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Questo vino racconta di quando 2 milioni di persone vennero cacciate di casa per la loro religione

Vini naturali grecia

La famiglia Tatsis arriva a Goumenissa nel 1924, in seguito all’accordo tra Grecia e Turchia che prevedeva un colossale scambio di popolazioni secondo il criterio dell’appartenenza religiosa.

A un certo punto di questo marzo 2020 ci è stato solennemente chiesto di chiuderci in casa, per via della pandemia in corso, e in molti hanno dato un’interpretazione fin troppo libera di questo concetto di casa, come testimonia l’ormai celebre fuga dalle stazioni di Milano. Al di là del tragico danno che possono aver fatto, la loro fuga ha denunciato con gesti goffi e disperati il lecito disagio di dover vivere un periodo difficile in un posto che per loro casa non è.

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La beffa del racconto storico è che questa migrazione forzata fu sulla carta un atto di pace

Sto spesso a tormentarmi su cosa renda un luogo degno di essere chiamato casa. E, a costo di suonare sentimentale, queste straordinarie contingenze mi hanno portato ad accettare una cosa che di solito digerisco a fatica e cioè che Milano è diventata davvero la mia casa. Tanto che in fondo sono felice di condividerla oggi con tutti quelli che, per responsabilità o mancanza di alternative, per provocazione o per inerzia, hanno deciso di non fuggire altrove.

Senza viaggi fattibili per un periodo di tempo imprecisato, la cosa più avventurosa che posso fare è scegliere una delle tante bottiglie sparse nella mia libreria

Visto però che l’orizzonte della casa si è ristretto per decreto a quello delle quattro mura, mi ritrovo sempre più spesso a ciondolare davanti alla libreria in cerca di qualcosa. È una grande libreria a parete che col tempo ha inglobato gli oggetti più vari: scatole di cavi, un set di bocce, molte bottiglie vino. Ciondolo, perché senza viaggi fattibili per un periodo di tempo imprecisato, la cosa più avventurosa che posso fare è scegliere una delle tante bottiglie sparse tra gli oggetti e recuperare quelle storie che avevo dimenticato di raccontare.

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Tutte le foto dell’autrice

Pesco dalla libreria il Limnio della Cantina Tatsis. Sono andata a conoscere i Tatsis l’estate scorsa. Siamo nel nord della Grecia, vicino alla cittadina di Goumenissa, 70 chilometri a nord di Salonicco. È una zona rurale, con case basse e sporadiche; qualche anziano seduto sulla soglia, tempietti ortodossi lungo il bordo della strada. A metà agosto è tutto quasi deserto, come gran parte dell’entroterra che attraversiamo (cosa che in effetti non deve stupire visto che metà della popolazione greca è concentrata in due aree urbane, Atene e Salonicco).

Per descrivere la sua famiglia Stergios parla di “rifugiati” (we were refugees, dice) ed è qui che loro storia personale si salda a uno dei drammi del Novecento.

La vendemmia qui comincia presto. I Tatsis hanno iniziato la raccolta a metà agosto, ma non è niente in confronto ai vignaioli di Santorini che quest’anno hanno cominciato a luglio. Dal 1996 a guidare l’azienda sono i fratelli Stergios e Periclis, e prima di loro già il padre e il nonno facevano il vino sulle colline intorno a Goumenissa. Nei 14 ettari della proprietà ci sono le varietà greche più diffuse: Xinomavro, Negoska, Roditis, Malagouzia, Limnio. Coltivano con metodi biodinamici e sono biologici certificati dal ’98 (tra i primi produttori di vino in Grecia). Dal 2007 hanno rivoluzionato il lavoro in cantina, togliendo tutti i lieviti, gli enzimi, e altri additivi comunemente usati per produrre il vino.

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Stergios, che ci fa da cicerone per l’azienda, è un agronomo sulla cinquantina con il total look da motociclista: lunghi capelli grigi raccolti in una treccia, pantaloni militari e maglietta del Salonicco Chopper Club, di cui ovviamente fa parte (attenzione: un Chopper non è una motocicletta, ce lo insegnò Bruce Willis). Per descrivere la sua famiglia Stergios parla di “rifugiati” (we were refugees, dice) ed è qui che loro storia personale si salda a uno dei drammi del Novecento.

Più di un milione e mezzo di greci cristiani ortodossi vennero espulsi dalle zone di Smirne, del Ponto, della Bitinia e della Tracia. In direzione opposta, circa trecentomila musulmani vennero cacciati dalla Grecia verso la Turchia.

La famiglia Tatsis arriva a Goumenissa nel 1924, in seguito all’accordo tra Grecia e Turchia che prevedeva un colossale scambio di popolazioni secondo il criterio dell’appartenenza religiosa. Il nonno di Stergios venne allora espulso da un villaggio della Tracia orientale, una delle regioni appena riconquistate dalla Turchia di Atatürk. Insieme a lui, più di un milione e mezzo di greci cristiani ortodossi vennero espulsi dalle zone di Smirne, del Ponto, della Bitinia e della Tracia. In direzione opposta, circa trecentomila musulmani vennero cacciati dalla Grecia verso la Turchia.

La beffa del racconto storico è che questa migrazione forzata fu sulla carta un atto di pace. Era parte del trattato di Losanna del 1923 che mise fine alla guerra greco-turca: una guerra ricordata dai greci come la “catastrofe dell’Asia Minore”, e culminata nel tragico incendio dei quartieri greci e armeni della città di Smirne, che fece da solo 30 mila morti.

Come atto di pace, a quasi due milioni di persone venne detto: questa da oggi non è più la tua casa. La famiglia Tatsis, mi racconta Stergios, veniva da una zona storicamente dedita alla viticultura ed è stata la ricerca di una zona altrettanto adatta alla viticultura a portarli qui a Goumenissa. Quando sei costretto a sceglierti una nuova casa in una nuova terra, mi sembra un fatto umano comprensibile andare in cerca di qualcosa che ti ricordi quella vecchia. Per i Tatsis, questa cosa era il vino. E oggi, essere qui ad assaggiare i vini dei nipoti di quel rifugiato la fa sembrare una storia a lieto fine, perché come sempre a decidere l’umore di una storia è il punto nel tempo da cui la guardi.

Cantina-di-affinamento

Ho preso a pretesto il Limnio per raccontare la storia dei Tatsis perché è il mio preferito tra i loro vini. È il loro rosso più “semplice” (parola che uso con un’accezione positiva). Fa una fermentazione spontanea (cioè senza aggiunta di lieviti), non viene filtrato e non vengono aggiunti solfiti, affina in vecchie botti di rovere, ma del legno di affinamento non c’è traccia nel gusto del vino. Ha un sapore erbaceo e di frutta rossa, fresco anche se non ha grande acidità. Credo che Stergios non abbia capito la mia passione per il Limnio perché è tutto sommato un’uva modesta, poco celebrata, di solito oscurata dall’interesse per la Negoska, varietà ormai rara e diffusa solo sulle colline di Goumenissa, o per lo Xinomavro, una delle varietà greche più istituzionali.

L’uva Limnio sembra raccontare una migrazione. Ha fama di uva antica, la prima a essere citata nelle opere di autori greci come Esiodo

Vini greci -Tatsis

Fatto curioso: anche l’uva Limnio sembra raccontare una migrazione. Ha fama di uva antica, la prima a essere citata nelle opere di autori greci come Esiodo. La sua origine è collocata nell’isola di Lemnos, di cui porta il nome, ma dove oggi ne rimangono scarse tracce. Invece è presente nel nord della Grecia: storicamente coltivata in Tracia, cioè quel lembo di Grecia che si tuffa tra Bulgaria e Turchia, oggi è diffusa in Macedonia (la regione greca, non la nazione), soprattutto a nord della penisola calcidica, che è appunto dove si trovano i Tatsis. Guardare questi luoghi su una mappa fa immaginare un movimento dell’uva, lento e secolare, sulla stessa rotta di quello migratorio imposto in fretta e furia ai greci dell’Asia Minore, appena cento anni fa.

Eppure, per quanto abbia cercato a casa Tatsis le tracce della malinconia invincibile che mi aspetto di trovare in una storia di migrazione forzata, non le ho trovate. L’unico indizio rimasto è quella parola, refugees, che Stergios usa per cominciare il racconto. Anche perché, una cosa che mi sembra di aver capito dai miei viaggi di vino fin qui, è che fare il vino in un posto affonda le tue radici in quel posto più di ogni altro mestiere e anche più di alcuni eventi solenni, come innamorarsi o fare un figlio.

Stergios-Tatsis

Il vignaiolo, cioè chi coltiva la vigna e dipende dal vino per il proprio sostentamento, vive una specie di simbiosi coi luoghi (a cominciare dal clima, che può fare la sua fortuna o rovina a prescindere dal merito). E finisce presto a pensare i luoghi, e la propria storia in quei luoghi, su una prospettiva temporale dilatata, dove non contano le settimane ma gli anni e i decenni.

Invece a noi, che il vino lo beviamo e basta, non resta che contare i giorni, e approfittare di questa clausura per provare a tracciare o scuotere i confini del nostro imperfetto e oscillante concetto di casa.

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