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vita vera

Quarant'anni di militanza: la storia del movimento LGBT in Italia

Un'intervista a Porpora Marcasciano, la presidente del Movimento Identità Transessuale che dalla fine degli anni Settanta in poi ha attraversato tutti i passaggi storici del movimento omosessuale italiano.

FUORI!, la rivista del "Fronte Unitario Omosessuale Rivoluzionario Italiano." Via.

Porpora Marcasciano è presidente del MIT – Movimento Identità Transessuale, e dalla fine degli anni Settanta in poi ha attraversato tutti i passaggi storici del movimento omosessuale italiano, in un percorso che dalla originaria provincia campana lʼha portata prima a Napoli, poi a Roma e infine a Bologna. Ha pubblicato testi come Favolose narranti – storie di transessuali e contribuito a volumi quali Gay – La guida italiana in 150 voci; recentemente lʼeditore Alegre ha pubblicato una nuova edizione del suo Antologaia, autobiografia che copre il periodo che va dagli anni Settanta al 1983 (una data scelta come vedrete non a caso) in cui trovate raccontate le vicende che nel 1980 portarono al primo gay pride italiano, i retroscena dei campeggi omosessuali che si svolsero dal 1979 in poi, lo spartiacque rappresentato dall'avvento dell'AIDS, le battaglie che portarono alla legge 164 del 1982 (quella sul cambio di sesso), senza dire di sigle mitologiche tipo il Collettivo Frocialista Bolognese da cui sarebbe nata l'esperienza tuttora in corso del Cassero.

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Ho quindi pensato di contattare Porpora per chiacchierare un poʼ del libro e più in generale per farmi raccontare gli eventi di cui è stata testimone in quasi quarantʼanni di militanza LGBT, visto che—polemiche sui costumi dei gay pride a parte—è un argomento che in Italia in pochi si prendono il disturbo di approfondire (perché si sa, lʼItalia è un paese maschio).

VICE: Ciao Porpora. Nel tuo libro la prima data chiave è il 1977, lʼanno del movimento, delle università occupate, e ovviamente del punk. Ora, in ambito omosessuale nel ʼ77 era già qualche tempo che operava il FUORI (Fronte Unitario Omosessuale Rivoluzionario Italiano), senza dire di figure come Mario Mieli e dei primi collettivi militanti. Comincerei quindi col chiederti quanto queste esperienze abbiano influenzato i successivi sviluppi del movimento LGBT in Italia.
Porpora Marcasciano: Beʼ, nasce tutto da lì. In particolare, prima del FUORI [le cui attività prendono forma attorno al 1971] era praticamente il vuoto: al limite per gli omosessuali cʼera il carcere, il manicomio, il buio più totale. Il FUORI, che era formato sia da lesbiche che da gay, fu al contrario lʼinizio della "nostra" storia, anche se allʼepoca di transessuali non si parlava ancora. Bisogna anche dire che quello che sarebbe successo poi, non ha seguito unʼevoluzione lineare: il FUORI rappresentava se vogliamo lʼala mainstream del movimento, ma assieme a quellʼesperienza si sono mosse tutta una serie di situazioni—collettivi, piccole sigle di varia natura—altrettanto importanti sebbene più underground, che comunque hanno prodotto tantissimo sia dal punto di vista culturale che politico in senso stretto. Un poʼ paradossalmente, è proprio da quelle sigle che sarebbe nata quella che oggi conosciamo come Arcigay, quindi vedi, è una storia accidentata. Io al momento mi trovo un poʼ col piede in due scarpe, nel senso che come responsabile del MIT mi confronto con tutti gli aspetti più istituzionali delle politiche di genere, ma il cuore resta coi collettivi, coi movimenti.

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Il carro del MIT al Pride di Bologna, 2008. Foto via Flickr.

Nel libro citi diversi tra i primi collettivi anni Settanta e alcuni hanno nomi bellissimi: le Vampire Gotiche Folli, per dire…
Sì, era un collettivo romano scomparso praticamente nel nulla, perso nella notte dei tempi…

Mentre nel 1979 sei stata tra i fondatori di Narciso – Collettivo Omosessuale Rivoluzionario. In Antologaia ribadisci a più riprese la distanza che vi separava dallo stesso FUORI: puoi riassumerne i motivi?
Il fatto principale è che il FUORI era confluito nel Partito Radicale, e sebbene i radicali di allora fossero molto diversi da quelli di oggi, era comunque una scelta in cui non ci riconoscevamo. Sentivamo anche il bisogno di ribadire che quella formazione non poteva essere lʼunica a rappresentare un mondo che era assai più variegato: perché vedi, il FUORI prendeva la questione omosessuale e la isolava da qualsiasi contesto politico e sociale. Per noi invece era un tema direttamente collegato a quel fenomeno più ampio nato col movimento del ʼ77; che era stato il movimento dellʼAutonomia Operaia ma anche degli indiani metropolitani, dei trasversalisti, delle donne, dei gay… Tanta politica ma anche tante contaminazioni, tanta poesia.

Per la storia del movimento LGBT italiano si è trattato di un passaggio importantissimo, su cui è caduto un silenzio molto strano. Adesso, dalle vecchie parole dʼordine tipo "riprendiamoci le strade, la notte, lʼamore, il sesso", siamo arrivati a una battaglia soltanto: quella per le unioni civili e i matrimoni gay. Che intendiamoci, è una battaglia sacrosanta: insomma, è un diritto che viene negato e che giustamente rivendichiamo. Però quello che penso è: a forza di concentrarsi su questʼunica istanza, abbiamo cambiato anche le parole, e le parole modificano la realtà. La famiglia, che era esattamente quello che non ci interessava allʼepoca, ha finito per diventare la nostra preoccupazione principale. Insomma, sembra quasi che oggi lesbiche e omosessuali vogliano riempire i vuoti lasciati dalla vecchia cultura etero…

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Quando nel 1980 organizzaste il primo Pride a Bologna…
Allora, quello del 1980 è per convenzione considerato il primo Pride italiano, ma in realtà cʼerano stati tentativi simili già tra 1978 e 1979. E sicuramente anche a Bologna le parole dʼordine erano ancora strettamente legate a quelle del Movimento, intendo il dopo-ʼ77 e tutto il resto. Da lì partì tutta la battaglia che poi portò alla nascita del Cassero, il circolo di cultura omosessuale che il comune di Bologna assegnò nel 1982, primo caso in Italia. Fu un altro momento fondamentale perché per il mondo LGBT italiano segna tuttora un prima e un dopo: diciamo che dalla "presa del Cassero", come mi piace chiamarla, si avviò un graduale processo di normalizzazione, il movimento si fece più serio, la dimensione si fece sempre più politica o meglio ancora partitica, e lʼesito di quel percorso è sostanzialmente lʼattuale Arcigay, che non a caso ha la sua sede storica proprio al Cassero.

A proposito di "normalizzazione": mi viene in mente un episodio a cui nel libro accenni solo di sfuggita, e cioè quando al World Pride romano del 2000 fu inizialmente impedito a Sylvia Rivera di parlare dal palco. Come andarono esattamente le cose?
Fu un momento molto simbolico. Sylvia Rivera era la trans che nella New York del 1969 lanciò una bottiglia contro la polizia scatenando la rivolta di Stonewall, lʼevento che di fatto segna lʼinizio del movimento omosessuale non solo americano, ma direi proprio mondiale. Quindi era non solo unʼicona, ma un personaggio storico: nel 2000 facemmo di tutto per portarla in Italia, la ospitammo a Bologna, poi andammo a Roma e ci tenevamo tantissimo a farla parlare dal palco, perché… beʼ, perché in fondo era da lei che era partito tutto. Però Imma Battaglia—tanto per non fare nomi—si oppose, il che era assurdo: cioè, era come se il movimento non volesse riconoscere la sua storia. Alla fine comunque la spuntammo, e Sylvia riuscì a tenere il suo intervento.

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Torniamo allʼinizio degli anni Ottanta. In Antologaia racconti del tuo primo arresto, un altro episodio direi rivelatore…
Era il 1981 e mi trovavo a Roma. Fui arrestata a piazza dei Cinquecento mentre andavo allʼuniversità, per il semplice motivo che un giorno sì e uno no la buoncostume organizzava delle retate che noi chiamavamo "i carrettoni", e siccome io andavo in giro truccata e indossando abiti vistosi, mi ritrovai sbattuta in cella di isolamento per quattro giorni. Fu veramente una situazione kafkiana: ero accusata di atti osceni in luogo pubblico ma io questi atti osceni non li avevo mai fatti, quindi allʼinizio non capivo.

Solo col tempo scoprii che invece era la norma. Si veniva arrestati per motivi banalissimi, e se eri trans o travestito rischiavi di beccarti il famigerato Articolo 1, quello che veniva dato alle persone "socialmente pericolose". Ti ritiravano la patente, il passaporto, ti davano lʼobbligo di dimora, per non dire peggio. Ancora nel 1972, Pier Luigi Vigna aveva sbattuto al confino la Romanina, una delle prime trans italiane, con la sola accusa di essere uno scandalo per la morale condivisa. Dieci anni dopo non è che la situazione fosse migliorata poi di molto, anche perché non avevamo ancora costruito quella rete di protezione che ti permetteva di reagire e far valere i tuoi diritti.

Però ogni tanto reagivate, no? Voglio dire, in senso proprio fisico…
Certo che sì! Quando capitava che subissimo violenze o aggressioni, rispondevamo eccome. Magari passeggiavamo per strada e arrivava il gruppo di fascistelli che ci prendeva di mira perché sai, lo stereotipo era che tanto se picchi il frocio quello non reagisce, no? E invece noi lo stereotipo lo ribaltavamo: non avevamo niente da perdere e sapevamo che nessuno ci avrebbe concesso mai nulla, quindi perché abbassare la testa? È unʼaltra cosa che mi sembra si stia perdendo, vedi tutto il discorso sullʼomofobia e la violenza contro gli omosessuali: la diamo per acquisita, è come se lʼavessimo introiettata e addirittura accettata, "cʼè questa violenza, che possiamo farci?". Noi invece non facevamo passare mai nulla, almeno fin tanto che era possibile. Perché comunque ci furono situazioni anche molto pericolose, intendiamoci…

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Antologaia si interrompe al 1983, unʼaltra data chiave: dal punto di vista politico, sono gli anni di Reagan, della Thatcher, in Italia di Craxi…
E di Wojtyla!

…E di Wojtyla, giusto. Mentre per il movimento omosessuale, il 1983 è lʼanno dellʼAIDS e del suicidio di Mario Mieli.
Sono tutti eventi che indicano la fine di unʼepoca. Il suicidio di Mario Mieli per esempio fu un gesto dallʼimpatto simbolico enorme, anche perché Mario era lʼunica, vera personalità di caratura internazionale espressa dal movimento omosessuale italiano. Il suo Elementi di critica omosessuale pubblicato nel 1977 è un testo ancora molto attuale, le sue performance, le sue provocazioni, la sua messa in discussione di quello che chiamava "ordine veterosessuale" ne hanno fatto una figura amatissima e molto conosciuta anche allʼestero; averlo al nostro fianco fu un fatto di enorme importanza, fece proprio la differenza.

E lʼAIDS? Probabilmente non molti ricordano che, al momento della sua comparsa, venne ribattezzata "la peste degli omosessuali"…
E venne ribattezzata così non a caso. Nella storia dellʼumanità, la peste segna sempre il passaggio da unʼera allʼaltra; nel nostro caso, significò che tutto quello per cui avevamo combattuto—la liberazione dei corpi, del sesso, dellʼamore—entrava in clandestinità. Subentrava un altro tipo di retorica: la pericolosità dellʼaltro, la paura del contatto, la colpevolizzazione dei corpi… E tutto nello stesso momento in cui a dettare legge era il thatcherismo, il reaganismo, in cui i movimenti si sgonfiavano…

Guarda, non voglio passare per complottista paranoica, ma devo ammettere che ogni tanto il sospetto che dietro ci sia stata unʼunica regia mi viene. Per tornare a noi, diciamo che è un altro di quei passaggi che il movimento LGBT dovrebbe elaborare meglio, capire che conseguenze ha avuto, cosa ha prodotto… Più in generale, il nostro movimento non ha ancora ragionato a dovere su se stesso. Non siamo stati in grado di immaginare un lavoro storiografico sulle vicende che ci hanno portato dagli anni Settanta ad oggi, non esiste nemmeno una vera e propria storia del movimento omosessuale italiano. Un sacco di gente mi sta chiedendo di fare unʼ Antologaia parte seconda in cui racconto quello che è successo dagli anni Ottanta in poi, ed è un lavoro che andrebbe fatto.

Per chiudere: a cosa state lavorando al MIT?
Principalmente ci occupiamo del benessere e della salute delle persone trans, oltre che dei loro diritti e della loro dignità. Offriamo servizio legale, consultori, case alloggio… La principale battaglia che stiamo portando avanti in questo momento si chiama Un altro genere è possibile, e riguarda la possibilità di cambiare nome sui documenti senza per forza arrivare al cambio di sesso tramite intervento chirurgico (visto che è un tipo di intervento che non tutte le persone trans si sentono di affrontare). È una cosa semplicissima e già possibile in molte altre parti del mondo, ma visto che la politica italiana non ci arriverà mai, ci stiamo muovendo per conto nostro tramite avvocati e sentenze di tribunale. Per tutte le informazioni, le attività e i contatti, il nostro sito è qui.

Segui Valerio su Twitter: @thalideide