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Tecnologia

4 chiacchiere con l'exPresidente dell'Associazione Italiana per l'AI

Strano ma vero, la nostra ricerca accademica nel campo dell'Intelligenza Artificiale spacca.
Riccardo Coluccini
Macerata, IT
Immagine: grab via Wikimedia Commons

Quando leggiamo di algoritmi innovativi in grado di riconoscere malattie e computer capaci di battere i giocatori di Go, pensiamo sempre ad aziende e centri di ricerca esteri — Stati Uniti, Cina, Regno Unito, Canada sembrano essere gli unici luoghi in cui si produca ricerca sull’IA. Ma è giunto il momento di ricredersi e di aggiungere alla lista anche l’Italia.

“L’Italia è all’avanguardia nella ricerca accademica in IA, lo è da sempre e lo continua ad essere nonostante l’assenza di investimenti organici nel nostro paese,” mi spiega Amedeo Cesta, Dirigente di Ricerca presso il CNR-ISTC e attuale presidente dell’AI*IA, che ho incontrato alla conferenza dal titolo Humans the Next Ones: the everyday life @ the age of AI organizzata a Roma.

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Sì, avete letto bene: una conferenza sul tema dell’intelligenza artificiale e delle sue conseguenze sulla vita quotidiana, organizzata dall'Associazione Italiana per l’Intelligenza Artificiale (AI*IA) che si occupa unicamente di questo tema.

Secondo gli ultimi dati pubblicati dall’associazione AI*IA, infatti, l’Italia si colloca al decimo posto a livello mondiale per numero di articoli di ricerca. Ma se si valuta questo dato in funzione della spesa in ricerca e sviluppo a livello nazionale, l’Italia si colloca al sesto posto.

"Attenzione: questo dato non deve consolarci, perché è un momento in cui i giovani sentono alto il richiamo dell’estero considerata la stagnazione del paese,” ammonisce Cesta.

Se guardiamo però il panorama delle aziende che lavorano nel settore dell’intelligenza artificiale non sembra esserci lo stesso ottimismo: “manca coraggio e manca l’anello di congiunzione tra eccellenza accademica, progettualità avanzata e la realtà industriale e sociale del paese,” chiarisce.

Secondo lui, spesso le aziende italiane preferiscono un prodotto preconfezionato — offerto dalle grandi aziende straniere — e così viene a mancare un ecosistema virtuoso; “per rompere questo stato di cose servirebbero delle indicazioni molto chiare a livello strategico, e su questo non sarei troppo ottimista.”

Parlare di intelligenza artificiale, però, vuol dire necessariamente parlare anche delle nuove sfide etiche che si presentano: "quello che spaventa è la capacità di una macchina di prendere decisioni in modo autonomo," specifica Cesta.

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E se pensiamo alle leggi della Robotica di Asimov, prosegue il presidente di AI*IA, quelle erano un tentativo di instillare in una macchina principi che la rendessero innocua “ma il problema è che l’uomo non è sempre un animale etico, e spesso usa la propria intelligenza per farsi del male o farne al prossimo.”

“Da questo punto di vista è sicuramente urgente, in primo luogo, mettere al bando le armi autonome, ma è altrettanto fondamentale definire principi etici per la società del futuro — non solo per i robot o per i programmi intelligenti,” prosegue Cesta.

E ci sono anche ricercatori italiani che si stanno ponendo il problema, “come ad esempio Francesca Rossi, ordinaria all’Università di Padova che attualmente si è trasferita negli Stati Uniti dove lavora per IBM proprio sul problema dell’etica nelle macchine.”

La stessa AI*IA ha promosso negli anni alcuni incontri aperti su questo tema invitando, oltre ai ricercatori di IA, anche esperti di altri settori come economisti, ingegneri ambientali e sociologi, per cercare di arrivare a una visione interdisciplinare del problema e delle soluzioni — qui ci sono alcuni degli eventi del 2014, 2015, 2016 e 2017.

“Qualcuno sostiene che le macchine, per avere un comportamento etico, dovrebbero imparare da noi, ma io non credo proprio,” aggiunge Cesta, “anzi il problema è proprio questo: il nostro comportamento nei riguardi degli altri esseri umani è sempre meno corretto, e le diseguaglianze sono in continuo aumento.”

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E se vogliamo che un assistente intelligente ci fornisca supporto, “questo dovrà comportarsi in modo diverso a seconda della lingua che usa, dell’ambiente culturale in cui è immerso, addirittura dovrà e potrà imparare a conoscere le nostre abitudini e dare raccomandazioni personalizzate.”

L'ecosistema dell'Intelligenza Artificiale italiana. Immagine via aixia

"Da questo punto di vista è sicuramente urgente, in primo luogo, mettere al bando le armi autonome, ma è altrettanto fondamentale definire principi etici per la società del futuro — non solo per i robot o per i programmi intelligenti."

Anche il governo italiano si è mosso sul tema dell’intelligenza artificiale e dei suoi sviluppi ma, come sottolinea Cesta, per ora questo interesse si è manifestato solo come una dichiarazione di intenti — è stata creata una commissione per la stesura di un libro bianco e AI*IA sta cercando di contribuire alla sua stesura.

In questo momento, però, aggiunge Cesta, “bisognerebbe andare anche oltre le intenzioni e intervenire con politiche di sviluppo che favoriscano le nuove tecnologie pur ponendo dei paletti e ricordando la rilevanza del loro uso nei problemi socialmente utili per il paese come l’assistenza agli anziani, il supporto ai giovani disoccupati, il controllo delle disuguaglianze.”

Il timore del presidente di AI*IA è che senza uno sforzo Italiano armonizzato con quello europeo rischiamo di restare fuori da una trasformazione di cui non solo dobbiamo essere parte attiva “ma che dobbiamo anche guidare in senso positivo per lo sviluppo del genere umano.”

L’Associazione Italiana per l’Intelligenza Artificiale, pur essendo un’associazione su base volontaria, rappresenta chiaramente un nucleo fondamentale per lo sviluppo dei temi legati all’applicazione dell’IA nella nostra vita quotidiana e ci ricorda che anche in Italia si può e si deve parlare di intelligenza artificiale.