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Il vignaiolo siciliano che mi ha spiegato a che servono le galline per fare il vino

FrancescoGuccione vini naturali

Il pollaio mobile ha anche una funzione agricola. Ben presto servirà a portare galli e galline in vigna e fargli svolgere il loro ruolo nel sistema di fertilità del suolo e di regolazione delle erbe

La corriera Palermo-S.Cipirello parte da un luogo che mi è stato indicato come compreso tra via Roma e via Maqueda: un tratto di marciapiede occupato da bancarelle di cianfrusaglie e persone a cui l’esperienza ha insegnato il punto esatto dove aspettare il proprio autobus. Incrociando un po’ di istruzioni trovo anche io il mio punto, e salgo sulla corriera che parte alla volta dell’entroterra, verso il cuore della Sicilia occidentale, oltre Piana degli Albanesi, in una terra che è sfondo ideale per un racconto di banditi novecenteschi, ma invece qui si parla di vino, o almeno si fa finta.

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La biodinamica nasce al Nord (Rudolf Steiner, il suo fondatore, era austriaco) e applicata alla lettera va bene soprattutto per il Nord

L’azienda di Francesco Guccione si trova in Contrada Cerasa, un antico feudo di proprietà della sua famiglia (incrocio di vari rami nobiliari), che fino all’epoca del suo bisnonno contava cinquecento ettari, tra seminativi e animali, alberi da frutto e ortaggi, molto bosco, qualche vigneto. Oggi gli ettari sono tredici, di cui sei di vigna, numeri che si spiegano con alcuni cruciali fatti del secolo scorso: il tramonto della mezzadria in Sicilia, il progressivo abbandono delle campagne, e le sorti alterne di una famiglia complicata.

Guccione
La casa

Guccione ha iniziato a imbottigliare il vino dell’azienda nel 2005 e nel 2012 ha smesso di fare la spola da Palermo e si è trasferito qui, rimettendo gradualmente in piedi l’indebitata azienda di famiglia, di cui era rimasto l’unico proprietario. “Il 2012 era l’anno della fine del mondo per i Maya – dice – e per me lo è stato”, un anno di liti, separazioni e lutti, che ha segnato però anche l’inizio di un nuovo corso.

Paesaggio

Oggi, a 50 anni, Guccione è uno dei nomi più celebri del panorama del vino naturale, ma riceve attenzione e premi anche dal mondo del vino più istituzionale, come i tre bicchieri Gambero Rosso per il suo Trebbiano 2007. Nonostante questo, o forse per questo, resta schivo, e se ci vuoi parlare devi andare a stanarlo nel suo “feudo”, nel “Far West” della Sicilia come lo chiama lui, lottare per avere la sua attenzione, aspettarlo in fondo alle sue lunghe frasi, al suo confuso senso del tempo (parole sue), e finire col prenderti in carico un racconto troppo grande per lo spazio che hai per raccontarlo.

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Arrivo a S.Cipirello all’ora di pranzo e incontro Oscar Bissinger, aiutante di Guccione e neo-produttore anche lui (la sua prima annata è la 2018). Oscar è un ventenne siculo-svedese cresciuto in Svezia e migrato a Palermo appena raggiunta l’età della ragione; il ciuffo biondo, la giacca di pelle e la passione per le moto lo rendono una versione più solare del James Dean di Gioventù Bruciata, e lo penso prima ancora di vedere la sua auto: una Mazda a motore rotativo capace di alte prestazioni, mi spiega, ma soprattutto molto molto bassa per la strada sterrata e accidentata che ci porta fino alla fattoria di Guccione.

“Mi racconta di una sempre maggiore ricerca di semplicità nelle vinificazioni: macerazioni più brevi, meno legno per gli affinamenti, scelte che hanno trasformato un po’ i suoi vini degli ultimi anni, soprattutto i rossi che, pur mantenendo ampiezza e intensità, sono più leggeri”

La Sicilia occidentale qui alterna spazi incontaminati e sassi. Siamo a circa 500 metri di altitudine, il paesaggio è aperto e ventoso e capita che il vento porti l’odore delle alghe dal vicino Golfo di Castellammare. La casa di Guccione è una masseria che risale almeno al 1500, in parte distrutta dal terremoto del Belice, e circondata da recinti di animali: galline, pecore dei Monti Sicani, mucche di razza cinisara, un maiale di nome Milly e i cavalli, tutti vivono al pascolo. A parte i cavalli, che sono una sua vecchia passione (faceva l’addestratore in una vita precedente), gli animali sono più o meno tutti parte del sistema dell’azienda, tra produzione di cibo, e concimazione dei campi (ha in progetto di portare gli animali in vigna, perché dai loro escrementi si innesca una profilerazione batterica utile alla salute del suolo).

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La Vigna

Per quanto il luogo sia remoto, quando arrivo a destinazione apprendo che sono solo una dei tanti ospiti. Sono giorni in cui il mondo del vino naturale si raduna a Palermo per Rassegna NOT e la gita da Guccione, devo accettarlo, non aveva niente di originale. Quindi mi ritrovo in una piccola corte di una decina di persone tra produttori, distributori, appassionati, un noto agricoltore e saltimbanco veneto, che si aggiungono in diversi orari alla tavola di un pranzo infinito e poi gradualmente se ne vanno. Judith, la compagna di Guccione, è una francese affascinante, determinata a lasciare Parigi per trasferirsi qui nel Far West. “Non ho mai avuto così tanto successo con la gente come da quando sono qui”, mi dice, ed è una frase che mi rimane in testa per tutto il viaggio palermitano e alla fine ho accettato come un buon riassunto dell’accoglienza di cui questa terra è capace, dove tutto è meticcio e pronto a mescolarsi ancora.

Voglia di mescolare che torna fuori parlando di vino, quando chiedo a Guccione qual è il vino che si sta divertendo più a fare (una domanda quasi sempre inutile, ma stavolta no) e lui risponde che si è un po’ fissato col Machado o “vendemmiale”, cioè fatto con un misto di uve bianche e rosse (Trebbiano, Perricone, Nerello Mascalese) e che vuole fare un esperimento con tutte e quattro insieme le uve che coltiva, aggiungendo anche il Catarratto. Per il resto, mi racconta di una sempre maggiore ricerca di semplicità nelle vinificazioni: macerazioni più brevi, meno legno per gli affinamenti, scelte che hanno trasformato un po’ i suoi vini degli ultimi anni, soprattutto i rossi che, pur mantenendo ampiezza e intensità, sono più leggeri. Per “una più essenziale espressione dell’annata”, come dice lui, e per quel che vale, a me piacciono molto.

Vini

Dove si appassiona di più è nel racconto del lavoro in vigna. Coltiva in biodinamica da più di dieci anni, ma mi dice “la biodinamica nasce al Nord (Rudolf Steiner, il suo fondatore, era austriaco) e applicata alla lettera va bene soprattutto per il Nord”. Ad esempio: “il principio di non lavorare i terreni, – che la scuola biodinamica prescrive per non alterare l’equilibrio di un suolo sano, attraversato da radici e microrganismi – in Sicilia non va bene, qui il sole disidrata troppo il terreno, se non lo lavori si spacca”.

Il terreno delle vigne è fatto di marne argillose e sassi, e quando ci camminiamo noi (cioè in pieno inverno) è umido, segno che trattiene bene l’acqua nonostante non ci siano state piogge recenti, e ricoperto da un manto di erbe spontanee. Quando parla di vino, Guccione finisce sempre a parlare di agricoltura. E dice cose come: la vigna va ascoltata, è in gran parte una questione di sensibilità, devi essere in grado di guidarla, di anticipare i suoi bisogni; e finisce che le sue descrizioni agricole somigliano molto – glielo faccio notare – ai suoi racconti di come si impara a montare un cavallo senza sella.

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Di vino e di tutte le altre cose parliamo soprattutto la sera, quando la casa si svuota e riesco a tenerlo ostaggio di una lunga chiacchierata in una stanza col camino acceso, dove a guardarsi intorno si può ricostruire parte della sua biografia: i premi delle gare a cavallo, un antico setaccio da grano e altri vecchi strumenti agricoli, libri accatastati ovunque su temi che spaziano dalla storia alla psicologia, una collezione di cavatappi. I modi aristocratici li riconosci nella fermezza del parlare, nei gesti lenti ed eleganti, negli aneddoti eccentrici che mi riporta, come quando da adolescente se ne andava in giro per Palermo con un piccione sulla spalla (“perché ero timido” mi dice). Nel ripercorrere il suo albero genealogico ritorna spesso la figura del bisnonno, che Guccione cita spesso come ispirazione e riferimento, perché iniziò lui a fare il vino di Contrada Cerasa, togliendo grano (tra le due guerre il contingentamento del grano aveva fatto proliferare il mercato nero e le ruberìe) per aggiungere vigna.

Mangime galline

Beviamo il suo Perricone 2007 e lui risponde a tutto quello che gli chiedo, scavando nelle storie più dolorose, e poi perdendosi in ampie divagazioni, senza mai togliere intensità del racconto. Gli chiedo se ha mai pensato di andar via, cambiare orizzonte per slacciarsi dai ricordi tristi, e lui mi dice che sì, certo, ci ha pensato, ha fantasticato sul Portogallo, la Nuova Zelanda, ha valutato offerte di lavoro per il Piemonte e la Sicilia dell’est. “Ma poi, Diletta, mi sono reso conto… che forse, se sono un buon agricoltore, lo sono a Cerasa, non da un’altra parte. Qui conosco tutto, altrove non so niente.”

Judith

Verso le undici di sera, c’è da spostare le galline. Un’operazione che ci solleva dai divani in cui siamo sprofondati e ci trascina nell’aia, dove lo assisto mentre recupera le galline rimaste in giro e le mette al sicuro dagli animali selvatici, nel pollaio mobile che ha appena costruito. I galli dormono in bilico sul filo di recinzione, in una posizione inspiegabilmente scomoda, ma le loro misteriose dinamiche di potere, nonché alcuni noti proverbi popolari, insegnano che è meglio introdurre nel pollaio un solo gallo alla volta. Proviamo a spostarne dentro uno, dunque. E vediamo come va.

Gallina

“Il pollaio mobile ha anche una funzione agricola, ed è anche per questo che Guccione gli dedica molta cura. Ben presto servirà a portare galli e galline in vigna e farli svolgere il loro ruolo nel sistema di fertilità del suolo e di regolazione delle erbe. Non è un caso, ad esempio, che si tratti di un pollaio relativamente leggero, perché così, una volta spostato nel vigneto, non rischia di compattarne il terreno.

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Diversi cognomi nobiliari (Abatellis, Cammarata, Guccione) hanno questo pollaio come approdo della loro storia, e forse è il migliore dei posti possibili. Il legame tra Guccione e questi luoghi appare come una specie di simbiosi, e non è affatto secondario, credo, anche per descrivere la profondità dei suoi vini. È un paesaggio che puoi abitare se hai una buona affinità con la solitudine, e lui ce l’ha. Un posto che sembra in fondo al mondo, ma ti fa sentire al centro del mondo, che stende un velo di pensiero magico sopra alle ferite profonde che lo solcano. Che ha una bellezza tormentata e accogliente – come Guccione, come anche Palermo – che attrae e inchioda proprio in virtù di queste ferite.

Una cosa buffa: quando ha preso in mano l’azienda, nell’anno della profezia dei Maya, Guccione ha anche aperto un blog, dal titolo “Il bellissimo e misterioso mestiere del vignaiolo nomade”. Dico buffa perché “nomade” non lo è per niente, anzi direi l’opposto: è così radicato nella sua terra che è stato capace di rinascerci più volte. Ora è chiaro che non c’è bisogno di sapere queste cose per godersi i suoi vini, eppure è ciò che vi propongo di immaginare. Un uomo con profondi occhi azzurri, quasi sempre coperti dagli occhiali scuri, che nel suo blog scrive: “ quando sono partito pioveva a dirotto, ma in qualche modo, per me, dopo tutti questi mesi di solitudine, era come se il cielo fosse tornato limpidissimo.

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