali che soffiano da ovest a est e spingono le barche dalle coste della Corea a quelle giapponesi.

Anche nell’estremo oriente russo continuano ad arrivare navi fantasma. Come riportava lo scorso agosto il Siberian Times, nel corso dell’estate ne sono arrivate sei: a bordo di una, ritrovata non lontano da Vladivostok, c’era il cadavere di un uomo, mentre le altre erano vuote e contenevano soltanto dell’attrezzatura da pesca.

A prima vista sembra un mistero. Tra le teorie che sono state proposte per spiegarlo c’è quella secondo cui a bordo delle barche ci sarebbero rifugiati che cercano di scappare dal paese, oppure spie che cercano di infiltrarsi in Giappone.

Per quanto riguarda la prima, anche se ci sono effettivamente dei precedenti—nel 2006 quattro cittadini nordcoreani sono scappati via mare in Giappone, nel 2011 altri nove ci sono finiti dopo un viaggio di cinque giorni mentre cercavano di andare in Corea del Sud—non è il Giappone la destinazione prediletta per i profughi nordcoreani. La maggior parte di questi è infatti diretta in Corea del Sud, cosa che avrebbe molto più senso visto che i due paesi hanno legami culturali e linguistici forti.

Per quanto riguarda le spie, invece, è lo stesso governo giapponese a ritenerlo improbabile. Anche perché per una spia sarebbe molto più facile prendere un aereo con un passaporto falso.

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La spiegazione più plausibile è invece molto più prosaica: le navi fantasma sono in realtà vascelli da pesca che si avventurano in acque pericolose o in condizioni meteo avverse e finiscono per naufragare e andare alla deriva.

La teoria sarebbe confermata dal fatto che sulle coste giapponesi non arrivano solo navi fantasma ma anche, di tanto in tanto, navi da pesca che per un motivo o per l’altro finiscono alla deriva con carico e ciurma. Lo scorso novembre, per esempio, la polizia giapponese della città di Yurihonjo ne aveva recuperata una con otto persone a bordo che avevano dichiarato di essere pescatori. In totale nel 2017 sono arrivate in Giappone in questo modo 42 persone.

Come spiegava l’anno scorso il Guardian, la pesca è una parte importante dell’economia nordcoreana strangolata dalle sanzioni. L’anno scorso il Rodong Sinmun, il quotidiano ufficiale del partito di governo, aveva pubblicato un editoriale in cui la dichiarava addirittura fondamentale per la sopravvivenza del paese, paragonando le barche da pesca alle navi da guerra “che proteggono il popolo e la patria” e i pesci ai proiettili dell’artiglieria.

Fuori da questa retorica, i pescatori nordcoreani sono costretti a rispettare delle ingenti quote di pescato stabilite, e per farlo spesso la sicurezza passa in secondo piano. Questo fatto, unito alla presenza di ricche aree di pesca appena fuori dalle acque territoriali del Giappone e alle cattive condizioni delle barche—vecchie, senza GPS, prive di sistemi di navigazione moderni—sarebbe la spiegazione più logica per tutti questi incidenti.

“Sappiamo che il regime nordcoreano spinge i suoi contadini e pescatori a produrre quantità sempre più grandi di cibo,” ha spiegato nel 2015 al South China Morning Post Robert Dujarric, direttore dell’Institute of Contemporary Asian Studies della Temple University di Tokyo, “e a mio parere la spiegazione più probabile è che [i naufraghi] siano semplicemente pescatori che cercavano di rispettare delle grosse quote e che non avevano abbastanza carburante per tornare indietro.”

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