Tappeto di Lego
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A12N4: Il decimo annuale di narrativa

Tappeto di Lego

"Le odio, quelle tre. I miei genitori dicono sempre che un giorno Jihad sposerà Mariam e io Mawa, ma so che mancano ancora tanti anni e ho tempo per fargli cambiare idea."

Questo racconto è tratto dal nostro numero annuale dedicato alla narrativa. 

Avevo sette anni, ma sembra successo oggi. Mawa è scesa da noi a chiedere a mia mamma di farle un panino. Di solito è il contrario, sono io che vengo mandato da mia madre a chiedere la merenda a quella di Mawa. È una cosa che non sopporto. La madre di Mawa, Douha, prende sempre un morso dal panino prima di darmelo. Dalla sala seguo i movimenti di Mawa. È magrissima e ha la pelle liscia e olivastra. Ha sei anni.

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"Me lo fai con lo zaatar?" chiede Mawa a bassa voce. Lo zaatar è origano e olio. Mia mamma deposita un cucchiaio della miscela di spezie su una pita, poi la arrotola e gliela porge. È la stessa cosa che porto per pranzo a scuola ogni giorno. Vado alla Alexandria Public School. Ci sono solo nove bambini stranieri in tutta la scuola, e sei sono della mia famiglia: mio fratello Jihad, le mie sorelle Leila e Fatima, io, e le mie cugine Mawa e Mariam. I nostri panini libanesi con zaatar o Nutella confondono gli altri studenti. A volte mi chiedono con quella loro parlata nasale se sono involtini primavera. Io dico sempre di sì, perché tanto per loro non fa differenza.

Oggi è domenica e a casa non c'è praticamente nessuno. Mio papà è al mercato con Teta e Jihad. Il mercato si chiama Grand Bazaar, ed è a Prestons. Jihad ha otto anni, uno più di me, ma gli piace seguire mio padre. Dice sempre che da grande farà il suo lavoro. Anche la nonna, Teta, è una fan del mercato. Teta è robusta e non riuscirebbe a scaricare il furgone e mettere giù il banchetto, ma le piace starsene seduta sotto il sole davanti al banco della frutta. Tiene d'occhio i coltelli e parla con le figlie del fruttivendolo, tutto il giorno. Mio padre vende attrezzatura da campeggio, ma i coltellini li comprano soprattutto i ragazzi preoccupati per la lunghezza del loro pisello—così dice mio zio Zac. A casa non posso dire 'pisello'. Se io o i miei fratelli ci lasciamo scappare una parolaccia, la mamma ci fa mangiare il peperoncino. Anche papà minaccia di fare lo stesso, ma è sempre stanco e passa direttamente alle botte. Una volta mi ha colpito così forte che mi è rimasta l'impronta dello scarpone sul braccio. La barriera migliore da mettere tra noi e mio padre quando le prendiamo è Teta. Corriamo dietro di lei e lasciamo che gli agiti contro le sue grosse braccia, allontanandolo finché lui non si arrende. Deve ascoltare sua madre proprio come noi dobbiamo ascoltare lui. Corriamo a rifugiarci da Teta anche in altri momenti, come quando fa freddo e sul divano mi stringo a lei per riscaldarmi. È morbida, sembra fatta di tiepida gelatina. Le docce migliori sono quelle che ci fa lei. La sera riunisce me, i miei fratelli e le mie cugine in bagno e ci lava uno a uno. Entra in doccia, si mette a sedere su una cassetta e io mi siedo tra le sue gambe, con l'acqua che mi scorre tra i capelli spessi. L'artrite le ha reso le mani callose, e quando me le passa sulla schiena mi sfrega per bene. Non c'è un altro luogo o momento in cui mi senta più sicuro e pulito.

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Io odio andare al mercato. Bisogna svegliarsi alle 4 per poter arrivare prima che apra. L'unica cosa che mi piace del mercato sono i panini con la cotoletta di pollo, e Teta ricorda sempre a papà di comprarmene uno prima di tornare a casa. Lui di suo non lo farebbe, ma se la sera prima le ho prese di solito si sente in colpa e me lo porta per farsi perdonare. Ci sono tante occasioni in cui mio padre mi dimostra quanto mi vuole bene. Quando sono arrabbiato con lui vado a sdraiarmi sul letto e aspetto che venga a cercarmi. Entra in camera, si avvicina e mi sussurra, "Sai che ti voglio tanto bene, più di tutti. È per quello che ti compro sempre i libri e i giornalini." Non so mai se lo pensa davvero, ma è comunque sufficiente a convincermi a tornare in sala.

Guardo Mawa. È ancora lì con mia madre. Oggi sono a casa anche le mie sorelle, stanno giocando in camera. Noi fratelli dormiamo tutti nella stessa stanza. A volte vengono a dormire con noi anche le nostre cugine Diana e Zena. E non importa quanto ci dobbiamo stringere, siamo sempre comodi. Ho paura soltanto quando sono solo. Non mi piacciono le porte chiuse. Non mi chiudo dentro nemmeno quando vado al bagno o faccio la doccia. Mi stringo tra i miei fratelli e le mie cugine. Quando ci sono anche loro stiamo svegli fino all'alba, e parliamo. È soltanto quando ci siamo solo io e i miei fratelli che ho paura. Quando succede, di solito papà ci legge una preghiera e mi lascia il suo Corano tascabile perché mi protegga.

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Oggi non ci sono nemmeno gli zii Zac e Gassam. Zac ha 22 anni e sta studiando per diventare architetto. Non so dove sia oggi, ma al fine settimana esce sempre. È nella squadra di rugby dei Junior Rabbitohs e a volte di domenica ha la partita. Lo chiamano Cosce d'acciaio. Lo zio Gassam è diverso, ma si può dire che praticamente non vive più qui. C'è e non c'è. I miei mi hanno detto che è tossicodipendente. Una volta è venuto a cercarlo uno con una pistola, un tizio bianco con il pizzetto, calvo. Si è presentato alla porta e ha detto, "Questa pistola me la sono fabbricata da solo e non ho problemi a usarla." Pare che lo zio Gassam gli dovesse dei soldi. Quella volta papà si è infuriato, ha detto allo zio Gassam di non farsi mai più vedere—anche se poi lo zio è tornato. Papà lo perdona sempre, anche Teta, non importa quante ne abbia fatte. Ora quando lo vediamo è sempre con una fidanzata nuova. Dorme nel garage rosa che papà ha costruito sul retro, e a volte lo spio dalla serratura della cucina mentre bacia la fidanzata di turno. È divorziato. Diana e Zena, le mie cugine, sono figlie sue ma stanno con loro madre, la zia Leila. Quando lo zio Gassam torna a casa Diana e Zena vengono a dormire da noi, e stiamo tutti nella stessa camera anche se loro sono più grandi. Ci parlano dei baci con la lingua e del sesso e ci fanno vedere Beverly Hills 90210. Non l'ho mai detto nessuno, ma mi piace quella roba.

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Di solito la domenica l'unico uomo in casa è lo zio Ali, il padre di Mawa. Vivono al piano di sopra, che è più piccolo del nostro. Ci sono solo due stanze: una per Ali e sua moglie, e l'altra per le sue tre figlie. Mariam, la più grande, ha sette anni; Mel, la più piccola, tre. Gli zii dicono sempre di volere un altro bambino. A me sembra una stupidaggine. In più, li sento continuamente litigare. Lo zio Ali ha un brutto carattere, e quando zia Douha viene da noi ne parla sempre male. A casa loro c'è sempre aria di litigio. Una volta, quando la zia Douha era incinta di Mel, lei e le bambine stavano giocando. Per dieci minuti buoni abbiamo sentito lo zio Ali urlare e strepitare perché l'avevano svegliato. Papà e lo zio Gassam sono andati di sopra e hanno cercato di fermarlo. Io sono rimasto sulle scale a guardare. Lo zio Ali ha tirato un calcio dritto sul pancione della zia. Mi chiedo sempre cosa sarebbe potuto succedere se non ci fossero stati papà e lo zio Gassam che lo trattenevano. Lo zio Ali è fortunato che Mel non sia uscita ritardata—anche se a volte a me lo sembra.

Lo zio Ali è stato obbligato a sposare la zia. Non si erano mai visti prima che la mandassero qui dal Libano. Quando sono andati a prenderla in aeroporto, lo zio le ha dato un'occhiata ed è scappato. " Ma-bid-di-yaa-ha!" aveva gridato. "Non la voglio quella!" Douha è più grossa di lui, più alta e più pesante. Ha la faccia da gremlin, il naso a becco e un sorriso che sembra una smorfia.

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Mawa entra in sala col suo panino e si siede con me per terra. La TV è accesa ma non la sto guardando. È una TV vecchia, una scatola di legno con quattro gambe, anche quelle di legno. Una volta ho chiesto a papà di comprarne una nuova, e lui mi ha risposto, "Alla tua età non avevo nemmeno le scarpe per andare a scuola!"

Sto giocando coi Lego. Un anno fa la mamma e la zia Douha hanno comprato due scatole di Lego per noi bambini. Io non mi fido di Mawa, perché quando vado di sopra vedo sempre che ha molti più pezzi dei miei. Penso che li rubino dalla nostra scatola. Le odio, quelle tre. I miei genitori dicono sempre che un giorno Jihad sposerà Mariam e io Mawa, ma so che mancano ancora tanti anni e ho tempo per fargli cambiare idea.

Voglio costruire un Power Ranger e ho già sistemato tutti i mattoncini sul tappeto. È un tappeto vecchio, liscio e colorato come un pavone. Le decorazioni sembrano occhi neri e marroni circondati da onde viola e azzurre. Quando non ho voglia di fare niente mi metto sul tappeto e lo guardo, e dopo un po' diventa un vortice che mi risucchia al suo interno. Le gambe e il tronco del Power Ranger sono già pronti. Mi rimangono 12 mattoncini: li conto e inizio a fare le braccia. Dovrebbero bastarmi. Una volta finito il Power Ranger voglio costruire un fortino in cortile e usarlo come base per i combattimenti. Mi sento gli occhi di Mawa addosso, ma io la ignoro.

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"Posso giocare?" chiede.

"No," rispondo. "Dicono che dobbiamo sposarci, da grandi, ma io non voglio."

Finisco il primo braccio e inizio a fare il secondo. Mawa mi guarda, minacciosa. Sento i suoi dentini masticare la pita rafferma con lo zaatar. "Nemmeno io voglio sposarti," dice prima di alzarsi. La seguo con lo sguardo mentre torna verso la cucina, poi torno ai miei Lego e noto che non ci sono abbastanza mattoncini per la testa. Li cerco sul tappeto. Sistemo le braccia del Power Ranger per controllare di non aver fatto male i calcoli. Ma so che non ho sbagliato. Non ci sono abbastanza mattoncini per la testa ma so che prima c'erano perché non è il primo Power Ranger che faccio. Guardo Mawa che se la prende comoda, dirigendosi lentamente verso la porta della cucina. "Mawa!" La chiamo per nome e la raggiungo sul terzo gradino della scala. "Fermati. Dov'è il mio mattoncino dei Lego?"

"Non lo so," sussurra. Sono un po' più alto di lei e guardo la sua testa e il corpo minuto. È piccola. La troverei carina, se non fossi stufo di farmi rubare tutti i miei Lego da lei e le sue sorelle. Ha una maglietta gialla con uno smiley e dei jeans larghi. Mi guarda. Le infilo una mano nella tasca, e a lei non sembra disturbare l'idea della mia mano lì. Tiro fuori il mattoncino. I nostri occhi si incontrano, ma lei non mi dice niente, e io faccio lo stesso. Quando sta per tornare indietro la anticipo, e nel momento stesso in cui fa per girarsi stringo la mano destra in un pugno e glielo assesto sul naso. Al contatto fa un rumore sordo. Non l'ho fatto forte e so che non le uscirà il sangue, ma probabilmente è doloroso. Mawa resta a guardarmi ancora per un secondo e poi contrae la faccia in un urlo. Lascia cadere il panino e scappa di sopra.

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Io torno in cucina, dove mamma sta preparando la cena. Papà e Teta saranno stanchi e affamati. Papà sarà anche di cattivo umore, perché fa caldo e a Prestons sembra di stare nel deserto. Corro verso il mio Power Ranger e sistemo l'ultimo mattoncino, quello della testa. Poi scappo in camera e mi butto sul letto, mentre al piano di sopra è iniziato il trambusto. Le mie sorelle si girano e mi fissano, entrambe stese a pancia in giù. "Andate di là!" dico. Mi nascondo sotto al letto, e mentre mi avvicino all'angolo il Power Ranger perde un pezzo di braccio. Lo riattacco. Non si vede niente, perché i letti sono vecchi e bassi. La luce non arriva quasi sotto. Mi giro e guardo verso la porta che si chiude dietro le mie sorelle. Quanto potrò resistere con la porta chiusa prima di crollare? Sento la voce di mio zio Ali. " Wen-hu?" sbraita contro mia madre.

"Chi?" chiede lei. "Chi cerchi?"

"Quel kalb di tuo figlio! Dov'è?"

"Perché? Cosa succede?"

"Ha preso a pugni mia figlia!" Sento i suoi passi avvicinarsi. Ho il cuore che batte all'impazzata. La porta si apre di scatto; ai piedi ha gli stivali di pelle vecchi che gli ha dato mio padre. Si guarda intorno, o almeno immagino lo stia facendo, e trattengo il respiro più che posso.

"Calmati," gli dice mia madre. Ora c'è anche lei in camera. "È un bambino."

"Dov'è? Lo ammazzo, giuro."

"Qui non c'è nessuno con cui prendersela," risponde mia madre.

"Dov'è?" grida lo zio.

"Qui non c'è nessuno. Torna di sopra, non ci sono uomini, non c'è nessuno con cui prendersela."

Lo zio Ali esce dalla camera e continua a urlare, continua a urlare anche mentre passa dalla sala, poi dalla cucina e in cortile. "Chiama tuo marito," dice a mia madre. "Chiama tuo marito, che me la vedo con lui. Vallo a chiamare!"

Chiudo gli occhi e mi tappo le orecchie. Dovrò costruire il fortino per il Power Ranger direttamente qui in camera. Penso allo zio Ali che vuole picchiare mio papà. Mio papà è più alto e ha più muscoli. Da giovane faceva pugilato. So che se facessero a botte vincerebbe lui, ma ho la sensazione che stasera sarò io a prenderle.

Questo racconto è comparso originariamente sulla rivista letteraria australiana The Lifted Brow, ed è qui tradotto per gentile concessione di TLF e dell'autore. Michael Mohammed Ahmad è uno scrittore australiano di origini libanesi. Il suo libro, The Tribe, non è mai tradotto in italiano. 

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