Ho cercato di bere una birra da asporto a Torino nonostante l'ordinanza

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Ho cercato di bere una birra da asporto a Torino nonostante l'ordinanza

Un giro nei quartieri di Torino in cui è in vigore l'ordinanza anti-alcol, per capire come è cambiata la vita notturna.

È lunedì sera e sono a casa di un'amica in centro per una veloce cena post-studio, classico appuntamento sociale che si regge sulla preliminare promessa reciproca di "tornare presto, che domani bisogna studiare." Verso mezzanotte, però, le birre finiscono: l'alternativa è tornare tutti a casa o scendere a comprarne un paio e stare ancora un'oretta a parlare. Messi da parte i sensi di colpa, la scelta ricade sulla seconda opzione e mi offro volontario per raggiungere il primo bangla.

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Niente di impegnativo, teoricamente: se non fosse che siamo a Torino, città in cui per i prossimi mesi, in determinati quartieri, non si potranno comprare bottiglie di vetro né consumare alcolici al di fuori del perimetro dei dehor dei locali.

Come dichiarato dal sindaco Chiara Appendino, il divieto dalle 20 alle 6 si sarebbe reso necessario per poter garantire la "tutela della tranquillità e del riposo dei residenti." Ma per molti, questo provvedimento non sarebbe altro che un maldestro tentativo della giunta per assicurare ai cittadini che fatti come quello di piazza San Carlo—dove per questioni di 'ordine pubblico' si è arrivati a una vittima e migliaia di feriti durante la finale di Champions League—non si ripetano più.

Come è noto, l'ordinanza firmata a inizio giugno ha scatenato una grossa protesta soprattutto giovanile sia sui social che nelle piazze, tanto da arrivare alle turbolenze tra polizia, studenti e venditori abusivi di piazza Santa Giulia. Ad oggi, i giornali sono arrivati a usare espressioni come "spaccio di birre in piazza," "malamovida" e "città svuotata" dopo una notte di San Giovanni del 24 giugno scorso ben poco partecipata.

In questo contesto, ho deciso di capire quanto la vita notturna di Torino sia realmente cambiata nelle prime settimane post-ordinanza. Così ho passato l'ultimo weekend cercando di bere qualcosa nei due più importanti quartieri della vita notturna torinese dopo le otto di sera.

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Uno dei minimarket con l'avviso relativo al divieto di vendita di alcolici. Tutte le foto di Federico Masini.

Parto venerdì proprio da Santa Giulia—luogo centrale di Vanchiglia, il quartiere che per via della sua vicinanza all'università di Palazzo Nuovo è diventato zona di punta tra gli universitari. Sono solo le nove ma la piazza è già piena, visto che per le dieci è prevista una street parade organizzata dagli studenti contro l'ordinanza.

Mi dirigo verso il minimarket che da sempre riempie le sere del quartiere di birre a un euro e qualcosa: il proprietario mi riconosce e mi saluta, ma il suo sguardo mi fa intendere che stasera niente. "Ancora una multa e chiudiamo, dopo le otto niente più bottiglie." Provo a convincerlo per capire quanto sia serio, ma non c'è verso. Niente birra.

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Un ragazzo e il suo bicchiere vuoto nell'area esterna di un locale.

Mentre mi allontano dal chiosco mi viene in mente che c'è un altro posto in zona dove la gente potrebbe andare a fare rifornimento. Lo raggiungo e vengo a sapere che posso sì prendere una Moretti, ma pagandola il doppio di quanto costa normalmente e con la consapevolezza che, acquistandola, andrei contro la famosa ordinanza.

"È una cagata pazzesca fatta per rimediare a una cagata ancora più pazzesca," mi dice Willie Peyote, un rapper locale che incrocio quella sera in Santa Giulia, sintetizzando la marea di discussioni a riguardo.

Poi mi avvicino ad alcune ragazze che bevono birra in vetro chiedendo dove l'avessero presa. "Da casa," rispondono a turno: poco dopo mi confessano che non erano a conoscenza dei dettagli dell'ordinanza.

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Faccio un po' di domande alle persone in partenza per la parata sulla situazione post divieti, ma in tutte le risposte che mi vengono date la questione "movida" e quella polizia/politica/decreto Minniti viaggiano di pari passo, trasformandosi in lunghi e accorati discorsi sulla militarizzazione del quartiere.

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Un momento della parata.

La manifestazione, comunque, arriva in piazza Vittorio—luogo centralissimo della città. Il carro si ferma, due amiche si avventurano in alcuni locali della zona in cerca di qualcosa da bere, ed escono dopo pochi minuti con tre medie in bicchieri di plastica: è vero che il locale che gliele ha vendute rischia una sanzione, ma d'altronde è molto difficile per i gestori riuscire ad assicurarsi che ogni cliente non si allontani con il bicchiere dal perimetro in cui bere è permesso.

Insomma: forse per questo, forse per l'atmosfera da riot creata dalla parata, alla fine della serata mi rendo conto di quanto procurarsi da bere in zona anche dopo le 20 sia più semplice di quanto pensassi.

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Un altro momento della parata.

La sera seguente metto in programma di andare nel luogo che più di tutti è stato additato come l'effettiva ragione dell'emissione dell'ordinanza—sia a causa dell'esasperazione dei residenti per il casino a tutte le ore, sia per il tasso alcolemico generalmente presente nel sangue dei suoi frequentatori: San Salvario.

San Salvario è un porto di mare, e un luogo in cui l'unica cosa che tiene insieme la massa eterogenea dei suoi frequentatori è il voler fare festa fino a tardi.

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È mezzanotte, e girando velocemente per la zona non trovo nessun minimarket aperto. Mi dirigo verso la piazza principale, e appena vedo una ragazza con una birra in vetro le chiedo dove l'abbia presa. Mi risponde che le è stata venduta qualche minuto prima in un esercizio che mi indica e che raggiungo subito.

Probabilmente intimidito dalla Nikon del fotografo che mi segue, al momento del pagamento il venditore mi ridà indietro i soldi. La sensazione è quella di esser stato scambiato per un poliziotto in borghese, sebbene la mia faccia da ragazzino e la camicia hawaiana del mio amico dicano tutto il contrario.

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Una piazza Saluzzo quasi deserta.

Torniamo in piazza Saluzzo, uno degli epicentri della vita quartiere, ma pur essendo sabato sera la troviamo praticamente semivuota. La quasi totalità delle persone con cui parlo mi ricorda che l'anno scorso, nello stesso periodo, il numero di persone presenti nella piazza era talmente alto da rendere difficile attraversarla persino a piedi, mentre in queste settimane il quartiere sembra essersi svuotato.

Sulle ragioni del perché ci sia così tanta gente in meno i pareri si dividono: alcuni danno la colpa alla sessione esami o ai numerosi temporali che hanno colpito Torino in quei giorni, altri all'ordinanza—la quale avrebbe fatto desistere le persone dall'uscire la sera. Fermo un ragazzo che sta bevendo gin lemon in una bottiglia di plastica: dice che in tre anni di frequentazione del quartiere non ha mai visto così poca gente in giro, e mi conferma che la sera precedente—venerdì—la situazione non era affatto diversa.

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Una ragazza con la sua birra, fuori dalle zone dell'ordinanza.

Ma quanto è cambiato il modo di vivere la notte a Torino nelle settimane post-ordinanza? Molti lamentano una progressiva diminuzione della gente in strada di sera, altri invece sostengono che il tutto si stia semplicemente spostando altrove, magari in zone dove il provvedimento non si applica. Un'amica ad esempio mi fa notare che di sera il Quadrilatero—fino a ieri luogo con una frequentazione più "adulta"—si sta sempre più riempendo di studenti.

Riguardo alla capacità di trovare da bere a basso prezzo, tuttavia, la situazione non mi sembra cambiata molto: pur essendo vietato, ci sono esercizi che continuano a vendere. Però sì: c'è il piccolo particolare dell'irregolarità, e di una vaga percezione di paranoia da controlli.

Uno degli avvisi previsti dall'ordinanza fuori da un locale.

Parlando con almeno una cinquantina di persone tra baristi, gestori dei locali, ragazzi e vigili, sono però certo di una cosa: ognuno ha interpretato a modo suo l'effettiva applicazione dell'ordinanza, e la confusione che regna intorno alle regole da rispettare è enorme.

Complice questa incertezza legislativa decido di passare il dopo cena della domenica facendo un ultimo giro nei bar a consumare spritz in bicchieri di plastica. Poi mi allontano e mi siedo sulla riva del Po a guardare i Murazzi vuoti, riflettendo sul fatto che se quella quindicina di locali fossero ancora aperti molto probabilmente non ci sarebbe stato il bisogno di scrivere questo articolo.