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Macro

Da dove viene l'ossessione per lo street food in Italia

Negli ultimi anni, il concetto di street food non solo ha assunto un nuovo significato nel vocabolario popolare, ma sembra aver invaso ogni città italiana ed essere l'ossessione culinaria del momento.

Foto di

Antonio Díaz de Sandi, via Munchies

Questo post fa parte di Macro, la nostra serie su economia, lavoro e finanza personale in collaborazione con Hello bank!

Fino a qualche tempo fa, l'unico street food italiano che consumavo era rappresentato dal panino con il lampredotto fuori dallo stadio di Firenze e dai paninari fuori dalla discoteca con dentro un sacco di cose che già sapevo non avrei digerito. Allora mai mi sarei sognata di chiamarlo con quel nome: il cibo da strada equivaleva a furgoncini dall'igienicità discutibile che vendevano cibo a prezzi decenti strettamente legati a un tipo di evento, e che in occasioni diverse non ti saresti mai sognato di mangiare.

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Non sono passati molti anni, eppure oggi il concetto di street food non solo ha assunto un nuovo significato nel vocabolario popolare, ma sembra aver invaso ogni città italiana ed essere l'ossessione culinaria del momento.

Con il termine street food si indica, ovviamente, il cibo da strada: ricette—spesso povere—della tradizione italiana e non, realizzate solitamente con prodotti locali e che possono essere consumate di fretta, in piedi, differenziandosi in questo dai cibi da ristorante. Negli ultimi tre anni, questo modo di mangiare ha portato alla nascita di festival, libri, blog e di una sua terminologia e il cibo da strada viene venduto in mercati e negozi ma anche e soprattutto nella sua veste più iconica: a bordo dei food truck, i furgoncini—per l'87 percento ape piaggio—diventati parte dell'arredo urbano.

In questi anni il commercio ambulante in generale ha registrato un costante aumento—in particolare per quanto riguarda lo street food, che secondo una ricerca del Ministero dello Sviluppo Economico che ha monitorato la situazione a partire dal 2008 sarebbe cresciuto del 17 percento.

Se da una parte l'origine dello street food nel nostro territorio è viva sin dai tempi degli antichi romani, dall'altra negli ultimi anni la sua popolarità è cresciuta—anche sulla scia di un trend globale—andando a cambiare le abitudini alimentari degli italiani. Questo almeno stando all'indagine presentata a ottobre dalla Coldiretti, secondo la quale il 75 percento degli italiani dichiara di aver consumato almeno una volta dello street food nel corso dell'ultimo anno.

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Secondo una ricerca, la motivazione dietro quest'esplosione sarebbe la tendenza, più forte che in passato, a badare di più alla qualità che alla quantità, con il conseguente effetto di una risvegliata passione per le ricette tradizionali realizzate con prodotti dalla provenienza locale. Il secondo aspetto importante dietro all'incremento dello street food starebbe poi nei ritmi di vita più frenetici per cui le persone, molto spesso, si trovano ad avere poco tempo a disposizione per mangiare.

Di conseguenza, chi ha deciso—come spesso succede nel caso dei food truck—di abbandonare l'attività precedente per dedicarsi al mondo del cibo di strada ha visto il proprio fatturato e la propria clientela crescere costantemente.

Lucrezia, 28 anni, ha cominciato un'attività di ristorazione di questo tipo insieme al fratello un anno e mezzo fa, a Milano. "Un paio d'anni fa c'eravamo resi conto che la gente non aveva più voglia di sedersi nei ristoranti con la sensazione di spendere, ma comunque non voleva rinunciare allo stare in compagnia," mi ha detto. Così ha sfruttato la passione comune sua e del fratello per abbandonare il suo lavoro di scenografa e aprire con lui un furgoncino da cui vendere street food.

A conferma della sensazione di Lucrezia che l'interesse per lo street food sia fortemente legato alla crisi, la stessa ricerca della Coldiretti fa risalire l'esplosione del settore all'estate nel 2013, periodo in cui l'andazzo dell'economia faceva segnare forti perdite nel mondo della ristorazione e in cui l'11 percento degli italiani si è trovato a dover tagliare le spese relative al mangiar fuori.

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La crisi ha portato anche a una crescita delle varie sagre locali e feste, che hanno avvicinato le persone a un nuovo modo di mangiare che ora ha superato i muri dell'esigenza diventando definitivamente una moda. Sfruttando anche l'onda di un ossessione ben più ampia per il mondo del cibo in tutte le sue forme, oggi lo street food si è andato a scindere dalla sua originaria connessione con i prezzi bassi e l'equazione non è più scontata—come suggeriscono i sempre più numerosi food truck presidiati da chef stellati.

"Due anni fa, quando abbiamo deciso di cominciare a guardarci intorno per trovare un'ape piaggio, c'erano solo due aziende che si occupavano di adibire i mezzi a food truck. L'officina che lo ha fatto a noi non aveva mai fatto un lavoro del genere e il prezzo era molto basso, sicuramente inferiore a quello che si paga ora," mi ha detto Lucrezia.

Oggi esistono diverse officine, aperte da poco o recentemente convertite, che si occupano esclusivamente di ristrutturare food truck, e di anno in anno riportano un aumento drastico del fatturato.

"Per cominciare un'attività del genere servono circa 40mila euro," mi ha detto Marco, 29 anni, che fino a due anni fa lavorava in uno studio grafico e oggi ha aperto un food truck con un suo amico. "30mila per il camioncino e 10mila per il resto. Una volta fatto l'investimento e presi i vari permessi devi essere bravo a gestirti il lavoro, che sicuramente non manca, ma che devi saperti cercare."

Più che trovare l'officina in grado di ristrutturare un food truck, quindi, oggi il problema sembra essere più che altro quello di trovare un luogo libero dalla concorrenza, oltre al muoversi tra una complicata burocrazia.

"Il problema riguarda i permessi, ma ottenerli non è difficile. Esistono due tipi di permesso: ambulante e itinerante. Con quello itinerante vigono regole molto severe: a Milano non si può stare dentro la cerchia del centro, non si può stare vicino a vie in cui ci sono attività commerciali, non si può stare nel solito posto per più di due ore, che è un tempo ridicolo, né fare aggregazione con altri food truck. E per i luoghi più gettonati, fuori dalle scuole o dalle università, c'è da sgomitare, siamo sempre di più e bisogna sapersi muovere e offrire un buon prodotto per sopravvivere," ha concluso Marco.

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