FYI.

This story is over 5 years old.

Macro

Come funziona il nuovo assegno di disoccupazione

Perdere il lavoro in Italia è un disastro, ma il problema non finisce lì: tra strani acronimi e complicazioni burocratiche, ottenere gli "assegni di disoccupazione" è sempre stato difficile. Per questo molti non ci provano nemmeno.

Illustrazione di Dan Evans.

Questo post fa parte di Macro, la nostra serie su economia, lavoro e finanza personale in collaborazione con Hello bank!

Perdere il lavoro in Italia è un disastro. Con una durata media della disoccupazione ormai superiore ai due anni, la quota di "disoccupati di lunga durata" (cioè coloro che non trovano il lavoro da almeno 12 mesi) supera il 60 percento sui 3 milioni di disoccupati totali, tanto che molti (200mila nel solo 2014) si scoraggiano e decidono persino di smettere di cercare un nuovo lavoro. Sono questi i dati del rapporto annuale Istat 2015, che restituiscono un senso d'urgenza legato all'assenza, in Italia, di strumenti di sostegno al reddito individuale—fatto che che spinge molti disoccupati fino alla soglia della povertà o, se giovani, nelle braccia della famiglia con i cosiddetti "trasferimenti intergenerazionali" (il nome che gli economisti danno alla "paghetta"), diventati la principale forma di sostegno al reddito delle giovani generazioni quando queste rimangono senza un'occupazione.

Pubblicità

Il problema è che il regime degli "assegni di disoccupazione" italiano appare scarsamente comprensibile, fatto di strani acronimi e complicazioni burocratiche, e di conseguenza difficilmente accessibile. Per anni si sono susseguiti cambiamenti, e da ultimo il governo Renzi ha introdotto un nuovo sistema, chiamato Naspi—acronimo per la "nuova Aspi", che sostituisce la vecchia Aspi a sua volta introdotta dal governo Monti in sostituzione della precedente "indennità di disoccupazione ordinaria". Dopo una serie di incertezze normative legate alla sua introduzione—avvenuta il 1 maggio 2015—la Naspi è oggi il nuovo sussidio di disoccupazione presente in Italia.

Alla Naspi può accedere qualsiasi lavoratore dipendente che abbia versato contributi per almeno 13 settimane nei quattro anni precedenti la perdita del lavoro (per licenziamento, dimissioni per giusta causa, o risoluzione consensuale del contratto), e lavorato per almeno 30 giorni nei 12 mesi precedenti. Si tratta di un passo avanti significativo rispetto al regime precedente, l'Aspi, a cui si poteva accedere avendo versato almeno 52 settimane di contributi nei due anni precedenti il momento della disoccupazione. Chi, invece, non rispettava questi requisiti, ma aveva versato almeno 13 settimane di contribuzione e lavorato almeno 30 giorni nei 12 mesi precedenti, veniva rimandato a un trattamento ridotto chiamato mini-Aspi. È chiaro quindi che il numero di persone che potranno accedere al nuovo assegno è maggiore.

Pubblicità

Per richiederla, occorre farlo entro 68 giorni dalla cessazione del rapporto e andare online sul sito dell'INPS. Una volta ottenuta, essa è legata "alla regolare partecipazione a iniziative di attivazione lavorativa nonché ai percorsi di riqualificazione professionale", e il diritto alla Naspi può decadere nel caso vengano rifiutate offerte di lavoro—ma l'INPS ha di recente chiarito che questo vale solo per offerte di formazione o di lavoro che distano meno di 50 chilometri dal luogo di residenza, e meno di 80 minuti di viaggio con mezzi pubblici.

La Naspi è di fatto un timido tentativo di muoversi verso un sistema universalistico sul tema del sostegno al reddito dei disoccupati italiani. Tra i lavoratori effettivamente impiegati con contratti dipendenti standard, sia a tempo indeterminato che a tempo determinato, solo il 3,4 percento non potrebbe accedere alla Naspi—contro il 15,7 percento nel caso della vecchia Aspi e il 5,1 percento della mini-Aspi. Ampliando questo calcolo a tutti i disoccupati, anche coloro cioè con contratti di lavoro non standard, la quota della copertura del nuovo sistema è pari al 77 percento del totale. A guadagnare più di tutti dal nuovo sistema sono i disoccupati tra i 15 e i 29 anni: con la vecchia Aspi, solo il 67 percento vi avrebbe potuto accedere, oggi il 72 percento gode invece di questo diritto. Per il 62 percento dei lavoratori, la Naspi introduce anche aumenti nella durata dell'assegno—che può arrivare a un massimo di 18 mesi (24 fino alla fine dell'anno prossimo, ma solo in via transitoria) ed è pari al 75 percento della retribuzione del lavoro precedente se questa non supera i 1195 euro, e inizia a calare ogni mese del 3 percento a partire dal quarto mese. Il trattamento medio della Naspi è pari a 732 euro—una quota più bassa della media del vecchio regime, che raggiungeva i 793 euro (ma, come abbiamo visto, permetteva a meno persone l'accesso). Anche per quanto riguarda i contributi previdenziali accumulati durante la disoccupazione, la Naspi "fa peggio" del vecchio regime: l'83,6 percento di lavoratori "tipici" accumulerebbe in 6 mesi meno contributi rispetto a quanto avrebbe fatto con il regime alternativo.

Ma il nuovo regime della Naspi lascia scoperte alcune categorie. È il caso dei lavoratori stagionali, che godono di soli tre mesi di sussidio. Con loro, buona parte (circa un terzo, o 300mila persone) dei collaboratori domestici. Per i lavoratori con contratto a progetto o di collaborazione, invece, è previsto un sussidio di disoccupazione separato—il cosiddetto DIS-COLL. Per accedervi, la perdita del lavoro deve essere accompagnata da almeno tre mesi di contribuzione alla gestione separata INPS nel periodo che va dal 1 gennaio dell'anno solare precedente fino al giorno della fine del rapporto di lavoro, e è necessario avere un mese di contributi nell'anno solare in cui si verifica la cessazione del rapporto. Anche l'importo della DIS-COLL è pari al 75 percento della retribuzione e inizia a calare del 3 percento a partire dal quinto mese, ma può avere una durata massima di sei mesi.

Secondo Michele Raitano, docente di economia all'Università la Sapienza di Roma, al di là dell'ampliamento della platea dei beneficiari, la Naspi "farà dei perdenti: quei lavoratori cioè, e non sono pochi, che in caso di licenziamento sarebbero tutelati per un periodo più breve, riceverebbero prestazioni di minore entità e si vedrebbero riconosciute contribuzioni figurative più contenute." Purtroppo, l'attuale schema dell'assegno fa in modo che queste categorie coincidano proprio con quelle che, durante la propria carriera lavorativa, rischiano maggiormente di perdere il lavoro. Un fattore che contribuisce alla segmentazione dell'universo del lavoro italiano in "insider" e "outsider", con i primi che godono di una più elevata probabilità di rimanere occupati e maggiori trattamenti di disoccupazione una volta perso il lavoro, e i secondi che vedono esaurirsi rapidamente il sostegno al reddito durante i frequenti episodi di disoccupazione. Intervenire su questo gap sarà fondamentale per un governo che voglia ottenere un mercato del lavoro più equo e sostenibile da un punto di vista sociale.

Segui Nicolò su Twitter