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Guardare dall'altra parte non serve a nulla

A luglio l’Organizzazione mondiale della sanità ha pubblicato le nuove linee guida per la prevenzione dell’Hiv. In Italia il dibattito è rimasto al livello della "pillola miracolosa", ma la realtà è molto più complicata.

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A luglio l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha pubblicato le nuove linee guida per la prevenzione dell’Hiv, con le quali invita a prendere in considerazione l’uso della profilassi pre-esposizione (PrEP) nei soggetti più a rischio. Con PrEP si intende un intervento farmacologico attuato prima di una possibile esposizione all’HIV allo scopo di prevenire il contagio—una soluzione che sin dall'introduzione ha suscitato un dibattito nella comunità gay e le istituzioni che si occupano della prevenzione.

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Introducendo il tema, l'Oms riporta che le probabilità di contrarre il virus sarebbero più alte della norma per i detenuti, le sex worker (+14 percento), per chi si inietta droghe per endovena e per i transgender (+50 percento in entrambi i casi), e per i Msm (men who have sex with men, termine medico più ampio del semplice gay; +19 percento). Nel caso di questi ultimi, sempre secondo i dati Oms, la profilassi quotidiana affiancata all'uso del preservativo permetterebbe di abbattere la diffusione del virus del 20-25 percento.

Questa notizia, più o meno, è stata ripresa sulle pagine della stampa italiana così: “Aids, subito la pillola preventiva ai gay.” Titoli come questo nella maggior parte dei casi non sono stati accompagnati da alcun tipo di approfondimento o chiarimento sulla questione: è molto più facile riassumere dicendo che c’è un’epidemia di Hiv tra i gay-untori e salutando l’arrivo della pillola miracolosa.

Ma oltre alle sintesi delle testate italiane sono arrivate anche alcune reazioni. Sul Fatto Quotidiano Maria Rosaria Iardino, presidente del Network sieropositivi italiani e consigliera comunale a Milano, scrive: "non la penso come l’Oms su questo punto [la profilassi per gli Msm]. Tanto più che, in un periodo di crisi economica, usare dei farmaci in via preventiva mi sembra assurdo: un profilattico costa un euro ma una scatola di antiretrovirali mille volte di più."

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Il discorso in sé potrebbe anche avere senso: il preservativo è uno strumento efficace anche se non infallibile—come del resto non è infallibile la stessa PrEP—ma ha il grande vantaggio di essere economicamente molto più sostenibile dei farmaci. Ma resta una domanda: perché tagliare le gambe a priori a un possibile rimedio?

La Iardino non sembra interessata ad approfondire questo aspetto e, anzi, sostiene che "ci vuole una maggiore educazione e consapevolezza sessuale." Salvo poi difendere la scelta ampiamente criticata da più parti di escludere da "Milano Gay Life", l'app gay-friendly del Comune, tutti i locali di cruising perché "non potrei mai contribuire alla promozione di luoghi di questo genere" dove "l’utilizzo del preservativo non è affatto una priorità." Come se non nominarli risolvesse il problema.

Tra i detrattori della PrEP, però, c'è anche Giovanni Dall'Orto, giornalista e storico attivista gay: "I farmaci antiretrovirali non sono caramelle, chi li prende è sotto costante osservazione perché sta male, ha problemi al fegato e ai reni." Secondo Dall’Orto quella degli effetti sulla salute non è l'unica criticità che si porta dietro la profilassi pre-esposizione: "un altro problema è la sensazione di falsa sicurezza che la PrEP genera in chi li assume, con il rischio che queste persone riducano ulteriormente l’uso del profilattico. È importante capire che la PrEP non è un vaccino: l’assunzione degli antiretrovirali non garantisce l’immunità dal virus." Ma soprattutto, "il grande pericolo è che si crei in pochissimo tempo una resistenza al farmaco, perché l’abuso della sostanza può creare ceppi virali più resistenti e quindi più aggressivi."

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Messa sulla bilancia di rischi e benefici, la PrEP non sembra conveniente né per il Sistema sanitario nazionale né per la salute pubblica. Tanto più che, come sottolinea ancora Dall'Orto, "prima di decretare l'inutilità delle altre forme di prevenzione per buttarci sui farmaci, dovremmo fare tutto il possibile sul fronte dell'informazione e dell'uso del preservativo, che rimane ad oggi l'arma principale per combattere il contagio." Un'arma che l'Arcigay, che dovrebbe essere tra le prime promotrici, sta mettendo da parte optando per la pubblicizzazione dei test salivari: "una scelta insensata," continua Dall'Orto, "che non è certo dovuta al fallimento del preservativo. Se l'Arcigay ha smesso di distribuire profilattici è perché non ne aveva più voglia."

Ancora una volta, però, rimane la domanda: ha senso rinunciare a percorrere anche la strada della sperimentazione farmacologica?

Non ha molti dubbi a riguardo la presidente della Lega italiana per la lotta contro l'Aids (Lila), Alessandra Cerioli: "Noi dobbiamo occuparci anche di quelle persone che non usano il preservativo: l’obiettivo non deve essere la PrEP per tutti, ma impedire che il virus continui a diffondersi."

Quello della Cerioli è un discorso di priorità che va oltre il giudizio sulle pratiche sessuali dei singoli: "Il punto non è la promiscuità ma che la maggior parte dei nuovi contagi sono trasmessi da individui in sieroconversione, cioè da persone che hanno contratto il virus da meno di un anno e che probabilmente non se ne sono neanche accorte perché non fanno il test. Stiamo parlando di persone che si trovano nel periodo in cui il virus registra la più alta carica virale: se loro non usano il preservativo è un pericolo per tutti ed è prioritario trovare anche altre soluzioni."

"Parlare di PrEP," prosegue, "è un discorso difficile, che deve comprendere un lavoro ampio e complesso con la comunità Lgbt, con i ricercatori e con il Sistema sanitario nazionale." È quello che è successo negli Stati Uniti, con gli studi della University of California di San Francisco, e in Francia, dove la profilassi è stata sperimentata proprio in quei locali di cruising che Milano finge di non vedere.

Ma ad oggi è difficile immaginare in Italia una sperimentazione di questo genere: "parlare di prevenzione significa parlare di pratiche sessuali, che in questo Paese sono un tabù. Persone come la Iardino dovrebbero sfruttare la propria posizione per aiutare la comunità gay a raggiungere un livello di sicurezza pari a quello delle altre città europee piuttosto che censurare i locali di cruising. Perché guardare dall'altra parte non serve a nulla."

Segui Francesco su Twitter: @FraZaffarano