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A13N1: Restless Youth

Un giorno a Pisa con la prima occupante della Limonaia - Zona Rosa

Abbiamo incontrato una delle ragazze dietro il consultorio occupato a Pisa, riaperto qualche giorno fa dopo uno sgombero.
Foto di Anna Adamo.

Questo articolo è stato pubblicato originariamente sul nuovo numero di VICE Magazine, completamente dedicato all'attivismo oggi. Abbiamo incontrato Adele qualche giorno dopo la chiusura della Limonaia - Zona Rosa. Al momento in cui questo articolo va online le ragazze hanno riaperto la struttura, ma il rischio di un nuovo sgombero resta.

Adele Gigli mi viene incontro saltellando attraverso la piazza antistante la stazione di Pisa, come se su di lei la gravità sortisse un effetto più blando che sugli altri esseri umani. Tiene al guinzaglio la timidissima Cara, che al contrario della padrona vorrebbe evidentemente scomparire in un tombino. Il contrasto della coppia crea un effetto comico. Adele ha solo 23 anni ed è già una delle fondatrici, insieme al collettivo queer aQara, di "Obiezione Respinta", una delle iniziative femministe più brillanti dell'anno.

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Al 2012, secondo la Relazione del Ministro della Salute sulla attuazione della legge contenente le norme per la tutela sociale della maternità e per l'interruzione volontaria di gravidanza le percentuali di obiettori di coscienza tra ginecologi e ostetrici superano il 70 percento, con picchi nelle regioni meridionali.

Solo pochi mesi fa la Regione Lazio si è trovata costretta ad assumere due ginecologi non obiettori al Fatebenefratelli, l'ospedale ginecologico di Roma. Qui, i medici disposti a effettuare l'interruzione di gravidanza erano talmente pochi, a fronte degli oltre tre milioni di abitanti della capitale, che abortire era diventata un'impresa.

Il progetto Obiezione Respinta, mi spiega Adele mentre siamo stese sul suo letto con Cara raggomitolata in un angolo, nasce come un gioco solidale tra studentesse fuori sede. Pisa è una città di passaggio e nessuno pianta le radici abbastanza a lungo da sapere quali sono i medici e i servizi migliori. Così, tra amiche, decidono di mappare tutti i medici obiettori e i farmacisti che si definiscono tali. Infatti, benché sia illegale, molti farmacisti italiani si autodefiniscono obiettori di coscienza, negando la vendita di farmaci contraccettivi. Dal terrazzo di casa di Adele, oltre l'Arno, si intravede una delle farmacie incriminate, dove lei, mi dice sghignazzando, entra chiedendo preservativi a gola spiegata ogni volta che ne ha bisogno.

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Adele continua raccontandomi che la vera svolta per Obiezione Respinta avviene grazie all'incontro con Non Una di Meno, uno dei collettivi femministi più in vista al livello nazionale. È qui che i ragazzi di aQara decidono di estendere il progetto a livello nazionale. Costruiscono il sito web e lo lanciano lo scorso 8 Marzo, raccogliendo fin da subito migliaia di consensi e segnalazioni provenienti da tutta Italia. La mappa si arricchisce sempre di più fino a raccogliere interi resoconti personali di donne e ragazze che si sono sentite negare i loro diritti fondamentali.

Uno dei commenti più incredibili riguarda l'esperienza di una donna a cui il medico di un ospedale napoletano si rifiuta di praticare esami medici dopo un aborto spontaneo accusandola di lamentarsi troppo rispetto a quanto non facessero le donne cinquant'anni fa.

Adele Gigli Limonaia Pisa foto di Anna Adamo

A fronte di un successo tanto vasto quanto insperato, Adele e le sue compagne si rendono conto che Obiezione Respinta è solo l'inizio. Vogliono fare qualcosa di ancora più concreto. Contattano il loro avvocato—si autofinanziano con eventi musicali—per mettere su uno sportello di aiuto legale per coloro che hanno subito violenza ostetrica e ginecologica. Al tempo stesso, aprono un dialogo con l'Aied di Pisa per attivare un altro sportello di natura strettamente ginecologica. A questo punto però serve un posto dove tutti questi progetti possano prendere forma. Questo posto è la Limonaia di Pisa.

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La Limonaia, il cui nome ne spiega l'originario utilizzo, si trova in un vicoletto pisano non lontano dalla facoltà di matematica dell'Università di Pisa. Si tratta di un edificio antico a due piani, parte di un ex casa signorile, la cui sala principale si affaccia su un giardino dall'aria romantica e dimessa. È di proprietà della provincia, che lo ha messo all'asta dopo che quattro anni fa il ristorante che ne era ospitato a chiuso, senza mai riuscire a venderlo, mantenendo attive le utenze.

Un mese fa, quasi casualmente, Adele e le altre si accorgono che la serratura della porta d'ingresso è rotta. Da lì il passo è breve. Il 7 aprile scorso decidono di occupare la Limonaia e renderla a tutti gli effetti uno spazio femminista che contenga al suo interno un vero e proprio consultorio. Nasce così la Limonaia - Zona Rosa.

Per un mese, la Limonaia ha ripreso a essere vissuta dalle persone che ne avevano bisogno, anche grazie alla sinergia sviluppata con l'Aied e la "casa della donna" di Pisa.

Ironicamente, a pochi giorni dal mio arrivo a Pisa, la Limonaia viene sgomberata su ordine del comune. Adele mi parla della solidarietà dimostrata dai pisani e dell'occupazione del comune da parte di moltissimi studenti e studentesse in segno di protesta. Mi racconta le cose in modo vivido, con un linguaggio immaginifico che mi da una strana sensazione di nostalgia per un periodo italiano che non ho mai vissuto, quello in cui le lotte studentesche e la solidarietà dei più deboli sembravano avessero il potere di cambiare le cose. Mi ricorda il ritaglio di giornale incorniciato nello studio di mio padre, dove alcuni suoi vecchi amici di Lotta Continua sollevano una molotov gigantesca ridendo dietro a delle sciarpe utilizzate per nascondere il volto.

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"Chiaramente quando fai un'occupazione femminista e hai un percorso femminista alle spalle che non riguarda soltanto te ma riguarda una realtà più ampia anche all'interno della città, andare a fare le cose da sole può rischiare di apparire autoreferenziale, autoritario, può rischiare di spezzare un percorso iniziato in precedenza da altri", mi spiega Adele. "Noi abbiamo fatto la scommessa di riaprire lo spazio e di riaprirlo davvero. E di farlo con una gestione condivisa dalle varie realtà locali [ collettivi studenteschi, centri sociali, ragazze di Non Una Di Meno], aperta alle idee di tutti. E cazzo, ci siamo riuscite".

Il cancello esterno è ricoperto dalle foglie di un rampicante che ricadono morbidamente su loro stesse nascondendo le mura di pietra che cingono la Limonaia. Dalle grate si intravede una buona porzione del giardino. L'occhio cade inevitabilmente sul mezzobusto in stile classico foderato di muschio che campeggia sul perimetro esterno. A pochi metri dalla statua si allunga il fusto di una palma e, subito davanti, fanno capolino tra l'erba gli oggetti delle ragazze rimasti lì dopo lo sgombero: un telo, degli zaini, un pareo. Adele mi trascina via da lì dichiarando che vedere il giardino in quello stato la fa intristire. Pochi metri più avanti mi mostra l'ingresso dalla quale erano entrate qualche settimana prima. Attraverso la porta a vetri riesco a vedere le locandine di Obiezione Respinta sparse un po' ovunque, insieme ad altri oggetti nello stesso stato di abbandono di quelli in giardino. Adele mi spiega che oltre agli sportelli, in quella e altre sale avrebbero dovuto aver luogo molte attività. Una di queste doveva essere un corso di lingua per immigrati.

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"A Pisa non ci sono centri di accoglienza misti o femminili, per cui i richiedenti asilo sono tutti uomini", mi racconta Adele. "Quando sono entrati in contatto con la Limonaia e si è creata da subito un'ottima relazione".

"I migranti, come le donne, devono avere il diritto ad autodeterminarsi. La Croce Rossa dovrebbe offrire loro alcuni i servizi basilari a cui ogni essere umano ha diritto. Eppure non succede". Per questa ragione all'interno della Zona Rosa era previsto che fossero svolte alcune attività. "Loro ci avrebbero insegnato il francese e noi l'italiano". Poi, ridendo, mi mostra alcuni messaggi che si scambia con un migrante con cui è entrata in confidenza, Vadick. Lo sgombero della Limonaia ha coinciso con l'unione dei richiedenti asilo in un collettivo a se stante, il Collettivo dei Migranti di Pisa, che mi piace pensare sia la testimonianza del potere contagioso della lotta dal basso.

"Parlare di femminismo con loro è incredibile. Perché inizialmente ti dicono che tutto quello che vuole una donna è trovare un marito. E tu gli dici 'no, io sono una donna e tutto quello che voglio è auto-determinarmi'. E dopo pochi giorni hanno già capito tutto, perché anche loro sono in una situazione simile alla nostra.

Ed è strano, perché ti ritrovi a parlare con degli uomini culturalmente diversi da te e di fronte ai quali tu sei la privilegiata. Perché io non vivo nella paura che un poliziotto possa fermarmi, chiedermi i documenti e portarmi via. E femminismo per me vuol dire questo. Il femminismo non parla solo di donne, ma parla di soggettività che si definiscono femminili in quanto subalterne, in quanto estranee al meccanismo di competizione che porta avanti il mondo. Il femminismo parla di prendersi cura delle relazioni per andare avanti tutti insieme. E quando questo lo spieghi in un'assemblea di migranti è una potenza. Per cui il primo giorno sono in tre e il secondo giorno sono in sessanta che vogliono auto-determinarsi insieme a te".

"Sai, era una scommessa così grande, che il giorno in cui ci hanno sgomberati è stata anche una giornata bellissima", mi dice Adele commossa mentre mi riporta in stazione. "Tutto il quartiere è venuto a manifestare con noi urlando che avremmo dovuto occupare qualche altro posto e che la Limonaia non era finita. È lì che mi sono resa conto del valore di ciò che abbiamo costruito".

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