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La morte di A$AP Yams, raccontata da sua madre

Tatianna Paulino, madre del celebre manager e fondatore della A$AP Mob, parla del figlio e della droga che l'ha ucciso nell'anniversario della sua scomparsa.

Tatianna Paulino è la madre di Steven Rodriguez —o, come il mondo lo conosceva, A$AP Yams, manager e fondatore della A$AP Mob, che ha dato al mondo rapper come A$AP Rocky e A$AP Ferg. Yams è morto l'anno scorso, nel 2015, per un'overdose. Aveva solo ventisei anni. Abbiamo raccontato la storia di Rocky nel nostro documentario SXDDNLY. In questo articolo, scritto nel 2016, Paulino scrive della sua morte e di come l'esperienza l'ha cambiata. *** Oggi sarebbe stato il ventottesimo compleanno di mio figlio, Steven Rodiguez. Ma verso le tre del mattino del 18 gennaio 2015, ho ricevuto una chiamata del suo coinquilino. Steven, o A$AP Yams, era il fondatore della A$AP Mob; a volte mi aveva chiamata usando il numero di un amico. Ma, data l'ora, sapevo che non sarebbe stato niente di buono. "Mama Tati, Steven non si sente bene." Riuscivo a malapena a capire la voce al'altro capo del telefono, segnata dall'ansia, e il cuore mi ha iniziato a battere velocissimo. Era il coinquilino di Steve, che ha continuato, "Siamo in un ambulanza, stiamo andando al Woodhull Hospital di Brooklyn." "Oh mio Dio, è vivo?", ho chiesto: sapevo che c'era qualcosa che davvero non andava. In mezzo al casino che lo circondava, ha provato ad assicurarmi che Steven sarebbe stato bene.

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Sola, confusa e disperata, ho provato a chiamare mio marito, che in quel momento stava lavorando. Nessuna risposta. Quindi ho chiamato suo fratello, che ha accettato di portarmi all'ospedale dove mio figlio stava per arrivare. Ho aspettato quella che mi è sembrata un'eternità e, dopo venti minuti, è arrivato. Nonostante nessuno di noi sapesse come arrivare all'ospedale da casa mia, nel Bronx, avevamo corso per l'autostrada per vedere Steven. Ma, meno di un quarto d'ora dopo che ero uscita di casa, avevo ricevuto un'altra chiamata che mi informava della morte del mio bambino. Aveva ventisei anni. "No, no," ho urlato, incredula. Immediatamente, mio cognato ha fermato la macchina e, come me, si è messo a gridare. Siamo rimasti almeno dieci minuti lì, sul ciglio della strada, scioccati, prima di continuare il nostro lungo e silenzioso viaggio verso Brooklyn. Non riuscivo a non pensare a Steve. Lui che sorrideva, rideva, scherzava. A volte, quando arrivavo a casa dal lavoro, lui si nascondeva e cercava di prendermi allo sprovvisto saltando fuori da qualche angolo gridando "boo!" il più forte possibile. Rideva con tutto il corpo. A volte, mentre ero a letto a dormire, si compiaceva ad aprirmi le palpebre con le sue ditina e chiedermi, "Sei sveglia? Sei sveglia?" La sua faccia si illuminava di un sorriso enorme. E ora se n'è andato. Non condivideremo più momenti come quelli. Non riuscivo a respirare. Non riuscivo a pensare. Non riuscivo a credere che mio figlio, il mio unico figlio, era morto. Quando sono entrata nella sala d'attesa del pronto soccorso e vidi le facce angosciate, ma vive, degli amici e dei soci di Steven, mi sono sentita fregata. "Perché non vi siete presi cura di mio figlio?", volevo dire. Ma sono stata portata nella stanza dove il suo corpo stava riposando. C'erano dei tubi in ogni suo orifizio. Sono corsa da lui e ho provato a svegliarlo. "Svegliati Steven. Svegliati, piccolo. Svegliati, sono qua adesso." Era troppo, e sono svenuta. Ho poi saputo che Steve era morto, a quanto parte, per un'overdose. E la cosa avrebbe senso, dato che si era informato su un modo per curare le sue dipendenze. Inoltre, alcuni dei suoi amici avevano detto al New York Times che Steven "aveva sempre lottato con le droghe" e che "era la sua cosa." Tutto aveva senso. Ma spiegare la morte di mio figlio con un problema di dipendenza mi sembrava troppo semplice, troppo conveniente. Per gli ultimi ventidue mesi ho provato a informarmi il più possibile su quella droga, la "lean", di cui mio figlio dicevano fosse dipendente. Mi sono incontrata più volte con il Dr. Carl Hart, un professore della Columbia University e un esperto sul tema. Ho letto High Price, il suo libro sull'argomento, e ho studiato i fattori sociali e biologici che ci spingono ad assumere droghe.

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A$AP Yams, fotografia promozionale.

La pressione che mio figlio doveva sopportare era tremenda dato che nelle sue mani c'era il destino e il futuro della A$AP Mob, un collettivo che doveva restare unito, cavalcare l'onda del successo e produrre delle hit. Inoltre, mi raccontava di sentirsi sempre più lontano dal gruppo di amici e creativi che aveva passato così tanto tempo a mettere e tenere insieme. Steven stava molto attento ai soldi; non ne ha mai avuti molti. A essere sincera, ho dovuto pagare le cure per la sua dipendenza con i soldi dell'assicurazione sanitaria del mio lavoro. E questo Steven lo sapeva bene. Con il passare del tempo, si stava sentendo sempre meno a suo agio a ricoprire il suo ruolo nella A$AP Mob. Era un business che stava iniziando a pesargli, sia a livello mentale che fisico. Non gli piaceva aver dovuto rendere quello che era un collettivo di amici in un'azienda chiamata A$AP Worldwide. Credo che le droghe che prendeva fossero un modo per decomprimere, rilassarsi.

Ora so che la lean, la sua droga preferita, è un misto di sciroppo per la tosse contenente codeina e una bibita a caso. Si chiama anche "purple drank," po" o "syrup." La codeina, un oppioide dagli effetti simili a quelli della morfina, è uno degli elementi chimici presenti nell'oppio al suo stato naturale. Viene usato per sopprimere medicalmente la tosse così come per curare leggeri e moderati dolori. Può anche causare euforia e alleviare lo stress. In altre parole, la codeina può anche essere usata per farsi. Sono venuta a sapere delle morti di DJ Screw e Pimp C, rispettivamente nel 2000 e nel 2007, entrambe a causa della lean. Mi sono chiesta se Steven lo sapesse, e perché questo sciroppo per la tosse fosse ancora sul mercato. La situazione non è così semplice, a quanto pare. Grazie alle mie conversazioni con il professor Hart, ho imparato che anche se è possibile morire di un'overdose di oppioidi e solo di oppioidi, è piuttosto raro che questo avvenga. La maggior parte delle morti legate agli oppioidi implicano l'uso di altre droghe. La combinazione di oppioidi con altri sedativi, ad esempio l'alcool o le benzodiazepine, è piuttosto pericolosa. L'esame tossicologico di Steven rivelò, come potevamo aspettarci, che non aveva ingerito solo codeina ma anche oxycodone (un oppioide) e alprazolam (una benzodiazepina). Sapeva quanto poteva essere pericoloso mescolare oppiodi e altri sedativi? Io, certamente, non lo sapevo. Anche se ci mettono a disagio, le comunicazioni pubbliche su droghe e salute dovrebbero essere più chiare e semplici nel sottolineare problemi reali invece di creare clamore attorno a conseguenze meno probabili. Vorrei una comunicazione basata su frasi semplici come, "Non mischiate oppioidi con altri sedativi!" Se fosse così, forse oggi mio figlio sarebbe ancora vivo. Per essere chiara, mi rendo conto che i genitori, me compresa, dovrebbero scoraggiare l'uso di droghe. Ma vorrei che sappiate che mio figlio voleva farsi, non voleva morire. E dato che questo vale per molti ragazzi e ragazze, che ci piaccia o no, dovremmo fare tutto quello che possiamo per tenerli al sicuro e in vita. È la cosa più umana da fare.

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