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Tecnologia

Davvero qualcuno sta costruendo mini-cervelli di Neanderthal?

Il Max Planck Institute e l'Università della California San Diego stanno combinando organoidi, CRISPR e paleogenomica per sviluppare "mini-cervelli di Neanderthal" in vitro per spiegare ipotetiche differenze cognitive dei nostri cugini estinti.
Immagine: Shutterstock

Incrociando organoidi, CRISPR e paleogenomica — i tre ambiti della ricerca biologica più sexy in questi ultimi anni — almeno due distinti gruppi di ricerca stanno facendo crescere “mini-cervelli di Neanderthal” in vitro. “Stiamo cercando di ricreare la mente dei Neanderthal” ha dichiarato a Science Alysson Muotri, dell’Università della California San Diego, ottenendo un bel titolone e un sacco di pubblicità, con una ricerca che non è ancora stata pubblicata in letteratura scientifica ma soltanto presentata in maniera preliminare alla conferenza Imagination and Human Evolution, all’inizio di giugno. Ancora prima, a maggio, tramite un’intervista sul Guardian, Svante Pääbo — uno delle figure di maggiore spicco della paleogenetica moderna — aveva annunciato che il suo team al Max Planck Institute stava crescendo mini-cervelli neanderthal, con l’intenzione di capire in che modo le differenze genetiche tra Sapiens e i nostri cugini più prossimi cambiano lo sviluppo del cervello, e se possano spiegare ipotetiche differenze cognitive. Sono esperimenti senza dubbio interessanti e affascinanti, ma chiamarli “mini-cervelli” di Neanderthal evoca probabilmente un’immagine mentale un po’ fuorviante. Considerato che Muotri ha dichiarato su Science che collegherà questi “Neanderoid” a robot a forma di granchio per vedere se si comportano in maniera differente da robot con “mini-cervelli” Sapiens, forse le immagini fuorvianti sono l’ultimo dei suoi problemi.

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L’idea — ignorando per un momento le aspettative e le PR che ci girano attorno — ha del potenziale. Quelli che vengono descritti come mini cervelli sono, in realtà, organoidi cerebrali: delle culture cellulari tridimensionali che, partendo da cellule staminali opportunamente stimolate, riescono a organizzarsi in maniera abbastanza simile all’organo che cercano di riprodurre. Sono, in altre parole, pallette di qualche milione di cellule, con un diametro complessivo di pochi millimetri, ma hanno una corteccia cerebrale, nuclei basali, e una struttura che riproduce in qualche modo alcune delle parti del sistema nervoso centrale.

Nel cervello, la comunicazione tra le varie strutture è fondamentale, e l’organoide permette di riprodurre queste interazioni molto meglio di altri tipi di esperimenti in vitro e di osservarne lo sviluppo nel tempo, come se fosse il cervello di un embrione mentre si differenzia. Non per niente, gli organoidi cerebrali sono utilizzati per studiare come combattere il virus Zika durante lo sviluppo embrionale, o quale sia l’azione dei geni coinvolti nei disturbi dello spettro autistico. Nel caso degli esperimenti di Moutri, la continuità con la ricerca sull’autismo è particolarmente evidente: l’esperimento si concentra su NOVA1, una proteina che ha un ruolo importante durante lo sviluppo embrionale, e che è collegata a disturbi autistici e schizofrenia. Poiché il gene Neanderthal per questa proteina differisce dalla versione più comune nei Sapiens di una specifica lettera, tramite l’utilizzo di CRISPR, i ricercatori sostituiscono una lettera nel DNA delle cellule staminali umane prima di far crescere l’organoide.

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A voi decidere se cambiare una singola lettera in un singolo gene significhi ricostruire “la mente dei Neanderthal” — ma vale la pena sottolineare che, dato che la proteina ha un ruolo regolatorio, questa piccola differenza ha effetti a cascata, e va a modificare centinaia di altre proteine. L’effetto sugli organoidi è ben visibile, con i “Neanderoid” che assumono una forma più a “pop-corn” rispetto a quelli non modificati, che restano sferici.

Ma non è altrettanto facile capire quali effetti queste differenze possano avere su un cervello, figuriamoci sulla cognizione, di un adulto. Lo stesso Pääbo ha commentato su Science sul tema, tra lo scettico e il fiducioso: “Gli organoidi sono molto lontani dal poterci dire come funziona un cervello adulto,” ha precisato, sottolineando inoltre le molte difficoltà tecniche dell’approccio. “Ci sono ancora un sacco di esperimenti di controllo da affrontare, ma sono fiducioso che in futuro saremo in grado di superare certi dubbi.”

Moutri si è sbilanciato un po’ di più nelle sue dichiarazioni: “Non voglio che le famiglie pensino che sto paragonando i bambini autistici ai Neanderthal, ma è un’osservazione importante. Negli umani moderni, queste differenze sono legate a difetti nello sviluppo che sono necessari per la socializzazione. Se è vero che questo è stato uno dei nostri vantaggi rispetto ai Neanderthal, è un’osservazione rilevante.”

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