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reportage

L'ex quartier generale del KGB di Riga fa ancora paura

Non conoscendo la storia dell'edificio probabilmente ci si potrebbe passare accanto senza sospettare nulla. Ma per più di 40 anni è stato il luogo in cui gli oppositori dello stato venivano imprigionati, torturati e uccisi.

Grazie alla sua florida industria sessuale, al basso costo della birra e a quello ancora più basso degli alloggi, Riga―per i turisti, almeno―è sinonimo di quel tipo di vacanza tra amici che finisce con occhi neri e denunce per disturbo della quiete pubblica. Come prevedibile, gli abitanti della capitale lettone non sono troppo felici della cosa. Ora però la città ha aperto al pubblico un edificio che attrarrà una clientela molto diversa―l'ex quartier generale del KGB, rimasto chiuso per gli ultimi 20 anni.

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Non conoscendo la storia dell'edificio probabilmente si potrebbe passare accanto alle sue finestre sigillate senza sospettare nulla. Ma quando la Lettonia faceva parte dell'URSS, infondeva paura in migliaia di persone; per più di 40 anni, infatti, è stato il luogo in cui gli oppositori dello stato venivano imprigionati, torturati e, nei casi peggiori, uccisi.

La Lettonia aveva ottenuto l'indipendenza nel novembre del 1918, appena quattro mesi prima che le forze sovietiche assumesero il controllo della maggioranza del paese lasciando al Partito Comunista della Lettonia il controllo di Riga. L'architetto dell'edificio che sarebbe poi diventato il quartier generale del KGB è stato una delle prime vittime del nuovo regime, giustiziato dalle autorità poiché ritenuto sovversivo.

Pian piano―e con l'aiuto dei soldati tedeschi―la Lettonia occupata è stata riconquistata, e ad agosto del 1920 la Russia è stata costretta a firmare un trattato di pace.

Nel 1940, dopo che l'URSS aveva deportato il Presidente lettone Kārlis Ulmanis  e occupato di nuovo il paese, il KGB si è insediato nel palazzo trasformandolo, per i quattro decenni successivi, nel centro nevralgico degli orrori del regime sovietico.

"Tutti in Lettonia hanno avuto a che fare con quell'edificio," mi dice la 57enne Anna Moeka, addetta stampa per i tour. "Per esempio molti hanno avuto parenti imprigionati qui, e chiunque viaggiasse all'estero all'epoca doveva prima informare il KGB. C'era anche una cassetta delle lettere, all'ingresso, grazie alla quale i civili potevano fare la spia sui loro vicini o colleghi. Era anche il luogo dove venivano redatti i mandati d'arresto."

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Uno dei molti soggetti di questi mandati è stato il padre di Anna. “Fortunatamente quando il KGB è venuto a bussare alla nostra porta lui era nei campi," mi ha raccontato.

Solo il 13 e il 14 giugno 1941 sono state deportate più di 15.000 persone. Il 25 marzo 1949 ne sono state bandite altre 42.000. A quel punto il padre di Anna era già su una nave per la Svezia, dove andava in cerca di rifugio laciando gli amici e la famiglia a Riga.

L'edificio è uno strano miscuglio tra una prigione e una casa, pieno di dettagli che rimandano alla sua antica funzione―come i lucchetti alle porte e le foto segnaletiche sui muri―ma il tutto è accostato a una carta da parati floreale e ai grandi specchi dell'atrio. Quando apparteneva al KGB, i pavimenti dell'edificio erano stati ricoperti di moquette per attutire il rumore dei passi, e le pareti erano dipinte di rosso per nascondere le macchie di sangue.

Sono ancora molti i segnali del passato, a partire dai muri neri al piano terra, dove venivano fucilati i prigionieri, fino alle celle nei sotterranei. Ci sono ancora persino le brandine su cui dormivano i detenuti. Le stanze dove venivano condotti gli interrogatori sono sparpagliate per tutto l'edificio, ma si trovano quasi tutte al piano superiore. Le porte sono coperte da uno spesso strato di polvere.

"Se i detenuti erano fortunati, dalla cella potevano sentire la campana della cattedrale di Riga. Quello li rassicurava sul fatto che si trovassero ancora in città," dice Anna mentre camminiamo nel giardino, prima di aggiungere che ai prigionieri venivano coperti gli occhi e tappate le orecchie ogni volta che venivano spostati dalla loro cella. Sulla tromba delle scale ci sono ancora le reti installate per evitare che i prigionieri si suicidassero saltando giù.

"Penso di essere stata in questo edificio anche troppe volte. Almeno 40, sempre per via del lavoro," mi dice Anna. "Noi lettoni siamo persone razionali, ma devo dire che visitare questo edificio mi fa un certo effetto. Quando sono venuta la prima volta qui sono rimasta colpita, anche se dopo un po' comincia a sembrare normale. Ultimamente, sogno spesso questo palazzo. È come se avesse ancora un suo potere. Mi spiace per le persone che devono lavorare qui tutti i giorni."

Anna mi spiega che non è nelle intenzioni di Riga trasformare l'edificio in un'attrazione turistica. "È importante che guardiamo all'edificio come parte della nostra storia," spiega. "Che impariamo a convivere con il nostro passato, e che capiamo come parlarne."

L'edificio del KGB a Riga sarà aperto al pubblico fino al 19 ottobre 2014.