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Licio Gelli è riuscito a manipolarci fino alla fine

Come Licio Gelli, tra dichiarazioni "shock" e programmi televisivi, non ha mai smesso di intervenire nella vita pubblica italiana, dedicando l'ultima parte della sua vita alla trasformazione in un personaggio mediatico.
Leonardo Bianchi
Rome, IT

Licio Gelli nel 1981. Foto via Wikimedia Commons.

Era il 2008 quando Licio Gelli, nel suo programma televisivo Venerabile Italia, disse testualmente: "Io sono nato sotto il fascismo, ho studiato col fascismo, ho combattuto per il fascismo, sono un fascista e morirò fascista."

Ieri notte, dopo 96 anni di vita, Licio Gelli è morto per davvero. Esattamente com'era successo con Giulio Andreotti, immaginarsi la dipartita di personaggi del genere è difficile. Semplicemente, sembra impossibile: è come se uomini del genere avessero la capacità di sfuggire alle leggi della natura, così come in vita—tutto sommato—hanno eluso quelle dello Stato.

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E In un certo senso, infatti, Gelli era diventato una figura già completamente storicizzata. O meglio: era diventato una specie di perversa icona pop.

Prendete qualsiasi libro di saggistica degli ultimi vent'anni: non appena si parla dei capitoli più oscuri della storia recente, il nome di Licio Gelli e la loggia P2 spuntano inevitabilmente fuori. Stragi, strategia della tensione, tentati colpi di stato, scandali finanziari, omicidi eccellenti e cospirazioni politiche: Licio Gelli è ovunque.

Una tessera di Gelli durante il regime fascista. Via

Nella relazione di maggioranza della commissione parlamentare d'inchiesta sulla P2, questa si definisce come "un complotto permanente—tale infatti esso è, poiché rappresenta un modo sommerso di fare politica—che si sviluppa e si plasma in funzione dell'evoluzione della situazione politica ufficiale."

Una definizione del genere è adatta anche per descrivere la vita stessa di Licio Gelli. Come ha scritto Ivan Carozzi in un post di qualche tempo fa, Gelli è infatti riuscito a navigare "con estrema intelligenza e furbizia tutto l'oceano di un secolo, dal nazifascismo alla democrazia, fino alla società dello spettacolo in cui tutte le memorie, anche le più fosche, rischiano ogni giorno di venire declassificate, di scivolare in una pappa mediatica, spettacolare, giocosa, dove perfino Gelli può recitare la sua parte."

A mio avviso, questa recita è stata particolarmente evidente nell'ultima fase dell'esistenza di Gelli, quando ha finito di scontare le varie condanne definitive a Villa Wanda e ha cominciato a diventare un personaggio genuinamente mediatico, che dispensava commenti sull'attualità politica e rilasciava le classiche "dichiarazioni shock."

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Nel 2003, in una famosa intervista a Repubblica, Gelli rivendicò il successo del suo Piano di Rinascita Democratica—sequestrato nel 1981 insieme ad altre carte e alla lista degli affiliati alla P2—che a suo dire il governo Berlusconi stava mettendo in pratica passo dopo passo. "Guardo il Paese, leggo i giornali e penso: ecco qua che tutto si realizza poco a poco, pezzo a pezzo," spiegava Gelli. "Forse sì, dovrei avere i diritti d'autore. La giustizia, la tv, l'ordine pubblico. Ho scritto tutto trent'anni fa."

Elenco di alcuni appartenenti alla Loggia P2, tra cui il dott. Berlusconi Silvio.

Poco dopo, Gelli esprimeva anche un desiderio per il futuro: "Vorrei scivolare dolcemente nell'oblio. Vedo che il mio nome compare anche nelle parole crociate, e ne soffro. Vorrei che di me come Venerabile maestro non si parlasse più."

In realtà, la rinnovata attenzione non ha mai dato troppo fastidio a Gelli—anzi. Anche perché, come aveva annotato Concita De Gregorio nell'articolo, "quel che rende Licio Gelli ancora spaventosamente potente è la memoria." E, aggiungo io, la sua capacità di manipolarla e indirizzarla nella direzione a lui più favorevole.

L'anno successivo, Gelli scrisse una serie di editoriali sul mensile Il Piave. Tra questi uno in particolare è interessante, a partire dal titolo: Come curare una democrazia malata. In esso, Gelli scriveva spudoratamente che "la nostra democrazia è malata perché in pratica è troppo debole e di conseguenza ingovernabile," e che "attraversiamo un periodo di confusione e contrasti tra poteri al limite dell'illegalità e anche oltre, dell'invasione di sfere di potere legate a interessi di parte in zone di potere abbandonate oppure conquistate con colpi di mano degni dell'antica Filibusta." Il che è precisamente quello che faceva la P2.

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Sempre nel 2006, con una mossa ampiamente coperta dalla stampa, Licio Gelli donò il suo archivio privato all'Archivio di Stato di Pistoia. Al di là delle polemiche scaturite nell'immediato, l'obiettivo di Gelli non avrebbe potuto essere più palese: quello, cioè, di ricostruirsi un'immagine pubblica antitetica a quella del cospiratore-eversore.

Come descritto nel libro Il potere degli archivi, dalle carte donate da Gelli emerge il ritratto di "un letterato e poeta, candidato addirittura al premio Nobel […], oltre che di collezionista erudito di rari manoscritti, o, al limite, quello di un modernizzatore capace di trasformare la massoneria italiana da fenomeno 'settario' a organizzazione di 'massa'."

L'operazione di riscrittura della biografia di Gelli—a cui si aggiungono le voci di una possibile interpretazione di George Clooney in una sorta di biopic—ha raggiunto l'apice nel 2008, con la trasmissione Venerabile Italia (sottotitolo: "La vera storia di Licio Gelli") sulla rete locale Odeon.

Gelli, come si annuncia nella conferenza stampa, è la "voce narrante" di una "ricostruzione inedita della storia dell'ultimo secolo dalla Guerra di Spagna agli anni Ottanta, dai salotti di Roma alle rive del lago di Como, dall'epoca fascista al crac del Banco Ambrosiano."

Licio Gelli, tuttavia, sembra più interessato a commentare l'attualità politica (con frasi come "I partiti veri non esistono più, non c'è più destra o sinistra") che a raccontare la storia d'Italia. E a proposito di Storia, ovviamente, per "ricostruzione inedita" si intende solo ed esclusivamente la tesi difensiva di Gelli sui fatti che lo hanno riguardato in prima persona.

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Finita la trasmissione, Gelli scivola per un breve periodo nell'oblio; ma non passa molto tempo prima che il suo nome torni a riempire le cronache—anche quelle giudiziarie. Nel 2009, dando la notizia di un'inchiesta della procura di Verbania, L'Espresso parla di un Gelli "in cima alla piramide" di una nuova rete massonica "di personaggi appartenenti a tutti i settori che contano della vita pubblica e privata."

Qualche anno dopo, in un documentario Gelli parla della strage di Bologna—per cui è stato condannato in via definitiva per il depistaggio delle indagini—e arriva a sostenere senza alcuna vergogna che a causare 85 morti e centinaia di feriti è stato "un mozzicone di sigaretta che è stata lanciata" e ha provocato il "surriscaldamento." Anche dopo quell'esternazione, ha continuato a rilasciare dichiarazioni e "provocazioni," rivendicando continuamente la riuscita del suo Piano di Rinascita e sferzando i politici attuali—nessuno escluso.

In una delle ultime interviste pubblicate dalla stampa italiana, Gelli ha offerto una valutazione personale sullo stato attuale dell'Italia. "Non le nascondo che vedo, con una certa soddisfazione, il popolo soffrire," dice Gelli al Fatto Quotidiano. "Sono felice che vengano sempre più a galla le responsabilità della cattiva politica. Perché, probabilmente, solo un tributo di sangue potrà dare una svolta, diciamo pure rivoluzionaria, a questa povera Italia."

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A dire il vero, l'Italia ha già pagato un alto tributo di sangue proprio quando Licio Gelli è stato all'apice del suo potere, e quando la rete di faccendieri, eversori, uomini dei servizi "deviati," neofascisti e golpisti a lui variamente associata ha tentato si imprimere la "svolta rivoluzionaria."

Se si rimuovono tutti gli strati di mistero, le mistificazioni, le disinformazioni e le esagerazioni che gli sono state cucite addosso—e non senza un certo suo compiacimento—Licio Gelli alla fine è sempre stato un "gerarca fascista in servizio effettivo permanente," come ha affermato lui stesso poco tempo fa. Un uomo che per decenni ha lavorato nell'ombra per sovvertire radicalmente l'Italia uscita dalla Seconda Guerra Mondiale e farla ripiombare in un regime dittatoriale, o comunque fortemente autoritario.

Fortunatamente, Licio Gelli non ce l'ha mai fatta. Ma un paio di obiettivi li ha raggiunti, tra cui l'essere riuscito a costruirsi un'immagine pubblica apparentemente inafferrabile, e—soprattutto—quello di aver avvelenato la vita democratica, politica e anche culturale del paese.

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