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Musica

Perché sono tutti impazziti per il post di Gemitaiz su Salvini?

Che Salvini non l'avrebbe presa bene era prevedibile, ma non ci aspettavamo reazioni del genere dal pubblico.
Foto via Facebook.

La prima canzone di Gemitaiz per cui sono entrato in fissa era “34 rime pe’ spiegatte quanto sei bianco”. I motivi sono i più puerili: ero un ragazzino, con il sogno di Chicago, quindi era naturale il fomento per un altrettanto ragazzino, anche se di qualche anno più grande, che — forse anche troppo innocentemente — si appropriava di certi dettami d’oltreoceano per insultare un altro rapper. Per cui capirete lo stupore che ho provato quando mi sono accorto che su Facebook e su Instagram molti dei suoi fan hanno, per qualche perversa ragione, molti più punti in comune con Salvini che con Gemitaiz. Un piccolo passo indietro: nella giornata di ieri Gem ha pubblicato una Instagram story che recitava: “Salvini ti auguro il peggio. Se muori facciamo una festa”. Vista la premessa di cui sopra, è bene ricordare che negli Stati Uniti uno dei singoli rap di maggior successo di un paio d'anni fa s’intitola “Fuck Donald Trump”. Per chiunque abbia un minimo di conoscenza del genere e del contesto, non può stupire che Gemitaiz si esprima contro un governo dichiaratamente di destra e non inclusivo, nonché, meno dichiaratamente nella presentazione, ma molto più nei fatti, razzista. E nemmeno che lo faccia con toni accesi, visto che praticamente “toni accesi” è la definizione da dizionario del rap.

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La story in questione è stata postata su Facebook accanto a una foto che ritrae Gemitaiz e condivisa, tra gli altri, da Calderoli prima e da Salvini poi, con il risultato che in queste ore il rapper romano sta subendo una serie di attacchi particolarmente violenti sui social.

La storia del rap in Italia è diversa da quella del genere nel resto del mondo per alcuni punti chiave che, guarda caso, hanno a che fare con la politica. Qui, l’hip-hop è nato negli anni Novanta con una forte connotazione politica vicina ad ambienti di estrema sinistra e anarchici; con il tempo, assorbita la lezione della scena di oltreoceano, ha raggiunto l’estremo opposto, perdendo ogni forma di interesse nei confronti dell’impegno sociale, a meno che non serva a promuovere i dischi e rendere più interessanti le proprie bio di Twitter.

Una decina di anni fa Jake La Furia in “Ciao Proprio” tuonava “ti ascolti il rap e hai l’avatar di Adolf Hitler”, e ci dice molto sulla situazione attuale il fatto che debba precisare che lo connotava come un paradosso. È normale che, in un’epoca in cui il rap è seguito da milioni di persone, la cornice e il contesto in cui ti sembra di essere ben inserito si perda; è impossibile che ogni ascoltatore di rap abbia le stesse idee su tutto, ma sentite qua: il razzismo in primis non è un’idea, né un’opinione, ma un errore storico e filosofico; in secondo luogo, è ancora più assurdo e sbagliato associarlo anche minimamente al rap, anche se magari non sei un ascoltatore abituale e ti piace semplicemente gasarti di quanto Gemitaiz si senta “Bene” o si strugga d’amore in “Forte”.

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Capiamoci, non è che io stia dicendo che tutto il rap debba essere politicamente impegnato. È fantastico ascoltare la musica anche solo per prendersi bene mentre si è in macchina, piangere per la ex che ti ha mollato o semplicemente staccare la testa, ma il contesto di cui sopra, in un genere come il rap, è fondamentale che, anche se sottotraccia e in secondo piano, rimanga. Se però entri in determinati meccanismi, anche se sei un ascoltatore di passaggio, distratto, passivo, devi accettare le regole del gioco.

In Italia, vuoi perché il mercato musicale è potenzialmente ridottissimo, vuoi per una mentalità insita nel nostro modo d’essere, c’è questa presunzione che l’artista non debba esprimere la propria opinione. “Fai musica, dai, non occuparti d’altro”. Come se per un artista il cui lavoro è letteralmente indagare ed esprimere se stesso fosse possibile o anche solo sensato trattenersi o censurarsi.

Il problema, quindi, non è che Salvini e Calderoli si siano scandalizzati per il post di Gem, quello è ovvio. Gli ha pur sempre, usando un’iperbole (cosa che, ricordiamo, è praticamente il suo lavoro), augurato la morte. Il problema è vedere i suoi stessi fan, le stesse persone che lo hanno supportato quando cantava “scappavo dai fasci con le mazze / con il Marker aperto nelle tasche”, mettersi a difesa di un governo che va contro i principi fondanti non solo del rap, ma dell’arte tutta. Questa polemica dovrebbe essere una sveglia che suona per tutta la scena musicale italiana, perché ha dato per scontato di condividere dei valori di base con il suo pubblico, e invece, per una parte consistente, salta fuori che non era così.

Tommaso è su Instagram.

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