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La passerella di Christo: capolavoro o baracconata?

Negli ultimi giorni è impossibile non aver sentito parlare di The Floating Piers, la passerella costruita sul lago d'Iseo dall'artista Christo al centro di una specie di isteria di massa. Abbiamo provato a capire cosa c'è dietro il suo successo.

L'opera di Christo sul lago d'Iseo. Christo and Jeanne-Claude, The Floating Piers. Foto di Wolfgang Volz. © 2016 Christo

Negli ultimi giorni è impossibile non essere incappati almeno una volta in un post su Facebook, una foto su Instagram o un articolo riguardante il progetto Floating Piers dell'artista americano di origine bulgare Christo Vladimirov Yavachev—più semplicemente noto come "Christo". Da quando ha aperto, infatti, l'opera è stata il centro di una specie di isteria collettiva, con migliaia di persone rimaste bloccate per ore alla stazione di Brescia e la stampa impegnata a tenere il conto dei vip che ci andavano o a interrogarsi su quale fosse l'outfit giusto per visitarla.

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Giusto per tratteggiare brevemente l'entità del progetto, realizzato sulla sponda bresciana del lago d'Iseo, Floating Piers è un'opera di land art che consta di una serie di passerelle galleggianti in polietilene ricoperte da tessuto giallo brillante—o "dorate," a detta dell'artista stesso—per conferire l'effetto di una spiaggia di sabbia, una spiaggia geometrica che incornicia l'Isola di San Paolo, proprietà privata della famiglia Beretta.

L'autore dell'opera non è un esordiente: a 81 anni Christo ha una carriera lunghissima alle spalle, per lo più condivisa con la moglie Jeanne-Claude, durante la quale ha realizzato famosi "impacchettamenti" artistici che vanno dal Reichstag di Berlino al Pont Neuf di Parigi, e altri su scale ancora più mastodontiche che comprendono isole e interi paesaggi. Parliamo quindi di un artista che è passato meritatamente attraverso le decadi ed è stato consacrato dal mondo dell'arte. Perché allora, a giudicare dall'atmosfera che ci si è creata intorno, abbiamo la sensazione che questa volta l'operazione di Christo si sia rivelata una baracconata?

Nell'impossibilità di ponderarne il valore artistico e culturale—non basterebbero 20 saggi di estetica a dirimere i dubbi sul suo status di opera d'arte—i media e i vari report hanno fatto quello che fanno sempre: snocciolare un'infinita serie di numeri e dati nel tentativo di quantificare e descrivere l'operazione con la misura certa delle cifre.

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Ed ecco quindi i quasi quattro chilometri di percorso, i 200mila metri cubi di polietilene, i 100mila metri di stoffa gialla, senza nemmeno considerare la querelle sul costo dell'operazione (si parla di 15 milioni) sostenuta interamente dall'artista e dai suoi collezionisti, e i dati relativi allo smaltimento dell'opera che l'artista—coadiuvato dal suo staff di ingegneri—ha garantito per quello che altrimenti potrebbe facilmente diventare un ecomostro.

Bene. Ma se su queste informazioni piuttosto noiose ma anche utilissime per riempire pagine e servizi ciascuno può farsi la propria opinione, è assai più interessante interrogarsi sulla fortuna dei Floating Piers. Stando alle cifre ufficiali, nei soli primi due giorni più di 100mila visitatori hanno percorso le passerelle: numeri che difficilmente si riscontrano per operazioni artistiche o culturali in questo paese, ancor più se riferite a un'unica grande installazione.

L'idea e l'intuizione artistica dietro l'opera vengono da lontano. La genesi dei Floating Piers risale addirittura al 1969, quando l'artista li pensò per la prima volta con l'intenzione di realizzarli in Argentina. Nel 1996 l'opera fu ripensata per il Giappone, e solo nel 2014 s'iniziò concretamente a contestualizzarla nel lago d'Iseo. Tempi così dilatati per la gestazione di un'opera così imponente di per sé non sarebbero un problema, ma al netto del pedigree di un artista che ha svolto senza dubbio un ruolo fondamentale nella definizione della land art—l'inserire elementi nel paesaggio o utilizzare il paesaggio stesso per innescare il processo artistico—viene da chiedersi come siano cambiati il mondo e gli obiettivi dell'arte in questo lungo lasso di tempo.

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Anzitutto, il pubblico è certamente cambiato. Sul finire degli anni Sessanta, il contesto artistico era mosso da una ferma opposizione all'establishment e dalla possibilità di intendere l'arte come prezioso strumento di anarchia, tramite la riapproprazione del corpo e dei luoghi pubblici così come della terra stessa.

Il pubblico che corrispondeva o si opponeva a quel linguaggio rendeva il confronto e lo scontro con tali espressioni capace di innescare reazioni anche violente, ma senza dubbio anche delle opere e azioni indimenticabili. Oggi invece è radicalmente mutato: le biennali staccano sempre più biglietti, indipendentemente da quale sia il tema e il curatore, e lo stesso fanno le altre grandi manifestazioni che scandiscono il calendario del mondo dell'arte. E ogni anno il dato cresce, riflettendosi anche nello svilimento dei contenuti e all'apertura a fenomeni incresciosi.

A questo incremento di consenso corrisponde una maggiore alfabetizzazione verso il contemporaneo e verso i linguaggi artistici? Difficile dirlo. Di sicuro però l'arte contemporanea non si sta interrogando sui Floating Piers di Christo, poiché questo in fondo è un prodotto che riaffiora invariato dagli anni Settanta, sull'onda di quella "retromania" perfettamente descritta da Simon Reynolds—di una cultura pop che continua a tornare ossessivamente al passato. Ed è proprio questo il punto fondamentale: un'arte congelata nel tempo è ormai diventata un linguaggio tra molti altri, obsoleto, depotenziato, addomesticato e per questo reso accettabile dal grande pubblico.

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Il successo dei Floating Piers è evidente dalle masse che continuano ad affollare in questi giorni le sponde del lago, creando code interminabili e disagi di ogni tipo riportati come in una sorta di bollettino di guerra: malori per il caldo estenuante, frastuono dei turisti, collegamenti difficoltosi sui mezzi di trasporto e così via—tutte cose che trasformano il tutto in un calvario cristologico che forse, in quanto tale, può rivelarne in parte il motivo del successo in patria.

Soprattutto, sono le immagini facilmente reperibili più o meno ovunque a darci un ritratto di questa massa del tutto simile a quelle che assediano i grandi outlet come quello di Serravalle. Poiché in fondo i linguaggi non sono poi così diversi: da un lato un'idea senz'altro espressa genuinamente da un artista ma poi logorata dalla storia e dai tempi, de-concettualizzata e quindi più facilmente comprensibile; dall'altra il linguaggio della moda che, dopo essere stato espresso dagli stilisti e dall'industria, precipita dalla sua aura (e dal suo prezzo) per essere accolto e proposto al grande pubblico degli outlet.

Ciò non toglie che i Floating Piers possano incontrare anche i favori e gli sguardi individuali di persone sensibili e colte, e senza dubbio la "popolarizzazione" è uno dei fenomeni del contemporaneo. Ma dato che oggi estetica è etica, viene da domandarsi se un segno grafico e perciò astratto, tracciato in un paesaggio naturale e reale, non sia una forzatura, magari piacevole alla vista benché insostenibile sul piano esperienziale e culturale.

L'esperienza della passerella di Christo cambia la percezione di chi la percorre? Oltre alla sensazione di meraviglia, alle insolazioni, ai meravigliosi selfie, al pellegrinaggio dei famosi e "all'inchino" del maestro orante, che ogni giorno si avvicina su un battello per benedire con la sua presenza la masse, come da tutte queste esperienze il pubblico ne esce trasformato?

Oppure, più semplicemente, la "paperella" minimal e galleggiante da 15 milioni di euro è solo una delle ultime concretizzazione plastiche di quel termine che continua dagli anni Novanta ad apparire come un valore insostituibile: un evento.

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