Depressione, ansia e gli altri: com'è vivere con una persona con un disturbo mentale
Illustrazione di Rita Valente.

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salute mentale

Depressione, ansia e gli altri: com'è vivere con una persona con un disturbo mentale

"Quando una persona a te così vicina ha un disturbo mentale provi una solitudine che è difficile capire se non l'hai vissuta."

Questo articolo è frutto della collaborazione tra VICE e Non Siamo Soli, un progetto e sito che offre informazioni, consulenza e testimonianze sulla malattia mentale.

Quando si parla di malattia mentale si dimentica spesso—per motivi di cosiddetta forza maggiore—che intorno a chi ne soffre ci sono parenti, amici, fidanzati, che spesso non sanno che pesci pigliare. Poiché io stessa soffro di bipolarismo so cosa significa, e mi ritengo molto fortunata: la mia famiglia è sempre stata con me nonostante per loro sia ancora difficile usare parole come 'disturbo mentale'. Mi hanno seguita durante il ricovero e a volte partecipano alle mie sedute di psicoterapia, per capire meglio me e come rendere più facili anche le loro vite.

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Trovare aiuto, per chi sta accanto al malato, non è facile: sulla pagina di Non Siamo Soli commentano spesso persone piene di risentimento che si sentono abbandonate. Come mi ha spiegato Eleonora Orsi, psicologa, "Credo che le persone che stanno accanto ai malati si sentano sole per tanti motivi, a seconda del carattere. Un motivo può essere dato dal fatto che fanno fatica a capire cosa sta succedendo ai loro cari. Lavorando all’ambulatorio dei disturbi alimentari spesso incontro genitori disperati che non comprendono come la figlia possa non vedere di essere così magra o così ossessionata dal cibo, e che all'inizio riconducono tutto a un capriccio, opponendosi, scontrandosi, ma poi scoprono che il sintomo è solo un modo per far uscire un altro tipo di sofferenza più profonda. Questo ci porta al secondo motivo: molte volte chi sta accanto alle persone malate si sente solo perché impotente davanti alla malattia. E spesso il servizio sanitario risulta carente nel fornire un'adeguata spiegazione ed educazione, o spazio per l'ascolto e il supporto."

Per capire di più, ho raccolto le testimonianze di persone che in vari ruoli (figli, genitori) convivono con persone con disturbi mentali.

"DEVI FINGERE CHE VADA TUTTO BENE"

Ho vissuto per 15 anni con mio padre affetto da un disturbo bipolare che inizialmente era stato scambiato per depressione. Tutto è cominciato quando avevo nove anni, e vederlo cambiare di mese in mese senza capire cosa succedesse è stato un incubo: tentava il suicidio e passava a letto giornate intere per un mese, e il mese successivo diventava una persona euforica che non tornava a casa prima delle tre del mattino. Solo dopo diversi anni hanno trovato la terapia giusta.

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Non mi sono mai arrabbiata con lui per questo, sapevo che si trattava di una malattia, e lo so ancora meglio ora che sono entrata nel tunnel della depressione. Quando una persona a te così vicina ha un disturbo mentale provi una solitudine che è difficile capire se non l'hai vissuta: hai paura dei pregiudizi, hai paura di una 'cosa' che non conosci e fa soffrire la persona che ami, hai paura che possa “succedere di nuovo”, che le cure possano non funzionare. Ma devi fingere che vada tutto bene, perché i medici la trattano come una malattia come le altre e d'altra parte molte persone non capirebbero, pronte ad appiccicare subito l'etichetta di 'pazzo'—Elisa, 26 anni

"VOGLIO ESSERE PRESENTE PER LUI"

Ho un fratellino di 10 anni che soffre della sindrome di PANDAS, una malattia ancora poco conosciuta in Italia. PANDAS sta per 'Pediatric Autoimmune Neuropsychiatric Disorders Associated with A Streptococcal Infections', una condizione rara che non è ancora stata riconosciuta ufficialmente come patologia a sé, ma i cui sintomi sono nondimeno gravi. Immaginate che un giorno il vostro fratellino vada a letto serenamente da bambino sano e gioioso e si svegli con uno o più dei questi sintomi: ansia, pensieri ricorrenti, fobie, paure infondate, girare in tondo, raccogliere oggetti inutili, pensieri di morte, ripetizione di parole o frasi oscene, ripetizione di azioni (lavarsi le mani, cambiarsi i vestiti, accendere-spegnere le luci, allineare le cose, etc), fissa per l'ordine.

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Seppure la malattia sia col tempo, e con l'improvvisa morte di nostro padre, peggiorata, e mio fratello abbia dovuto subire diversi ricoveri, per me lui è un bambino come tutti. A volte ha delle reazioni forti, e allora devo ricordarmi che ha questa malattia e accettarle: la cosa più importante, per come la vivo, è che io sia presente per lui, perché è lui che sta affrontando [la malattia] e io devo aiutarlo nel suo percorso—Sara, 27 anni

"MI SENTO SOLA, SENZA SOLDI E CON UNA BOMBA A MANO"

Questa mattina alle nove mi sono recata in un tribunale per la quinta volta in un anno, perché mia figlia, che ha un disturbo mentale, compie atti criminali. Ha avuto la diagnosi nove anni fa, e da allora ha anche avuto due figli da due uomini diversi. Nonostante i reati che commette, quando mi trovo davanti alla scelta faccio di tutto perché non la internino in un REMS [residenza per l'esecuzione delle misure di sicurezza, le strutture che dal 2015 hanno sostituito gli OPG] perché lei non è una criminale, ma una donna con problemi di salute mentale e senza nessuno vicino.

La continua battaglia legale è molto dispendiosa, da un punto di vista finanziario: quando gli ultimi soldi che ho, quelli della liquidazione, saranno finiti, non potrò più fare niente per lei. Se dovessi dire come mi sento, mi sento sola, senza soldi e con una bomba a mano sempre pronta a scoppiare—Irene, 45 anni

"INTERNET STA DAVVERO FACENDO LA DIFFERENZA PER NOI"

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Quando avevo 15 anni e tutto ha cominciato a sgretolarsi nella mia famiglia, internet non era ancora disponibile per tutti in Italia. Per questo motivo eravamo davvero isolati, era dura sfogarsi, e io mi sono costruita addosso una corazza di ghiaccio per "funzionare" nella vita quotidiana, pur con un profondo senso di perdita.

Nel 2010, quando mia madre ha avuto la sua terza grave ricaduta maniacale, io ho iniziato a cercare informazioni su Google, aprendo così gli occhi a un fatto importante: non ero l'unica [in quella situazione] e tutti i miei sentimenti legati alla malattia mentale dei miei genitori erano reali e significativi. Ho realizzato di essere una dei milioni di Figli di Pazienti Psichiatrici (Children of Parents with a Mental Illness). È stato doloroso ma liberatorio allo stesso tempo. La mia esperienza era stata avvalorata dalle storie di altri che avevano deciso di condividere la propria! Ho così deciso di aprire un blog personale, Mia Madre È Bipolare, per dare la stessa possibilità a chi vive in Italia.

Internet oggi sta davvero facendo la differenza per noi tutti, permettendo a chiunque lo desideri di parlare liberamente della propria esperienza senza sentirsi giudicati o compatiti, di condividere risorse utili e costruire uno sforzo congiunto per rivendicare i nostri diritti, in special modo quelli di bambini e adolescenti che spesso non hanno voce per ottenere il supporto di cui hanno bisogno—Anonima, 30 anni

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"MI PARE CHE MIA MADRE NON VOGLIA GUARIRE"

Essendo figlia unica, sono stata protetta sotto la famosa "campana di vetro." Specialmente mia mamma ha avuto sempre un ruolo autoritario e protettivo nei miei riguardi—soprattutto a causa della sua ansia. Una volta in pensione, l’ansia è peggiorata fino a indurle dei veri e propri attacchi. Dopo una certa ora della sera, se ero fuori con gli amici mi inviava svariati messaggi chiedendomi a che ora pensassi di tornare. E se non riceveva risposta entro cinque minuti mi telefonava allarmata. Una sera, rientrando, l’ho trovata sul ballatoio, spaventata, in procinto di recarsi dai carabinieri per denunciare la mia scomparsa perché mi si era scaricato il telefono e non avevo risposto ai suoi messaggi.

Nemmeno quando mi sono sposata e trasferita all'estero quelle ansie e preoccupazioni sono sparite. Ancora oggi, quando sa che sono fuori, mi scrive per sapere a che ora torno o mi tempesta di telefonate. È conscia del problema, e cerca di giustificarsi facendo leva su questo: è fatta così, dice, mi chiede di venirle incontro. Ma per me è difficile, poiché non voglio permetterle di usare la malattia come scusa per controllarmi.

Recentemente si è rivolta a una psicologa e ho sperato che finalmente grazie a questo potessimo avere una rapporto normale. Non è stato così, anzi, mi pare che non voglia guarire, non voglia sforzarsi davvero. Ad oggi, sono arrivata a ometterle molte cose 'normali' che mi accadono per non farle venire l'ansia e proteggermene a mia volta.

Vivere con lei ha avuto anche un impatto forte su come io vivo le cose: ho timore di lanciarmi in nuove avventure, di parlare con una persona che non conosco, di uscire di casa da sola, di guidare da sola, non mi relaziono in maniera espansiva nemmeno con gli amici. Spesso mi trovo a invidiare i mie coetanei, cresciuti con una madre diversa dalla mia, poiché mi appaiono sicuri e coraggiosi—Alessia, 30 anni

Ilaria è la fondatrice e art director di Non Siamo Soli. Segui la sua pagina su Facebook. Se pensi di aver bisogno una mano, scrivi a Non Siamo Soli.