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Ora la Chiesa dovrà restituire l'Ici che non ha mai pagato all'Italia

Lo ha deciso la Corte di giustizia dell'Unione Europea, e si parla di quasi cinque miliardi di euro di tasse sugli immobili non pagate tra il 2006 e il 2011.
Leonardo Bianchi
Rome, IT
Piazza San Pietro Roma
Piazza San Pietro a Roma. Foto via Wikimedia Commons.

La Chiesa cattolica in Italia gode di un regime di tassazione particolare—nel senso che ha forti agevolazioni fiscali, motivate dalle finalità assistenziali e sanitarie di alcune sue attività. Ma ce n’è una che, in particolare, ha sempre fatto imbestialire un sacco di persone: l’esenzione pressoché totale sull’imposta comunale degli immobili (Ici).

Da quando venne introdotta nel 1992, la Chiesa non l’ha mai pagata del tutto. Nel 2005 il governo Berlusconi—poco prima dello scioglimento delle Camere—addirittura allargò l’esenzione a tutti gli immobili, anche quelli commerciali; mentre nel 2007 il governo Prodi la limitò a quelli con finalità “non esclusivamente commerciali.” Nel 2012 il governo Monti sostituì l’Ici con l’imposta municipale unica (Imu), che tuttavia non prevedeva esenzioni per gli immobili dove venivano svolte attività economiche (anche se di proprietà della Chiesa).

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Comprensibilmente, la questione è sempre stata oggetto di feroci polemiche e pronunce della magistratura italiana ed europea. Oggi è però arrivata una svolta: la Corte di giustizia dell’Unione Europea ha stabilito che l’Italia deve recuperare l’Ici non pagata dalla Chiesa tra il 2006 e il 2011.

La sentenza riforma la decisione della Commissione UE del 2012 e un precedente giudizio di primo grado della stessa corte risalente al 2016. Pur condannando l’Italia per aiuti di stato illegali—di fatto, l’esenzione andava a danno “delle attività commerciale non di proprietà della Chiesa, che doveva pagare una tassa aggiuntiva”—la Commissione aveva riconosciuto la “assoluta impossibilità” di recuperare le tasse non versate nel periodo in esame, visto che sarebbe stato “oggettivamente impossibile” calcolare retroattivamente il tipo di attività degli immobili e quindi calcolare l’importo da recuperare.

Questa volta i giudici hanno ritenuto che queste circostanze costituiscano semplici “difficoltà interne all’Italia,” e che pertanto non siano idonee a “giustificare l’emanazione di una decisione di non recupero.” Secondo la sentenza, inoltre, la Commissione “avrebbe dovuto esaminare nel dettaglio l'esistenza di modalità alternative volte a consentire il recupero, anche soltanto parziale, delle somme.”

Il ricorso è stato promosso dalla scuola elementare Montessori di Roma, sostenuta dai Radicali. Carlo Pontesilli, esponente del partito, ha spiegato che “non abbiamo nulla contro la Chiesa, non è una battaglia ideologica. Il nostro interesse è quello della collettività, della parità di trattamento per tutti: tutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge, anche quella tributaria.”

Per l’avvocato Edoardo Gambaro—che ha promosso l’ultimo ricorso—siamo di fronte a “una sentenza storica,” perché se ora “l’Italia non dovesse recuperare gli aiuti, si aprirebbe la via della procedura di infrazione, con altri costi a carico dei cittadini.” La Commissione, ha continuato, sarà dunque “obbligata a dare seguito alla sentenza, emanando una nuova decisione e valutando, insieme allo Stato italiano, le modalità di recupero delle imposte non riscosse per lo meno dal 2006.”

Stando alle stime dell’Anci, l’associazione dei comuni italiani, la stima delle tasse da recuperare si aggira intorno ai 5 miliardi di euro.

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