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#Escile, le pagine Spotted e il vero problema della cultura universitaria italiana

Più delle polemiche sull'opportunità o meno di uscire le tette su una pagina universitaria, la sfida delle pagine Spotted ha mostrato molto chiaramente una cosa: come in Italia non esista alcuna forma di "cultura universitaria".
Niccolò Carradori
Florence, IT

L'articolo di

Libero. Grab via.

La scorsa settimana si è parlato molto di un'iniziativa nata dagli amministratori del gruppo Facebook Spotted: Polimi, una specie di "sfida" lanciata alle studentesse dell'ateneo milanese e deflagrata in forma di foto di tette di varie dimensioni, tutte accomunate dalla scritta "Polimi" e presumibilmente appartenenti a persone iscritte al Politecnico. Quasi immediatamente la trovata è stata imitata dalle pagine Spotted di altre università—tra cui la Bocconi, la Statale e la Cattolica—fino a raggiungere la massa critica necessaria a scatenare titoli entusiasti di Libero e le reazioni scettiche/indignate/stupite di molti, convinti che promuovere l'appartenenza a un ateneo attraverso quelle foto non fosse esattamente edificante o sensato.

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Nel frattempo è passata una settimana, ognuno ha avuto modo di esprimersi sulla vicenda o di inviare le proprie foto e le pagine Spotted di tutta Italia sono tornate a pubblicare annunci. Ma l'impressione, almeno secondo il sottoscritto, è che quanto successo qualcosa di sensato potrebbe averlo. Più delle polemiche sull'opportunità o meno di uscire le tette su una pagina universitaria, infatti, la questione ha mostrato molto chiaramente una cosa: come in Italia non esista alcuna forma di "cultura universitaria", e i piccoli zampilli rappresentati da iniziative di questo genere, che tentano di emularla, si esauriscano unicamente su internet.

Pensateci: siamo tutti cresciuti guardando film o serie televisive americane piene di studenti sfigati del college che "diventano grandi" cercando di fare sesso o sfidandosi tra confraternite, e anche se da noi non è mai esistito un corrispettivo adeguato, sappiamo, o supponiamo, che l'università non dovrebbe essere solo una fase formativa, ma anche una vera e propria esperienza di vita. Un'esperienza di vita in cui è possibile comprimere in un luogo socialmente riconosciuto tutte le pulsioni più materiali, depravate e stupide per l'ultima volta prima del baratro dell'età adulta. In cui ha senso bere aerostati pieni di birra fino a sboccarsi il duodeno e organizzare tornei farsa in cui mettere in mostra tette e pettorali finché non sono soggetti alle leggi della gravità e al decadimento fisiologico. O, per chi non se la sentisse, in cui è perfettamente accettabile organizzare gare di dibattiti.

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Anche se non le abbiamo mai viste o vissute in persona sappiamo benissimo cosa sono le iniziazioni per vessare le matricole, i dormitori del campus con la moquette, le confraternite per estromettere le classi sociali più deboli, i tornei di beer pong, quel compendio di malattie veneree che prende il nome di Spring Break, e quella specie di miraggio pornograficamente illusorio che sono i College Fuck Fest.

In Italia non esiste niente di tutto questo, e l'esperienza universitaria in sé e per sé prevede quasi unicamente la preparazione di esami per ottenere la laurea—o, in altri casi, un doloroso processo di fuga e allontanamento del momento in cui ci si dovrà trovare un lavoro. Frequentare l'università italiana, in poche parole, significa essere uno studente delle superiori con più tempo a disposizione per studiare o cazzeggiare, a seconda delle inclinazioni.

Anche nelle città prettamente "universitarie", in cui la gente si trasferisce da fuorisede per studiare, è così. E non parlo solo sulla base del mio vissuto universitario: buona parte del contorno di esperienze a cui facciamo riferimento quando pensiamo alla nostra vita da universitari si esaurisce nei ricordi tristemente divertenti di quanto puzzasse il caciocavallo che la famiglia del nostro coinquilino gli inviava mensilmente attraverso lo "scatolo" delle provviste.

Io ho frequentato l'università a Firenze e, come la quasi totalità dei miei compagni di corso, dopo appena tre semestri ho perso tutte le speranze che nutrivo nei confronti dell'università come "esperienza". Speranze di cui ci eravamo riempiti la testa non tanto o solo coi telefilm americani, ma per quella sensazione di cambiamento radicale e grandi aspettative che aveva preceduto l'iscrizione a un determinato corso di laurea.

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Nella pratica, però, la sede della nostra facoltà ricordava in modo spaventoso il magazzino in cui gli sgherri di Don Pietro danno la caccia a Salvatore Conte nella prima puntata di Gomorra; la mensa, in cui a volte servivano la ribollita, era uno dei pochi luoghi di autentica socializzazione; e le feste universitarie consistevano in serate organizzate durante i giorni feriali nelle stesse discoteche in cui tutti andavano durante il weekend, e a cui potevano entrare tutti, universitari e non. In pratica erano feste normali, con la sola differenza che la gente le chiamava "feste universitarie".

Così, dopo tre semestri ho semplicemente cominciato a fare quello che fa il 99 percento degli universitari italiani: frequentare le lezioni, studiare in biblioteca o a casa, uscire le stesse sere in cui uscivo durante le superiori, perlopiù con le stesse persone con cui uscivo durante le superiori. Il vero punto nevralgico della vita sociale universitaria era la biblioteca. Era lì che si esaurivano tutti i tentativi di interagire e concludere fra universitari: in mezzo agli anziani che venivano a scroccare la Gazzetta gratis e ai bibliotecari che tentavano di non farsi scoprire mentre passavano le ore a guardare i film di Tinto Brass nel catalogo del reparto audiovisivo.

L'unico modo per vivere un'esperienza universitaria "totalizzante" quindi, e suppongo sia ancora così, era fare l'Erasmus. Ovvero andarsene. In altri casi, l'alternativa più concreta è rappresentata dall'adesione ai gruppi politici di facoltà, residui dell'unica, vera, cultura universitaria che si era sviluppata in Italia: quella ideologica e politica che aveva portato alle grandi manifestazioni studentesche degli anni Sessanta e Settanta. Adesso queste realtà sono frequentate da studenti che passano i pomeriggi dopo le lezioni a colorare cartelloni di propaganda, volantinare e cercare di somigliare il più possibile a quel tipo di essere umano che non vorresti mai diventare.

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Ecco, vista così, la "sfida delle tette" potrebbe avere un altro significato. Non tanto nelle sue finalità o nelle sue premesse, ma per il solo fatto di esistere. Perché se non esiste altro, è normale che una cosa del genere emerga. E perché in un certo senso non c'è da stupirsi se le iniziative universitarie che fanno scalpore avvengono quasi esclusivamente su internet. Il fatto è che non esistono alternative concrete: è lì che è stata portata avanti negli ultimi anni la "cultura universitaria" italiana.

Inizialmente, non appena si è diffuso endemicamente l'utilizzo di Facebook, sono nati i gruppi "distintivi", come "QUELLI CHE FANNO MEDICINA", i cui membri condividevano, per identificarsi, meme tristissimi del tipo "Andare in giro con l'indice e il medio alzati e vedere che la gente pensa tu stia facendo il segno della vittoria! HIHIHI SOLO NOI DI PROCTOLOGIA POSSIAMO CAPIRE!!!!"

Con il tempo è cresciuto anche il pubblico di pagine legate al mondo universitario come Il Coinquilino di Merda, e più avanti sono arrivati i gruppi Spotted, che nella loro natura intrinseca rappresentano l'evidente mancanza di un ecosistema universitario nel mondo reale. Una mattina, mentre stavo andando in copisteria per procurarmi dei libri, ho visto una ragazza che mi piaceva uscire dalla mia facoltà: non l'avevo mai vista prima, e non sono riuscito a vederla nemmeno nei giorni successivi, che ho passato ad aggirarmi come uno stalker per le aule. Alla fine ho scritto un messaggio anonimo su Spotted: Unifi e dopo poche ore la ragazza in questione ha messo mi piace. Ovviamente poi non ho concluso niente, ma si era trattato pur sempre di una possibilità.

Quindi, pensandoci bene, è normale che iniziative come questa spopolino su Facebook: in Italia non abbiamo nemmeno delle occasioni e degli spazi sicuri per fare in modo che gli universitari si possano sputtanare in totale sicurezza.

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