La riforma europea del copyright somiglia sempre più a Game of Thrones — dove, nella fattispecie, le scene di draghi e di sesso sono ridotte allo zero (almeno per quel che ne sappiamo), ma il potere dilaniante della burocrazia e gli intrighi politici si sprecano.
Se sapete già più o meno cosa comporta questa riforma potete skippare l’intro e passare al recap degli episodi di questa serie crudele e dalle drammatiche conseguenze sull’umanità intera e sul suo bene più prezioso (internet). Altrimenti, restate un minutino qui. In ogni caso, questo è il riassunto che vi serve per arrivare preparati all’imminente finale di stagione: il voto plenario finale della direttiva, che si terrà a fine marzo 2019.
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Intro
Per farla breve, il pomo della discordia sono questi due benedetti articoli della riforma, l’11 e il 13, altrimenti noti rispettivamente come “link tax” e “upload filter”. L’11 è sostenuto in particolare dagli editori dei giornali che — come avrete sentito — non se la passano benissimo. Si lamentano che i nuovi arrivati (Google, Facebook, etc) si siano presi ciò che spetterebbe loro di diritto (la pubblicità online) e ora ne pretendono una fetta visto che su Facebook e Google (News) girano i loro articoli. Se state pensando che il rancore represso della famiglia Greyjoy contro gli Stark nel dominio di Winterfell sia un buon paragone, non siete i soli — benché, di certo, tanto Facebook quanto Google manchino della saldezza morale della famiglia Stark affinché questa metafora funzioni fino in fondo. Ma concentratevi sull’essenza del rancore.
Il perché, a prescindere, la link tax sia una follia l’abbiamo spiegato qualche tempo fa.
L’articolo 13 è appoggiato in particolare da chi produce contenuti audio e video (discografici e gente del cinema). Poiché è troppo faticoso andare a chiedere la rimozione di tutti i video pirata su YouTube e piattaforme affini, chiedono ai soliti noti di impedire preventivamente che questi contenuti siano caricati. La legge non parla di filtri di per sé, ma i filtri sono, a ragion veduta, l’unico modo per implementare una legge del genere. Il problema è che così si creano letteralmente dei gate di accesso e diventerà difficile per le persone caricare video con materiale protetto da copyright, pur avendo magari fini satirici, critici, di commento, o di cronaca,. Questo perché i filtri sono smart, ma non troppo — il rischio censura (involontaria) è dietro l’angolo. Vi ricordate il processo a Tyrion Lannister dove essenzialmente il poveretto viene incastrato per crimini che non ha commesso? Ecco: con l’articolo 13, molti contenuti si troveranno in quella scomoda posizione, davanti a una giuria e un giudice molto poco inclini ad ascoltare la difesa (e buona fortuna a cercare di risolvere il problema in singolar tenzone).
Riassunto dei precedenti episodi
Il 14 febbraio scorso è stato approvato il testo finale della riforma, senza che fossero tenute davvero in considerazioni le critiche che ne avevano causato il rinvio a luglio 2018 — ma che erano poi comunque già state ignorate lo scorso settembre, quando la direttiva è stata approvata dal Parlamento Europeo. Sì, i passaggi sono parecchi e sembrano tutti uguali, ma la differenza è che a febbraio è stato approvato il testo definitivo.
In conseguenza all’ennesima giostra di proteste scaturite da questa ultima decisione, la Commissione Europea — che ha scritto la riforma e vuole approvarla prima delle prossime elezioni europee di maggio —, si è lasciata un po’ andare con un blog post. Nel comunicato, diceva che quelli contro la riforma — tra cui, per dire, l’inventore di internet e il creatore di Wikipedia — si erano fatti convincere “a salvare il drago (sempre Google e Facebook) e uccidere il cavaliere.” La metafora è loro, ci teniamo a precisarlo — nel nostro paragone, invece, la Commissione Europea è un po’ il Littlefinger che organizza la venuta di Ned Stark a King’s Landing, per poi fregarlo. O che sposa Lysa Arryn, per poi fregarla. O che diventa consigliere di Sansa Stark, per poi fregarla — e finisce facendo una scenata fuori luogo. Capite, no?
Giustamente, tutti quelli che hanno più di 5 anni e che si oppongono alla riforma si sono un pelo arrabbiati per il post passivo aggressivo e la Commissione lo ha cancellato, scusandosi. Perché qualcuno possa ancora pensare che cancellare un post sia una buona cosa, resta un mistero. God save The Web Archive, dove lo potete leggere — e se c’è una cosa che ci insegnano i saggi di Westeros, è che è importante tenere nota di ogni merdone.
Non bastando la figuraccia della Commissione, è voluto intervenire anche il Parlamento Europeo: una settimana fa, è stato pubblicato un video sui canali social ufficiali, che illustrava le conseguenze della riforma del copyright come se fosse già stata approvata in via definitiva e tralasciava tutte le critiche poste da accademici, ONG, associazioni, cittadini, etc.
Nel post su Twitter, infatti, il Parlamento si è limitato a scrivere: “I tuoi meme sono salvi, la libertà d’espressione non è compromessa, si tratta solo di pagare il giusto i creatori di contenuti.”
Julia Reda, del Partito di Pirati — che potremmo associare a Jon Snow che cerca di avvertire la gente di Westeros della minaccia incombente — si è messa a indagare per capire come sia potuto succedere che ancora prima del voto finale del Parlamento un video del genere sia stato pubblicato.
Reda ha scoperto che il video non è stato prodotto dall’ufficio comunicazione interno, ma dato in appalto all’esterno. E fin qui, nulla di strano — è infatti una prassi abbastanza usuale nell’ambito delle istituzioni europee.
Ma ecco il colpo di scena. Chi se ne è occupata è AFP, l’agenzia stampa francese che — dimenticandosi del gigantesco conflitto di interessi — ha confezionato un video per spiegare una legge che (guarda la coincidenza) li favorirebbe, imponendo ai giganti web di pagare loro una licenza (art. 11). Il video, inutile a dirsi, suona parecchio di parte.
Non è finita. Poiché le elezioni sono alle porte e di questa riforma si parla da anni, c’è un po’ di nervosismo tra gli addetti ai lavori — il tipo di tensione palpabile a qualsiasi riunione di consiglio di King’s Landing, fate conto. Negli ultimi mesi anche chi voleva la riforma ha cambiato idea perché il testo finale non gli piace per niente, molti giornali più piccoli da anni denunciano che l’art. 11 peggiorerà la situazione invece di migliorarla, i capi di stato e di governo del Consiglio non ne possono più di trattare e vogliono farla finita. Ormai sembra fatta, quindi qual è il problema?
I parlamentari, anche nello stesso gruppo politico, sono molto divisi. Tipo Jamie Lannister diviso tra fare la cosa giusta e restare con sua sorella Cersei.
Il problema è che su Change.org c’è una petizione europea che viaggia sulle 5 milioni di firme, una delle più partecipate della piattaforma. La petizione chiede proprio che la riforma sia rispedita al mittente. Per chiarire, quei firmatari hanno un po’ il peso degli schiavi liberati da Daenerys Targaryen a Meereen: a un certo punto, sarebbe bene ascoltarli. Allo stesso tempo, i numeri per il voto finale al Parlamento Europeo sono molto risicati — il motivo è che si tratta di una materia molto tecnica che pochi conoscono e possono comprendere appieno, perciò i parlamentari, anche nello stesso gruppo politico, sono molto divisi. Tipo Jamie Lannister diviso tra fare la cosa giusta e restare con sua sorella Cersei.
A luglio 2018, eravamo allo stesso punto di oggi: mancava il voto finale ma grazie all’attivismo di moltissimi cittadini che hanno inondato di email e telefonate i parlamentari europei, questi si sono convinti e hanno preferito rimandare a settembre la discussione. Da settembre ci sono state nuove — ma non sufficienti — modifiche del testo, fino a quello finale che si voterà a fine marzo.
C’è un però. Sempre qualche giorno fa è iniziata a circolare la voce che alcuni membri del Parlamento volessero anticipare a questa settimana il voto finale, nonostante non ci fossero questioni di urgenza imprescindibili. L’ipotesi non si è concretizzata, ma ma si pensa che il motivo fosse anticipare la manifestazione prevista contro la riforma per il 23 marzo in diverse città europee, specialmente in Germania, molto attiva su questi temi.
Al momento, le campagne di informazione — come SaveTheInternet e #SaveYourInternet — sono infatti intense e, in particolare, il sito Pledge2019 spinge perché i cittadini contattino i propri europarlamentari, dicendo che se i secondi in plenaria voteranno a favore della riforma, i primi non voteranno per loro alle elezioni di maggio. Alla campagna ha anche aderito Wikipedia, che in Germania il 21 marzo, così come fece in Italia prima del voto di luglio, metterà un banner nella home page. Il voto finale, dovrebbe essere previsto tra il 25 e il 28 marzo a Strasburgo. Wikipedia, se vogliamo, è un po’ il Jorah Mormont della situazione — resterà fedele alla libertà di internet finché non si trasformerà in pietra.
In Italia esponenti PD hanno ben pensato di dire che questa è una campagna di diffamazione promossa da Google e Mozilla. Accettando per assurdo la tesi complottista (e completamente contraddittoria) per cui Google pagherebbe tutti quanti per fare campagna — ma Mozilla, una fondazione che promuove la libertà di internet e i software open source, che interesse avrebbe? Solo guardare per ore nelle sue fiamme potrebbe rivelarcelo.
Anticipazioni del finale di stagione
Una cosa è certa, in questa lotta tra lobby giganti (web VS cinema, musica, giornali) i cittadini sono sempre lasciati indietro — come le comparse nella Battaglia dei Bastardi. Ma, a differenza delle pile di corpi cadute nel corso delle stagioni di Game of Thrones, noi possiamo ancora fare qualcosa.
Quindi chiamate i parlamentari e siate determinati a tenervi internet così com’è, almeno quanto Cersei Lannister è determinata a tenersi il trono di spade. O quanto Daenerys lo è a portarglielo via. O Jon Snow a salvare il mondo. E — per amore degli dei vecchi e nuovi — speriamo di avere più fortuna di tutti loro.