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Robert Nickelsberg ha fotografato i jihadisti afghani

Avendo lavorato per 25 anni in Afghanistan, Robert ha visto la fine della dominazione sovietica, l'inizio di quella talebana, la devastazione portata dall'invasione americana e le sue conseguenze.

Maggio 1988: un soldato afghano porge una bandiera in segno di solidarietà a un soldato sovietico a Kabul, nel primo giorno della ritirata dell'Armata Rossa dall'Afghanistan.

C'è stato un periodo in cui per Robert Nickelsberg era abbastanza facile seguire le azioni militari dei jihadisti. "Bastava parlare al loro portavoce per la comunicazione," mi dice. "Gli dicevi chi eri, quale testata rappresentavi, dove volevi andare e cosa volevi; in pratica, la tua lista dei desideri. A quel punto cercavano qualcuno che stava per entrare nel paese—dei miliziani, ad esempio—, ti inserivano nel loro convoglio e ti proteggevano.

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Avendo lavorato per 25 anni in Afghanistan, Robert ha visto la fine della dominazione sovietica, l'inizio di quella talebana, la devastazione portata dall'invasione americana e le sue conseguenze. In passato si è unito a un gruppo di mujaheddin entrati nel paese dal Pakistan e ha visitato i loro campi d'addestramento. "Avevano qualche problema con la logistica, ma c'era sempre da mangiare e un posto dove dormire. Gli afghani sono noti per la loro ospitalità."

Negli anni Ottanta e Novanta, nella zona si muoveva una vasta rete di faccendieri e corrispondenti, in particolare mentre i giornalisti erano impegnati a documentare il periodo immediatamente successivo alla dissoluzione dell'Unione Sovietica. "Era importante avere al proprio fianco qualcuno della zona, che parlasse con l'accento giusto: non qualcuno proveniente da 200 km di distanza, ma qualcuno che questi gruppi jihadisti conoscessero e di cui potessero fidarsi," racconta Robert.

Settembre 1991. Nei giardini di Babur, alcuni afghani ballano la attan, una danza tradizionale.

Oggi, tuttavia, entrare in stretto contatto con i combattenti non è più così facile e fattibile con il semplice aiuto di un interprete. I jihadisti oggi sono "molto sospettosi nei confronti dei media," dice Robert, e il rapporto tra i giornalisti e i miliziani è cambiato in modo radicale e drammatico: "I gruppi paramilitari sono diventati improvvisamente coscienti del loro potere. Noi giornalisti abbiamo smesso di essere dei semplici messaggeri e siamo diventati una risorsa."

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Anche sull'altro lato del campo, con l'esercito americano che si prepara al ritiro, lavorare come embedded è diventato più difficile. "Ora bisogna rapportarsi con l'esercito afghano. Niente più elicotteri, niente più basi americane in cui passare la notte, o per una o due settimane. Tutto questo è svanito, e anche la loro rete di pubbliche relazioni è cambiata."

Maggio 1990. Membri arabi di al-Qaeda e mujaheddin afghani si esercitano in un campo d'addestramento a Zhawar.

Il 2014 è l'anno in cui le truppe americane lasceranno l'Afghanistan dopo 13 anni di occupazione. Quindi, se i jihadisti non vogliono avere a che fare con i giornalisti e non c'è più l'esercito americano a garantire una via per entrare nel paese, anche il lavoro dei giornalisti cambierà.

Secondo Robert, il futuro non è particolarmente luminoso: "Ci sono tante interferenze, che siano da parte di pakistani, sauditi o iraniani. Tutte queste nazioni hanno un interesse nell'Afghanistan," sostiene lui. "Non saranno mai tutte d'accordo. Il Pakistan, per esempio, è preoccupato dall'influenza indiana in Afghanistan. Tutte queste influenze potenzialmente destabilizzanti avranno sicuramente delle conseguenze sui giornalisti e sul fatto che continuino o meno ad avere finanziamenti e a tenere aperti i loro uffici."

C'è ancora dell'ottimo giornalismo proveniente dall'Afghanistan, e ci sono programmi che insegnano agli studenti del posto le tecniche del giornalismo di guerra. Ma con un cambiamento così radicale in quella che è diventata una parte importante della struttura dell'Afghanistan, cosa succederà al resto della popolazione?

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Il pericolo principale, per ora, è che la situazione di instabilità permanga. "Questo è  l'avvertimento che cerco di dare nel mio libro: dobbiamo stare attenti e ricordarci del passato, perché potrebbe ripetersi facilmente."

Afghanistan: A Distant War è stato pubblicato ora da Prestel Publishing.

Segui Joseph su Twitter: @josephfcox

Aprile 1992, Kabul. Combattenti uzbechi agli ordini di Abdul Rashid Dostum fronteggiano i membri dell'Hizb-i-Islami di Gulbuddin Hekmatyar. La presa di Kabul si trasformò in una battaglia tra gruppi di mujaheddin di diversa appartenenza geografica ed etnica.

Marzo 1993, Kabul. Un civile rimasto ferito durante uno scontro tra fazioni rivali.

I talebani durante un attacco contro l'esercito dell'Alleanza del Nord. La capitale è caduta sotto il controllo dei talebani il 27 settembre 1996.

Dicembre 2001. Talebani pakistani arrestati fuori Kabul. Erano tutti della provincia del Punjab, e avevano passato un periodo in un campo di addestramento per poi passare nel Jaish-i-Mohammed, un gruppo islamista legato a Osama bin Laden.

Ottobre 1996. Un mullah si rivolge alla folla dopo la presa di Kabul.

Marzo 2002, valle di Shah-i-Kot, nella provincia di Paktia. Un soldato americano perlustra il territorio durante l'Operazione Anaconda. Quello in primo piano è il cadavere di un talebano.

Agosto 2009, Khan Neshin, provincia di Helmand. Marine americani in pattuglia.

Maggio 2013. Un giardiniere nel quartiere di Omid-e Sabz, Kabul.

Maggio 2013. Un contingente americano si prepara a lasciare il Paese.