Quando entri nel ristorante di Wicky Priyan – Wicky’s a Milano -, e hai la fortuna di aver prenotato al bancone del suo ristorante, l’occhio immediatamente si posa su quelle due katane gigantesche che sono dietro di lui.

“Hanno 400 anni! In Giappone ho vissuto per 6 anni in una casa di un samurai, circondato da katane. Queste mi fanno sentire bene, a casa. Poi quando ho aperto questo locale il mio maestro mi ha detto di metterle dietro le mie spalle, perché mi avrebbero dato forza, oltre che portato fortuna”.
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Le vedi nei musei quando vai in Giappone quelle bestie lì, e ti incutono giustamente un bel po’ di timore. “Quando impari a tagliare con le katane, con i coltelli diventi bravissimo”.
La vita e il percorso di Wicky Priyan sono intimamente legati a delle lame affilate; io non sono una grande conoscitrice o una grande amante del soggetto – ho una serie di orribili coltelli di ceramica sbeccati a casa per dirne una – ma quando dall’altra parte del bancone lui accetta di farti vedere i pezzi forti della sua collezione di coltelli – ne ha più di 200 – allora non puoi fare a meno di farti trasmettere il suo entusiasmo.

La storia di Wicky Priyan è una di quelle storie che difficilmente ti capita di leggere altrove. Vi sfido a trovare uno maestro di sushi srilankese che ha prima studiato da criminologo, diventando anche il coordinatore delle guardie del corpo di Michael Jackson, ed esperto di arti marziali. E sono proprio le arti marziali che lo portano in Giappone, dove si innamora della cucina e del rituale del sushi. Per oltre 22 anni è allievo di grandi maestri, uno dei quali una volta gli ha piantato la punta di un coltello sul braccio perché aveva sbagliato a tagliare un pesce.
“Vedi qui?” indicandomi la cicatrice e mimando fino a dove è andata la lama. Poi quello stesso maestro, anni più tardi, il coltello che gli aveva piantato nel braccio glielo ha regalato.
“Quando diventi un allievo di un maestro giapponese diventi più di un figlio. E lui ti tratta come tale, con enorme disciplina”. E voi che pensavate che il sushi fosse una cosa da fighette milanesi. E aggunge: “In Giappone sono abbastanza razzisti, sono stato fortunato ad essere stato accettato dal mio Maestro nonostante non fossi giapponese”.
Wicky arriva in Italia 12 anni fa; qui apre il suo ristorante che, dopo una sede un po’ più piccola, si sposta nel centralissimo Corso Italia 6. Diversi ambienti, e il più ambito, il suo bancone dove se puoi permettertelo – 180 euro a persona -, lui prepara un menu appositamente per te di omakase, assaggi di sushi e non solo.

Il ristorante di Wickys è unico a Milano per un paio di ragioni: per il suo proprietario, e la sua storia che abbiamo iniziato a raccontare, e per il connubio di due tipi di cucine che contraddistinguono il Giappone; il sushi e la cucina kaiseki, ovvero l’alta cucina giapponese legata alla cerimonia del tè di Kyoto.
Il percorso che propone lo chef è elegante e allo stesso tempo ai limiti del food porn, dandoti l’impressione di aver condensato un viaggio gastronomico del Giappone in pochissime ore.

Uno dei pezzi forti del menu è senza dubbio il Sushi Kan, il set da 8 nighiri dedicato al suo maestro, che condensa alla perfezione gli ingredienti italiani alla lavorazione giapponese.
“In Europa ci sono pochissimi cuochi che hanno lavorato anni e anni con maestri giapponesi; quasi nessuno, ad esempio, ha con sé un coltello regalato dal suo maestro, io ne ho 12”. E allora la questione dei coltelli non è speciale solo per via della fascinazione che si ha nei confronti delle armi, ma soprattutto perché sono una testimonianza dell’affetto e della stima dei maestri. “Io li darò a mia figlia” mi dice.

Chiedo a Wicky di mostrarmi quello a cui tiene di più: prende una custodia pesante con ideogrammi giapponesi. Poi recupera un foglio e appena lo tocca con il coltello la carta si taglia all’istante. “La lama di questo coltello è fatta dello stesso acciaio di quello delle katane”. In questo momento capisco quanto debba aver fatto male la punta del coltello sul braccio di Wicky quando ha sbagliato a tagliare il pesce, e del perché mi abbia detto “Da allora non ho più sbagliato”.
“Sono affilatissimi!” esclamo come una ragazzina che sottolinea l’ovvio. “Li affilo tutti io” mi dice. Se ne occupa come fossero un reliquia. Aggiune: “Questo qui viene passato di maestro in maestro da 11 generazioni”.

Intanto nella mia visita da Wicky’s mi sorprendono due cose: certo il sushi che non si trova certo in qualsiasi ristorante giapponese, ma soprattutto la capacità di passare da un piatto pop a un piatto più elaborato all’istante.
La Tempura, come il Carpaccio ai 5 continenti (Tonno, ricciola, salmone accompagnati da salsa marinata a base di agrumi, lemongrass, zenzero e spezie) o un delicatissimo Mini burger di cime di rapa, salmone, barbabietole, raccontano diverse storie del Giappone: la Tokyo chiassosa e divertente, e la Kyoto più sofisticata e tradizionale. Nessuna contaminazione in effetti con l’Asia orientale e il suo Sri Lanka, o almeno io non ho saputo coglierla.

“Mi sento giapponese”, mi aveva detto Wicky appena entrata. Io non posso contraddirlo.
E poi parliamoci chiaro: voi dareste mai torto a uno con così tanti coltelli?
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