Una gran parte del successo della musica contemporanea e delle sue hit si gioca in ambiti al confine tra la tecnologia, le piattaforme social e il passaparola. Una massa di sistemi che fanno massa e si integrano e completano a vicenda, a volte con più di qualche ombra di sottofondo sulla maniera in cui agiscono e collaborano, scelgono e diffondono.
Un tempo il processo era ben diverso, ovviamente, benché non necessariamente più trasparente e lineare. Se pensiamo al periodo compreso tra gli anni Ottanta e i Novanta, riscopriamo in fretta che uno dei veicoli promozionali più agognati era il videoclip, un’occasione unica per invadere i palinsesti televisivi e mostrare l’immaginario di riferimento delle proprio musiche.
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Non era un meccanismo semplice, sia chiaro, visto che i canali disposti a ospitare i video erano pochi e poco il tempo a disposizione, e sarebbe passato del tempo prima di assistere all’epopea di Videomusic e MTV Italia. A fronte di tutto l’infinito materiale oggi immediatamente a disposizione su YouTube e compagnia, è poi oggi quasi impossibile tentare di far immaginare quanto fosse sfiancante, ma ricca di risvolti profondi, l’attesa del video ricercato tanto a lungo.
La meraviglia vista una sola volta e poi dispersa fino alla programmazione notturna, il programma dedicato, la botta di fortuna e del caso. Da lì, peraltro, sarebbe poi nata una generazione intera di registi e creativi, ad esempio il magico trio di Spike Jonze, Chris Cunningham e Michel Gondry, oppure Floriana Sigismondi e Mark Romanek: registi in grado di ergersi spesso al ruolo di autori, interpreti della poetica dei musicisti e sguardi eccezionali sull’immaginario, il proprio e quello degli altri.
Vogliamo riprendere le fila dell’arte dei videoclip, e aggiornarvi sui video migliori e i più interessanti.
Cominciamo dunque dal recentissimo “Marymango” di Ghali, con feat di tha Supreme, che è un piccolo capolavoro di stop motion, fattanza e incarnazione dei due rapper in forma di plastilina. Proprio come dicevamo poco sopra in riferimento ad altri colleghi, i due registi e autori, Giulio Rosati e Stefano Colferai, hanno dimostrato di avere una personalità fortissima e uno sguardo visionario, perfetto per concretizzare tutta la sostanza e l’immaginario dei due musicisti al meglio.
Con un’atmosfera a metà tra I viaggi di Gulliver, Alice nel Paese delle Meraviglie e i corti deliranti di Jan Švankmajer, veniamo lanciati all’interno di un frigorifero, dentro allo stomaco di un pesce gigante, sopra a un albero con frutti stonati e, be’, in cielo. Tutto a forza di canne grandi così e deliri vari.
Per approfondire un po’ il discorso, abbiamo quindi voluto intervistarli.
Noisey: qual è il vostro lavoro e la vostra quotidianità?
Giulio: Sono un regista in ambito musicale e commerciale, e non ho una vera e propria quotidianità. A volte anzi è proprio un elemento che viene a mancare e che cerchi di ritagliarti per non sentirti troppo spaesato. Ogni video ha una sua storia e un suo flusso. Ogni volta gli ingranaggi che si mettono in moto sono differenti e cerchi di adeguarti.
Stefano: Mi occupo principalmente di scultura e animazione. Il mio lavoro ed il mio mondo si contraddistinguono per un estetica che fonde mondo manuale con mondo digitale. Gran parte della mia attività ruota intorno alla modellazione della plastilina, e da qualche anno anche all’animazione stop motion che mi permette di dare vita a tutto quello che realizzo. Non ho una vera e propria routine, lavoro costantemente a progetti personali che si alternano alle collaborazioni con i clienti, per animazioni stop motion e still frame.
Come avete incontrato Ghali?
G: Nel 2018, mentre scattava la copertina di Rolling Stone, di cui ho realizzato il video cover, poco prima del tour Dai palazzi ai Palazzetti. Da li abbiamo iniziato a lavorare insieme e il percorso con i videoclip. Ci siamo da subito trovati bene e abbiamo realizzato “Turbococco”, “Flashback”, “Boogieman” ma in generale tutto il progetto DNA, che ho avuto modo di seguire fin dall’inizio. Grazie al disco abbiamo viaggiato un sacco insieme ed è nata una grande amicizia. Difficilmente stringo un legame con gli artisti con cui lavoro perché appunto è sempre difficile unire la vita privata a quella professionale ma Ghali è un ragazzo speciale oltre che un grande artista e gli voglio bene.
S: Ci siamo conosciuti su Instagram, avevo in DM un suo messaggio nel dicembre del 2015; mai letto. Mi faceva i complimenti per mio il lavoro, chiedendomi cosa poteva fare per avere un ritratto. In quel periodo avevo iniziato a realizzare una serie di volti che celebravano i miei preferiti artisti hip hop, rap, trap. Quando ho ritratto Ghali era appena uscita “Sempre me” e fu una bella coincidenza il fatto che, pur non sapendo della sua richiesta, iniziai comunque a lavorare al suo ritratto. Quando glielo mandai un mese dopo, entrammo in contatto. Da un anno a questa parte abbiamo iniziato seriamente a pensare di produrre un video in stop motion fatto di plastilina che nessuno aveva mai fatto prima, scambiandoci video reference e idee sempre su Instagram. Volevamo fare qualcosa per “Turbococco”, ma i tempi erano molto stretti. L’uscita di un progetto come DNA mi ha permesso di lavorare con più respiro.
Qual è la genesi di “Marymango”?
G: Era da un po’ che ci balenava in testa l’idea di realizzare un video con la plastilina, a dire il vero Ghali lo propose per la prima volta al tempo di “Turbococco” e proprio allora abbiamo conosciuto Stefano. Quando abbiamo iniziato a pensare ai videoclip per l’album non è stato difficile scegliere il brano su cui sperimentare e lanciarsi. Sapendo che non era un lavoro semplice e soprattutto che sarebbe stata una lunga preparazione, abbiamo subito contattato Stefano.
S: Abbiamo concretamente iniziato a parlarne qualche settimana prima dell’uscita di DNA, sapendo dell’ampiezza del progetto poteva esserci del tempo per la lavorazione, visto che le tempistiche sono completamente diverse dal videoclip girato. L’idea è stata un parto lungo un mesetto circa, sono costantemente rimasto in contatto con Giulio e quindi con Ghali per confrontarci sulle idee e lo sviluppo. Visto il titolo, avevo in mente qualcosa che potesse essere un trip quasi nonsense di cose che si susseguono senza una vera e propria logica. La svolta è stata trovare la chiave per far passare i protagonisti attraverso i due mondi.
Come avete lavorato e quanto ci avete messo?
G: Per me è stato molto difficile calarsi in questa realtà. Non è facile fare una regia quando a riprendere non è una telecamera. Siamo partiti da uno storyboard e da un’idea generale, ma ho sempre voluto che Stefano potesse esprimersi al 100% sia tecnicamente che attraverso le sue idee. Posso solo dire che il video, per quanto mi riguarda, è stato un flusso di coscienza, pura creatività. Le possibilità che ti dà questo tipo di tecnica è infinita, e io ringrazio Stefano, perché ovviamente nulla sarebbe stato possibile se non ci fossero state le sue mani.
S: La totale produzione ha occupato tre mesi circa, tra scrittura e storia, lo sviluppo dello storyboard, i confronti, la modellazione e l’animazione e via dicendo. Era la prima volta che mi calavo in una produzione cosi lunga e all’inizio mi ha un po’ spiazzato. Di solito il mio lavoro si concentra su animazioni senza troppo sforzo di regia e di breve durata. Ma poi ho raccolto le idee che avevo e cercato di amplificarle lasciandomi ispirare dai fumetti che avevo in casa: da Jesse Jacobs, Charles Burnes e Daniel Crow. Ma anche da film e video reference che potessero aiutarmi nel distacco dalla realtà un po’ più statica che contraddistingue il mio lavoro. In tutte le fasi ho avuto un costante confronto con Giulio sulla strada che in quel momento stavo prendendo, per capire assieme la migliore direzione da prendere per la realizzazione di ogni sequenza.
Perché proprio la stop motion? Avete qualche artista modello tra quanti lavorano in stop motion?
G: Per me è stata la prima volta, era appunto da un po’ che ci ronzava in testa questa idea. Stefano è uno dei migliori in Italia a fare quello che fa e ci siamo affidati completamente a lui. Personalmente non conosco moltissimi autori o modelli del campo, se non William Child.
S: Ho iniziato a dedicarmici e introdurla nel mio lavoro perché mi ha permesso di dare vita ai miei personaggi e amplificare la narrazione nei miei set. Si è trattata di una conseguenza dovuta all’avere tra le mani tutti i giorni la plastilina: il richiamo è fortissimo e influenze come Nightmare before Christmas, Galline in fuga e tutti i vari Aardman, Wes Anderson e via dicendo sicuramente mi hanno spinto ad avvicinarmi a questo mondo—ma, nello specifico: artisti del calibro di PES, Patagraph, Gianluca Maruotti. Collegandomi al video di “Marymango” penso sia una trovata geniale perché è come se il mondo di Ghali si fondesse con quello di Tha Supreme dando origine ad universo inesplorato prima d’ora.
Un momento particolare o indimenticabile del lavoro su “Marymango”?
S: Realizzarlo durante una pandemia è stata sicuramente una esperienza indimenticabile che mi ha messo a confronto con grandissime limitazioni tecniche. È stata un’incredibile prova di creatività e sforzo manuale, e una sfida sotto molti punti di vista. Sognavo da tanto di poter sfondare il muro del minuto e di potermi dedicare a scrittura e regia, questo mi ha aperto a nuovi orizzonti che non smetterò di esplorare. Una delle cose che più mi è piaciuta fare sono sicuramente i labiali: per riuscire ad animare le bocche dei personaggi mentre cantano mi sono ripreso durante strofe e ritornelli, replicando il mio lip-sync con la plastilina.
Quali sono i vostri pezzi preferiti dei due artisti?
G: Per quanto riguarda Ghali è difficile scegliere un solo brano. Diciamo che mi sento molto affezionato a Milano, in particolare. Mentre, per quanto riguarda tha Supreme, direi “Grazie a dio”.
S: Da parte mia direi: “Dende”, “Pizza Kebab” e “Lacrime”, per Ghali. e “M12ano”, “Occh1 Purpl3” e “6itch”.
La sorpresa della vostra carriera?
G: Fortunatamente, da quando ho iniziato, ho la fortuna di continuare a sorprendermi. Non so definire quale sia stata la migliore.
S: Il primissimo lavoro, quando ho capito che la mia produzione artistica poteva essere pagata.
Cosa sognate per il vostro futuro?
G: Se si dice poi non si avvera.
S: Una collaborazione con Kaws, e la possibilità di curare i visual per il live di Jay z. E ancora: esporre a New York, e tanti altri.
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