L'ecstasy e l'agonia: curare i traumi di guerra con l'MDMA
Una sala consultazioni presso la clinica gestita da Michael e Annie Mithoefer

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L'ecstasy e l'agonia: curare i traumi di guerra con l'MDMA

La medicina potrebbe non riuscire a vincere la guerra contro il DPTS fino a quando la società non riconoscerà i traumi invisibili della guerra.

I pazienti di Michael e Annie Mithoefer si recano nella loro clinica di Charleston, South Carolina, come ultima speranza dopo periodi pesantissimi di servizio come soldati dell'Esercito. Incapaci di riprendersi da ciò che hanno passato, dalle scene a cui hanno assistito o dalle azioni che hanno compiuto nelle periferie di Baghdad o nella valle dell'Helmand, sono persone distrutte dalle incessanti sirene immaginarie del disturbo post traumatico da stress (DPTS). Sono persone che cercano questa coppia di medici perché nessun'altra terapia ha avuto successo. E sono disposti a tentare qualsiasi approccio.

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I Mithoefer sono diretti: se il trauma non emerge per volere del paziente, faranno in modo che venga in superficie. Il processo può essere molto doloroso, può durare molte ore, e i pazienti cominciano ad arrivare già a metà mattina. A ogni paziente viene consegnata una piccola capsula: sono le 10 del mattino e quella che stanno ingerendo è ecstasy.

La sessione dura tutto il giorno ed è parte di un piccolo studio basato sulla psicoterapia associata all'assunzione di MDMA per affrontare il disturbo post traumatico da stress dei veterani di guerra. Nell'esperimento è stato analizzato come la 3,4-metilenediossimetanfetamina, meglio conosciuta come ecstasy, possa alleviare i paralizzanti orrori a lungo termine del "DPTS cronico relativo alla guerra e resistente alle cure," con dosi molto basse e in contesti controllati.

Questo è il risultato di sforzi costati $10 millioni di dollari alla Association for Psychedelic Studies, che chiede da 10 anni alla Food and Drug Administration che venga approvato l'uso dell'MDMA come farmaco. Per ora i Mithoefer si riforniscono di MDMA dall'unico rivenditore autorizzato negli Stati Uniti, un chimico della Purdue University.

Ricevono capsule da 30, 57 e 125 mg dall'unico sito di produzione di ecstasy mai approvato dal governo dal 1985, quando questa droga venne criminalizzata. (La purezza di questo prodotto viene regolarmente testata, e i livelli raggiungono il 99%.) Questa ricerca è un test in doppio cieco, quindi nessuno viene informato del dosaggio—125, 75 o 30, il placebo attivo a basso dosaggio—che viene somministrato all'inizio della cura. Ma c'è da dire che non è troppo difficile capire quanto sei fatto durante un trip da ecstasy.

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Una volta assunta la capsula, i pazienti vengono invitati a sdraiarsi e focalizzarsi sulla propria interiorità. Alcuni indossano dei paraocchi o delle cuffie. Altri semplicemente chiudono gli occhi, per rilassarsi. E tutti quanti aspettano.

L'AGONIA

Il DPTS non è una cosa nuova. Le gravi angosce che attanagliano chi ha passato esperienze strazianti è un fenomeno antico, nonostante sia stato riconosciuto dalla comunità scientifica soltanto nel 1980 nella terza edizione del DSM-III.

I sintomi del DPTS sono molto variegati: si possono riunire sotto tre grandi categorie, secondo il National Institute of Mental Health. I sintomi sono ricorrenti—flashback vividi, pensieri negativi e incubi; l'annullamento spesso include l'allontanamento totale da "posti, eventi o oggetti" connessi all'esperienza, oltre a indifferenza emotiva, sensi di colpa, depressione, ansia, perdita di interesse in "attività che in passato erano piacevoli," e difficoltà a ricordare gli eventi. Vi sono picchi di iperattivazione psicofisiologica, un paziente si può infiammare improvvisamente, sentirsi teso o "sul filo del rasoio," avere difficoltà a dormire e sporadici attacchi d'ira.

Il DPTS può colpire a ogni età e negli Stati Uniti il disturbo tra i militari sta aumentando esponenzialmente. Circa 70.000 veterani hanno ricevuto nel 2005 la pensione d'invalidità a causa di DPTS. Uno studio, come riportato dall' Economist nel 2008, "afferma che il 12 percento dei veterani americani delle guerre in Iraq e in Afghanistan soffrono di DPTS." L'anno scorso il New York Times ha stimato che "ben oltre" 300.000 soldati sono tornati in patria con il DPTS, depressione, danni cerebrali o "una combinazione di queste condizioni."

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I veterani depressi o i soldati ancora in servizio possono prendere antidepressivi come la sertralina (Zoloft) o la paroxetina (Paxil) e i due SSRI (inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina) approvati dalla FDA per il trattamento del DPTS negli adulti. La FDA afferma che sono farmaci mediamente sicuri, ma avvisa sui potenziali effetti collaterali: "possono peggiorare la depressione, condurre a pensieri o comportamenti volti al suicidio" e "causare insonnia, agitazione o esilio dalle normali situazioni sociali." Uno studio recente afferma che chi assume questi antidepressivi è "molto più incline a cadere in gravi depressioni" rispetto a chi non li assume.

Le benzodiazepine—psicofarmaci con proprietà sedative che possono compromettere la memoria e causare dipendenza, come lo Xanax—"altri antidepressivi" come la fluoxetina (Prozac) o il citalopram (Celexa) o antipsicotici sono le altre sostanza che il NIMH cita come possibili cure per il DPTS.

Il programma medico militare nell'ultimo decennio ha sviluppato un talento speciale per la somministrazione di farmaci prescritti ai pazienti affetti da problemi di salute mentali, tanto che l'Esercito ora ha limitato il numero di antidolorifici che un soldato può assumere in una volta sola: non è insolito, tuttavia, che ai soldati vengano somministrati simultaneamente antidepressivi, antipsicotici e oppiacei. E il rischio è che queste macchine da guerra imbottite di medicine e incarnazioni di una vera e propria "psicosi nazionale," come alcuni hanno fatto notare, diventino un problema ancora più grave di quello che si cerca di risolvere.

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Tra il 2006 e il 2009 oltre un centinaio di persone nell'esercito sono morte accidentalmente per aver mischiato i farmaci prescritti. L'automedicazione illegale, che era molto diffusa ai tempi del Vietnam, sta diminuendo la sua popolarità tra i nuovi veterani: gli ex soldati di oggi sono cinque volte più inclini ad abusare di pillole e alcool piuttosto che di erba, coca o eroina.

È UN APPROCCIO COMPLETAMENTE INDIRETTO

L'Accountability Office del Governo ha anche affermato che i Defense Centers of Excellence for Psychological Health and Traumatic Brain Injury, creato nel 2007 quando il Congresso ha incaricato il Pentagono di inaugurare un programma per affrontare le conseguenze dei danni cerebrali e del DPTS tra i veterani, pare non avere la minima idea di cosa stia facendo.

Il DCoE doveva essere un organo guida per lo sviluppo di tecniche per la cura delle cosiddette ferite invisibili. Ma Denise Fontane, che ha revisionato il progetto, ha detto al NPR: "il DcoE non è stato in grado di spiegarci con chiarezza quello che fanno, cosa hanno intenzione di fare nel futuro, quali saranno i costi e quali benefici risulteranno dai soldi che stanno spendendo."

Non sorprende quindi che i tassi di suicidi nel Dipartimento della Difesa siano aumentati circa del 50 percento tra il 2001 e il 2008. E non sorprende neanche che i suicidi tra i militari ancora in servizio abbiano superato le vittime sul campo di battaglia nel 2009, o che una dozzina di soldati di riserva si siano tolti la vita a marzo, o che alcuni esperti, secondo il Times considerano la terapia di esposizione (una forma di psicoterapia cognitivo comportamentale) "l'unica cura efficace" per il DPTS.

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Da parte sua, il Department of Veterans Affairs statunitense richiede che ai veterani in cerca di cure sia dato accesso universale alle terapie di esposizione graduale o di terapia cognitiva. Ma vista la gravità del problema, non è difficile capire il motivo per cui ci sia una lista d'attesa di soggetti che vogliono provare il metodo dei Mithoefer con l'MDMA.

LA GUERRA CHIMICA

Gli effetti dell'MDMA solitamente si manifestano 30-45 minuti dopo l'ingestione, quindi i ritmi nella clinica Charleston sono piuttosto concitati. Le sessioni alla clinica oscillano tra momenti di silenzio, di concentrazione sull'interiorità in cui il paziente viene lasciato solo a processare il proprio trauma, e conversazioni senza filtri con i terapeuti.

"È un approccio totalmente indiretto," mi ha detto Micheal Mithoefer. Questo permette ai soggetti di canalizzare il flusso dei propri trip. Sono piloti della propria terapia come lo sono i loro supervisori. "In poco tempo si adattano all'approccio," mi ha spiegato Mithoefer, "spesso le persone ci parlano per un po' poi dicono 'OK è ora di tornare dentro, torno a parlarvi quando sono pronto.'"

Detto ciò, i pazienti sono perfettamente consapevoli del fatto che se non emerge alcun trauma, saranno i Mithoefer a farlo uscire. Ma non ce n'è mai stata necessità. I traumi emergono sempre, e finora hanno avuto luogo oltre 60 sessioni tra la fase iniziale dello studio e gli esperimenti attuali. Gli orrori affiorano naturalmente, paziente dopo paziente.

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I Mithoefer non ammettono chiunque alla cura. Il loro protocollo ha precisi criteri di inclusione ed esclusione: i partecipanti devono avere sintomi che hanno mostrato resistenze ai farmaci o a cure psicoterapeutiche e devono avere una Clinician-Administered PTSD Scale (CAPS) che superi il punteggio di 50. (Considerata come lo "standard d'eccellenza per la valutazione del DPTS," dall''International Society for Traumatic Stress Studie, la CAPS è un'intervista di 30-60 minuti strutturata in modo che emerga una diagnosi e misura la gravità dei sintomi, come stabilito dal DSM-IV.) Coloro che sono dipendenti da sostanze o con disturbi psicotici o disturbi bipolari del tipo 1 vengono rifiutati. Certe condizioni come l'ipertensione, la depressione, o altri disturbi d'ansia vengono considerati, Mithoefer ha affermato che in generale i candidati devono essere in condizioni di salute "relativamente buone".

Finora tutti i criteri sono stati rispettati "non scegliamo noi chi vogliamo," ha affermato. Gli abitanti del posto, però, è probabile che abbiano la priorità sugli altri perché è più economico lavorare con persone della zona. Ma sono stati accettati candidati provenienti da tutti gli Stati Uniti.

I segnali vitali vengono tenuti sotto controllo nel corso di tutta la sessione. Pressione e battito vengono misurati ogni 15 minuti, la temperatura ogni ora. È molto frequente che si manifestino intense emozioni e visioni, quindi è fondamentale prevenire crisi di panico. Nella clinica c'è anche un'area dove i pazienti passano la notte.

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Se il pensiero di tornare a qualcosa di impensabile non è abbastanza, immaginatevi l'esperienza più terrificante della vostra vita potenziata dall'MDMA. "È un'esperienza dolorosa," ammette Mithoefer. "Alcune persone il primo giorno ci dicono di non capire perché viene chiamata ecstasy."

HANNO EFFETTI IRREVERSIBILI SU ALCUNI RECETTORI CEREBRALI CHE POSSONO POTENZIALMENTE SVILUPPARE EFFETTI COLLATERALI MOLTO GRAVI E A LUNGO TERMINE

Gli psicotropi offrono un nuovo accesso a regioni più profonde del cervello, secondo Amanda Feilding della Beckley Foundation, che utilizza la moderna tecnologia di imaging cerebrale per esplorare la coscienza e i suoi stati alterati. E gli psicotropi terapeutici, afferma Feilding "sono un grande regno di possibilità da esplorare."

E in questo regno, tra l' LSD e la psilocibina, l'ibogaina e la cannabis, l'MDMA sembra essere particolarmente utile nella psicoterapia. "L'MDMA ha più potenziale delle altre sostanze se integrata alla pratica psichiatrica," ha scritto il fondatore e direttore del MAPS Rick Doblin in "A Clinical Plan for MDMA."

L'ecstasy, ad esempio, ha effetti brevi. Comparata all'LSD, i cui effetti possono durare fino a 10 ore, l'MDMA ha una fase di "effetto primario" di circa 4 ore, che è relativamente gestibile. Rispetto all'acido per esempio, che distorce i "processi razionali" e la percezione e può anche causare attacchi di panico o terrore, l'MDMA ha effetto principalmente sulle emozioni, e meno sulle funzioni cognitive. Assoggetta l'amigdala, il "centro della paura" interno al cervello che scatena emozioni pesantemente negative, apre i flussi di serotonina e dopamina e potenzia i livelli di ossitocina e prolactina, due ormoni che influenzano i comportamenti sociali.

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In altre parole, grazie all'MDMA l'empatia tra paziente e terapeuta aumenta. I pazienti sono a proprio agio, nonostante tutto. Sono ben disposti ad accedere al "cuore del trauma," come afferma Feilding. In questo senso, afferma, l'MDMA "rimuove i filtri" permettendo alle persone di considerare situazioni presenti e passate da diverse prospettive.

I soggetti si trovano in una situazione positiva, sostanzialmente. Mithoefer afferma che molte persone resistono alle cure per DPTS perché sono troppo o troppo poco coinvolte. Lui e sua moglie, un'infermiera psichiatrica, hanno osservato che l'MDMA porta i soggetti ad essere in condizioni psichiche positive e si mostrano più tolleranti. Ed è qui che possono connettersi con le proprie emozioni e rivivere il trauma senza impazzire. "Quattro o cinque ore in questa condizione," afferma, "li possono portare a superare ciò che ostacolava le cure."

Questo non vuol dire che sia facile, o che non ci siano punti oscuri.

"Sono piuttosto preoccupato," ha affermato Charles Hoge, psichiatra presso il Walter Reed Army Institute of Research. Non si è ancora dedicato a fondo alla letteratura medica sugli psicotropi, "non ne so molto", ha ammesso—ma ha notato che l'MDA (3 4-metilendiossiamfetamina) e i composti a essa connessi hanno effetti gravi e permanenti sulla biologia del corpo umano.

"Hanno effetti irreversibili su alcuni recettori nel cervello," ha spiegato, "che possono potenzialmente portare a effetti collaterali gravi e a lungo termine."

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Bisogna considerare, poi, che i processi di approvazione da parte dell'FDA sono tutt'altro che semplici. "Siamo nel Medioevo attualmente," afferma Feilding. Ma secondo lei ci troviamo alle soglia di una sorta di Rinascimento in cui le potenzialità delle droghe psicoattive verranno esplorate e accettata dalla vecchia guardia della medicina che, dopo decenni di resistenze, deporrà le armi.

L'esperimento dei Mithoefer attualmente ha coinvolto un sesto paziente e il limite sarà di sedici. Brad Burge, direttore delle comunicazioni del MAPS, ha affermato che non è un numero abbastanza alto per provare la validità dello studio, ma è abbastanza alto da avere una rilevanza statistica. Burge ha ammesso che sarebbe meglio avere 100 soggetti a disposizione, un risultato più significativo avrebbe decisamente un peso maggiore.

"In realtà ci sono molte persone che aspettano di essere esaminate dal team di ricerca," ha affermato, e "quasi certamente" ci saranno abbastanza soggetti per passare alla fase successiva. "Non siamo molto preoccupati dei risultati, considerando quanto è diffuso il DPTS e quante persone hanno ricavato benefici da queste nuove terapie."

"È già una ricerca mainstream," ha aggiunto Burge, considerando le numerose collaborazioni del MAPS con vari governi e università in giro per il mondo. "Stiamo già lavorando con le modalità di una grande azienda farmaceutica," quindi è "abbastanza chiaro" che la prescrizione di MDMA per la psicoterapia da PSTD sarà disponibile nelle farmacie nel giro di 10-15 anni. Secondo lui è solo una questione di tempo.

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Quindi i Mithoefer continueranno nella loro impresa. Oltre ai trattamenti che stanno conducendo, continuano a lavorare con i partecipanti della prima fase della sperimentazione in cui avevano usato dei placebo. (I ricercatori hanno rilevato "grandi progressi" dalle sessioni in cui i pazienti assumevano placebo. L'articolo in cui si riportavano questi risultati sono stati quelli più scaricati dal Journal of Psychopharmacology nel 2010.)

Probabilmente verrà presto pubblicato uno studio su questo argomento, anche se i terapeuti che lavorano nella clinica sono piuttosto cauti nel diffondere informazioni a riguardo. Ma mi hanno detto che i risultati medi del CAPS non sono troppo fluttuanti, il che è un buon segno. E ci sono state poche ricadute.

"In alcuni casi molti sintomi importanti si sono ripresentati," ha affermato Mithoefer. "I benefici non sono stati durevoli per tutti, ma per la maggior parte dei pazienti sì."

E nonostante ciò, gli antidepressivi SSRI sono gli unici farmaci di Livello A ad aver mostrato di funzionare "piuttosto efficacemente" per la cura del DPTS, insiste Hoge. Ha aggiunto che si stanno sviluppando molti nuovi antipsicotici con meno effetti collaterali e meno gravi; a essi sono complementari anche farmaci che aiutano ad affrontare i sintomi del DPTS. Il Prazosin, un farmaco per la pressione senza effetti psicotropi, ha mostrato in alcune prove di ammortizzare l'iperattivazione psicofisiologica, porta soprattutto a una diminuzione degli incubi e dunque porta a una regolarizzazione dei ritmi di sonno.

Ma come per l'MDMA e tutti gli altri componenti del bellissimo regno degli psicotropi, finché il Prazosin e gli altri farmaci vengono testati in modo più rigoroso in studio controllati a doppio cieco, "non possiamo confermare se siano efficaci o no, se abbiano effetti collaterali più invasivi o no," ha affermato. "È questo il punto di fondo."

NON PARLARE

Ovviamente gli effetti e le promesse dei vari farmaci per il DPTS non hanno molto valore nel momento in cui coloro che hanno più bisogno di cure sono già di per sé riluttanti nel cercare un trattamento. In un editoriale pubblicato assieme a uno studio uscito recentemente sul Journal of the American Medical Association, Hoge suggeriva non solo che una vasta gamma di antipsicotici, tra cui il Geodon, il Seroquel, il Risperdal e l'Abilify non sono migliori dei placebo: egli ha fatto riferimento al problema più generale, e più pervasivo. La metà dei veterani che non riescono a far cessare le sirene mentali del trauma dovrebbero cercare aiuto, ma non lo fanno.

Lo stigma silenzioso del DPTS ha aiutato a trasformare questa malattia post-apocalittica in una epidemia intergenerazionale, e i suoi effetti devastanti non hanno fatto altro che amplificarsi.

Ci sono molte ragioni dietro all'approccio "don't ask don't tell" sul DPTS, e non soltanto nell'ambito militare. Alcune persone hanno paura di essere respinte dai propri commilitoni o dai superiori o da potenziali datori di lavoro. Altri creano barriere insormontabili per evitare le cure—alcuni si riferiscono alla difficoltà di prenotare una visita, altri decidono di dare la priorità al proprio lavoro rispetto alla ricerca di aiuto. Altri semplicemente credono che le cure per le malattie mentali non funzionino, che siano una scadente "ultima spiaggia," mi ha detto Hoge. E tra coloro che riescono a iniziare le cure per il DPTS, che sia con la psicoterapia o i farmaci o entrambi, ha scritto, "una grande percentuale dopo un po' ci rinuncia, solitamente tra il 20 e il 40 percento," una percentuale che può "aumentare considerevolmente" nelle pratiche di routine.

Intanto Michael e Annie Mithoefer e i terapeuti che li affiancano continuano a combattere contro il DPTS, con un alleato molto particolare. "Siamo incoraggiati a continuare dai risultati che abbiamo ottenuto fino ad ora, ma dobbiamo fare ancora molta ricerca e sarà interessante vedere cosa ne verrà fuori," ha affermato.

Ma il progresso non implica solo la distruzione di tabù e modifiche alle norme vigenti, per quanto riguarda gli psicotropi o altri trattamenti controversi. È possibile che la medicina non vincerà la guerra contro il DPTS finché la società non infrangerà dei tabù più fondamentali, legati ai traumi invisibili dei combattimenti. Forse solo allora i veterani potranno avere la possibilità di liberarsi dagli orrori della guerra con gli strumenti che la scienza mette loro a disposizione.