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La vita infernale dei lavoratori nell’industria del pollo low cost

Durante le 10 ore del suo turno lavorativo, Bacilio Castro lavorava 45 polli al minuto—circa 2.700 polli ogni ora, 27.000 ogni giorno. 

È questa l’intensità produttiva che la sua vecchia azienda, la Case Farms di Morganton, nella Carolina del Nord, gli richiedeva. Ogni tanto, i suoi supervisori spingevano per uno sforzo aggiuntivo. Del resto, i vertici della fabbrica offrivano bonus ai coordinatori dei reparti più produttivi, incentivando indirettamente la pressione sui lavoratori.

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“Se ne infischiavano della nostra salute,” ha detto Castro.

Era un lavoro estenuante. Alla fine della giornata, Castro non era più in grado di muovere le mani. Le sue spalle e la sua schiena erano doloranti, e l’odore di ammoniaca – utilizzata per il congelamento – lo circondava anche dopo il suo ritorno a casa, causandogli un terribile mal di testa. 

Il lavoro di Castro comportava anche un considerevole rischio neurologico. Il National Institute for Occupational Safety and Health ha scoperto che il 76 per cento dei lavoratori nell’industria di trasformazione del pollo ottiene risultati anormali ai test sulla conduzione nervosa, e che il 34 per cento di essi dimostra i sintomi della sindrome del tunnel carpale, una dolorosa malattia causata dalla ripetizione forzata della stessa attività.

Gli americani consumano il 30 per cento di pollo in più rispetto a vent’anni fa, stando ai dati del National Chicken Council, e la quantità è destinata ad aumentare. La richiesta di cibo economico è più alta che mai. 

Da lungo tempo, gli attivisti per i diritti degli animali accusano l’industria del pollame di utilizzare tecniche disumane. Oggi, un durissimo reportage realizzato da Oxfam America calcola il costo “umano” del pollo a buon mercato.

L’inchiesta, Lives on the Line (Vite in catena di montaggio, ndt), racconta lo sfruttamento, il dolore e l’umiliazione vissuta dai lavoratori dell’industria del pollame. Una di loro racconta di come lei e molti dei suoi collaboratori abbiano cominciato a indossare pannolini per adulti durante i turni, visto che le pause per recarsi al bagno venivano negate dai supervisori. Uno di loro ha sviluppato un problema alla prostata, a causa dell’impossibilità di urinare. 

Castro ricorda di avere lavorato fianco a fianco con una donna, incinta di diversi mesi, che chiedeva senza successo al caporeparto di potersi recare alla toilette. Il supervisore ribatteva però che questo non era possibile, dal momento che nessun altro avrebbe potuto prendere il suo posto lungo la catena di produzione. Così, la donna è finita per urinare sul pavimento. Questo spaventoso avvenimento ha convinto Castro a lasciare il lavoro, nel 2011, per cominciare a lavorare presso The Workers Center, un’organizzazione che assiste lavoratori vulnerabili e sottopagati.

Molte famiglie considerano il pollo un modo economico per riempirsi lo stomaco. Le alternative “organiche” o di “allevamento a terra” sono costose: si passa da 1,5 dollari per mezzo chilo circa a 5 dollari. Secondo gli attivisti per i diritti animali, spesso queste definizioni di marketing sono ingannevoli o comunque non incidono sulle modalità di allevamento e trasformazione: benché promettano una vita migliore per i capi di bestiame, infatti, non migliorano le condizioni dei lavoratori coinvolti.

Senza opzioni più economiche, sembra comunque ingiusto che soltanto le persone più abbienti possano permettersi polli allevati in contesti – almeno in teoria – più rispettosi. Ma la crescente richiesta sta mettendo l’industria sotto pressione, portando giganti del settore come Tyson Foods o Perdue Farms a considerare la quantità come l’unico obiettivo. Chi accusa maggiormente questa spinta iper-produttiva sono ovviamente i lavoratori, i cui turni si allungano sempre di più e diventano sempre più forsennati, oltre che sottopagati—10 ore con una pausa di mezz’ora per meno di dieci dollari l’ora, e senza assicurazioni per gli infortuni.

La maggior parte del pollo venduto negli USA è diviso in piccole parti e impacchettato: petti, cosce, ali, zampe servite a striscioline, a fette, impanate, glassate, speziate.

Oggi, questa industria si compone di ruoli lavorativi molto mirati, che non esistevano 50 anni fa. C’è chi posiziona i polli sui nastri trasportatori, chi li appende sui ganci, ci separa le ossa dai petti, chi si occupa di tagliare le spalle dell’animale, chi stacca le ali, chi disossa e via dicendo. I lavoratori respirano ammoniaca e cloro, utilizzato per disinfettare le carcasse. Anche il diffusissimo utilizzo di antibiotici sugli animali può danneggiare i dipendenti che ne sono esposti, i quali rischiano di diventare immuni agli effetti dei medicinali e di non riuscire più a curare le infezioni.

Dagli anni settanta, l’Occupational Safety and Health Administration monitora la sicurezza dei lavoratori in America, sviluppando una serie di regolamenti aziendali e conducendo ispezioni per assicurarsi che questi vengano rispettati. L’organizzazione, tuttavia, ha poco personale e pochi soldi: l’OSHA nel 2013 ha ispezionato meno dell’uno per cento delle industrie americane.

E anche quando le ispezioni si verificano e riscontrano violazioni, le multe sono tutt’altro che salate—la media delle contravvenzioni rilasciate da OSHA per “violazioni gravi”, come rischi per la sicurezza e la salute, è stata in media di 1,972 dollari.

Molti dei lavoratori coinvolti dal reportage di Oxfam hanno ammesso di essere riluttanti a denunciare violazioni da parte dei supervisori o segnalare infortuni sul lavoro per paura di ritorsioni. Questa minaccia è confermata da studi precedenti, come un report pubblicato nel 2013 dal Southern Poverty Law Center e dall’Alabama Appleseed Center for Law and Justice, secondo cui alcuni lavoratori vengono licenziati se denunciano gli infortuni.

In una conference call organizzata da Oxfam lunedì, Tom Fritzsche, uno degli autori del report, ha spiegato che la realtà sulle condizioni lavorative nell’industria del pollame è “nascosta al pubblico per il modo in cui le aziende reagiscono ai lavoratori danneggiati.” Un dipendente ha spiegato che il suo datore di lavoro licenziava chiunque avesse segnalato un infortunio per tre volte, il che è stato definito da Fritzsche “una versione malata del motto ‘tre scioperi e sei fuori’.”

Secondo il report di Oxfam, “l’industria [del pollame] approfitta delle persone fragili e marginalizzate. Di circa 250,000 dipendenti [in USA, ndt] la maggior parte sono persone di colore, immigrati, o rifugiati,” molti dei quali provenienti da stati come Birmania, Sudan o Somalia e sono stati assunti attraverso programmi di inserimento. Castro ha stimato che ben più della metà dei suoi colleghi all’impianto di Case Farms fosse sprovvista di documenti.

In un’e-mail inviata a VICE News, un portavoce di Perdue – una delle aziende citate nel report – ha fatto notare che “come parte della nostra filosofia ‘prima le persone’, l’azienda dà agli associati la possibilità di essere ascoltati da tutti i livelli di management nell’intento di risolvere un problema o un’incomprensione,” grazie alla cosiddetta Open Door Policy. “È curioso che Oxfam abbia incluso Perdue nel suo report, visto che siamo leader nel rispetto della sicurezza dei lavoratori,” ha aggiunto.

Il portavoce di Tyson Foods Gary Mickelson, la cui compagnia è stata l’unica consultata da Oxfam prima della pubblicazione del report, ha scritto che la sua azienda fornisce “sistemi di lamentela e comitati di discussione” aperti ai dipendenti per affrontare i problemi. “Come Oxfam, crediamo nella giusta compensazione,” ha spiegato.

Il venerdì precedente alla pubblicazione del report, Tyson ha annunciato che incrementerà gli stipendi orari della maggior parte dei suoi dipendenti a partire dal primo novembre. Dagli attuali 8-9 dollari, si arriverà a un minimo di 10.


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