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inchiesta

Amore per Putin e consolati separatisti: la destra italiana che vuol portare le imprese nel Donbass

In pieno centro a Torino esiste una "sede di rappresentanza della Repubblica popolare di Donetsk", non riconosciuta a livello internazionale e vicina a Mosca: siamo andati a vedere chi c'è e a cosa serve.
Foto di Antonio Michele Storto/VICE News

Lo scorso 31 dicembre, l'associazione culturale Lombardia-Russia ha pubblicato un appello sul suo sito web, invitando gli imprenditori italiani a investire capitali nelle autoproclamate repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk (rispettivamente DNR ed LNR), ossia nel lembo orientale dell'Ucraina che da tre anni il governo di Kiev cerca di strappare al controllo delle milizie separatiste filorusse.

Stando al contenuto dell'annuncio—nonostante continui a trascinarsi una lunga guerra di posizione, a dispetto della tregua concordata a Minsk—l'economia locale sarebbe ormai pronta a ripartire di slancio, con condizioni decisamente favorevoli e rischi tutto sommato ridotti per gli investimenti dall'estero.

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"Le Repubbliche—si legge—sono pronte ad accogliere imprenditori e investitori stranieri. Ottocento milioni di euro è il bilancio riferito all'anno 2015 dalla DNR ed è in continua crescita. Lo stipendio medio di un operaio specializzato è di circa 100 euro al mese + un 31 per cento a carico dell'imprenditore (…). Non sono previste tasse sul fatturato ma bensì sui ricavi. Per gli investitori stranieri che decidono di insediare il loro business nella DNR queste tasse sono, ad oggi, allo 0 per cento (zero)."

Economia di secessione

Iniziata nell'aprile del 2014, la guerra del Donbass ha prodotto ad oggi oltre 10mila vittime, un milione e mezzo di sfollati interni e l'abbattimento di un volo di linea, il Malaysian Airlines 17, che nel luglio 2014 venne colpito da un missile terra-aria sparato—secondo le risultanze preliminari di un'inchiesta internazionale—da un sistema russo posizionato in territorio separatista.

Stando ai numerosi rapporti pubblicati da organizzazioni come Amnesty International e Human Rights Watch, inoltre, gravi violazioni dei diritti umani sarebbero state consumate da entrambe le parti e per l'intera durata del conflitto.

Per capire meglio per quale ragione un imprenditore dovrebbe investire in un contesto del genere, VICE News ha contattato il numero di telefono riportato in calce all'annuncio. A risponderci è stato Luca Bertoni, comunicatore aziendale e segretario dell'associazione, che lo scorso novembre con gli omologhi di "Veneto-Russia" ha accompagnato nel Donbass una delegazione di imprenditori, per mostrar loro le opportunità offerte dalla zona.

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"Con noi—ha spiegato Bertoni a VICE News—c'erano rappresentanti del settore edile, agrario, produttori di mobili d'alto lusso. Tutti erano positivamente impressionati da quanto hanno potuto vedere. Nelle città di Donetsk e Lugansk la guerra ormai non si percepisce quasi più: alberghi, bar, ristoranti e centri commerciali sono aperti, e la linea del fronte è assestata a distanza di sicurezza dalle zone centrali."

"C'è, piuttosto, una grossa voglia di ripartire, le 'Repubbliche' sentono di avere finalmente un governo stabilizzato, hanno buone prospettive e vogliono rimettere in moto l'economia, perché in questo modo faranno del bene alla loro gente."

Secondo Bertoni, l'appello avrebbe già suscitato l'interesse di più d'un imprenditore. Ma la situazione sul campo, in Donbass, potrebbe non essere così semplice.

Un video dell'agenzia 'separatista' DONi

Da mesi, Mosca e Kiev si rimpallano accuse secondo le quali ora il governo russo, ora quello ucraino si preparerebbero a una violenta offensiva, e dunque a una definitiva cessazione della già instabile "tregua" concordata a Minsk.

Nell'ultima settimana, in effetti, gli osservatori internazionali che monitorano la linea del fronte per conto dell'Osce hanno riferito di un'escalation militare nell'area compresa tra Avdiivka, Yasynuvata e l'aeroporto di Donetsk, a una manciata di chilometri dal centro cittadino, con oltre 2.300 colpi d'artiglieria sparati nella sola giornata del 29 gennaio: delle 34 vittime accertate nel corso della settimana, almeno sei sarebbero civili; mentre tra i 66 feriti figura anche il fotoreporter inglese Chris Nunn, colpito da una scheggia di granata mentre era al lavoro in una casa sulla linea del fronte di Avdiivka.

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Secondo fonti ucraine, la cittadina—che dista appena 20 km in linea d'aria da Dontesk—starebbe ormai per essere evacuata, ragion per cui il 31 gennaio il presidente ucraino Petro Poroshenko ha interrotto la sua visita ufficiale in Germania: il giorno precedente, il blackout elettrico dovuto ai bombardamenti pare abbia intrappolato per diverse ore 200 minatori nelle gallerie della miniera Zasiadko, facendo temere per le loro vite.

Leggi anche: Come Matteo Salvini è diventato la più grande 'groupie' di Vladimir Putin in Italia

Nel panorama politico italiano, "Lombardia Russia" viene spesso accostata al mondo leghista. A partire dal 2014, in effetti, il fondatore e presidente Gianluca Savoini, già giornalista per La Padania, è stato una presenza costante nei sempre più frequenti viaggi a Mosca di Matteo Salvini—il quale a sua volta ha spesso ribadito le sue simpatie per la causa dei separatisti.

"È vero," ammette Bertoni a VICE News, "abbiamo organizzato dei viaggi con Salvini, e molte delle persone che si rivolgono a noi sono militanti o simpatizzanti leghisti. Questo, per inciso, non può che farci piacere, fermo restando che la nostra è un'associazione apartitica e il nostro riferimento resta semmai Vladimir Putin."

A tal proposito, quando gli chiediamo se invitare imprenditori italiani a trasferirsi all'estero non sia incoerente per chi ha spesso paventato la reintroduzione dei dazi doganali, Bertoni ribatte che "in questo caso non si parla affatto di delocalizzare." Semmai, puntualizza, "stiamo invitando queste persone ad aprire nuovi business che aiutino a ripartire l'economia del Donbass. Del resto, molti dei beni prodotti dagli imprenditori a noi vicini—come ad esempio i mobili di lusso—difficilmente avrebbero mercato in una zona in cui lo stipendio medio si aggira sui cento dollari al mese."

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Il "Consolato separatista" a Torino

Salvini peraltro non è l'unico esponente della destra italiana a parteggiare per i filorussi. Di recente, un gruppo di deputati PD ha presentato un'interrogazione parlamentare per denunciare l'esistenza, in pieno centro a Torino, di una "Sede di rappresentanza della Repubblica popolare di Donetsk".

Ad aprirla, poco più d'un mese fa, è stato Maurizio Marrone, consigliere regionale e capogruppo in Comune per Fratelli d'Italia, che lo scorso settembre—dopo aver fatto approvare in consiglio regionale un ordine del giorno per il ritiro delle sanzioni economiche verso la Russia—è stato invitato dai separatisti a visitare le "Repubbliche popolari", in qualità di osservatore internazionale.

La targa all'ingresso del "Consolato" [foto di Antonio Michele Storto/VICE News].

Marrone è un personaggio molto discusso a Torino, per via della sua netta opposizione alle politiche cittadine rivolte a rom e rifugiati. A dicembre, prima di Natale, ha accettato di riceverci nella "sede diplomatica" inaugurata un paio di giorni prima alla presenza di esponenti di Lega, FdI e Forza Italia.

L'ufficio è ospitato in uno stanzino nella sede della Fondazione Magellano, attiva dal 2015 e molto frequentata dalle varie anime della destra cittadina. Dietro la scrivania troneggiano, fianco a fianco, i ritratti di Vladimir Putin e Alexander Zakharchenko—dal 2014 presidente della DNR.

Allineate sotto le foto, la bandiera di NovoRossiya, quella italiana e quella della "Repubblica di Donetsk"; mentre a decorazione dei ripiani spiccano una medaglia conferita "per l'amicizia dimostrata al popolo del Donbass" e un'effige ortodossa raffigurante San Giorgio mentre uccide il drago.

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Maurizio Marrone al lavoro nel "Consolato" della DNR [foto di Antonio Michele Storto/VICE News].

Ad attenderci, insieme a Marrone, troviamo Sergej, un trentenne originario di Lugansk che vive in Italia da oltre cinque anni: come molti concittadini parteggia per i filorussi, e si è offerto di collaborare all'iniziativa fin dalla sera dell'inaugurazione.

"Soltanto in questa prima settimana—ha spiegato Marrone a VICE News—siamo stati contattati da una ventina di cittadini originari del Donbass: il più delle volte chiedono come fare ad ottenere certificati o documenti d'identità dal nuovo governo della DNR. In realtà, però, dal momento che rappresentiamo uno stato internazionalmente non riconosciuto, la qualifica di 'Consolato' ci identifica più che altro in via simbolica. Dal punto di vista giuridico, la nostra è una semplice associazione tra privati."

Secondo Marrone, gli obiettivi prioritari del Centro sono di ordine informativo e diplomatico: "Nel senso—chiarisce l'esponente FdI—che da un lato siamo impegnati nella divulgazione di notizie su una guerra troppo presto dimenticata dai media, i quali sembra ignorino il fatto che i cittadini del Donbass si stanno semplicemente difendendo da quello che a tutti gli effetti è stato un tentativo di golpe da parte dell'Unione Europea; e parallelamente cerchiamo di mettere in campo tutta una serie di iniziative per il riconoscimento internazionale della DNR, attraverso la partnership con realtà del mondo politico, culturale ed economico."

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La lettera d'incarico con cui il "ministero degli Esteri" separatista riconosce ufficialmente il "Consolato" [foto di Antonio Michele Storto/VICE News].

Marrone ci illustra come, a livello istituzionale, i referenti del "Consolato" all'interno della DNR siano il "ministro degli Esteri" Natalya Nikonorova—firmataria della lettera d'incarico per l'avvio dell'iniziativa—e Janus Putkonen per quanto riguarda le attività d'informazione.

Putkonen è un cittadino finlandese che nel luglio del 2015 si è trasferito a Donetsk per dirigerne la sala stampa, fondando parallelamente l'agenzia "nazionale" DONi Press—una sorta di 'Ansa separatista' tradotta in ben 11 lingue, italiano incluso.

Il suo nome ricorre spesso nelle 10mila email hackerate la scorsa estate dal computer di Tatiana Egorova, analista del "ministero dell'Informazione" nella DNR. Come responsabile del press center, spettava a Putkonen inviare alla Ergorova valutazioni circa i reporter internazionali—come il giornalista ed esperto d'affari russi Danilo Elia ha ricordato sul portale di geopolitica Eastonline.

Il finlandese aveva compilato una serie di elenchi Excel con i nomi di centinaia di cronisti, contrassegnati da diciture come "russofobo", "al servizio della Nato", "buon amico" o "neutrale" (categoria, quest'ultima, sotto la quale erano classificati tutti i giornalisti italiani elencati, ad eccezione di Maurizio Vezzosi de l'Antidiplomatico, indicato tra gli "amici").

In futuro, lo stesso Marrone non esclude di poter fare da tramite per i reporter italiani che vogliano accreditarsi in territorio separatista, "anche se—ha assicurato a VICE News—non spetterà certo a noi a fare valutazioni come quelle di Putkonen; le quali peraltro mi sembrano del tutto normali in una situazione di aperto conflitto."

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L'effige ortodossa di San Giorgio e il Drago. A destra, una medaglia conferita a Marrone 'per l'amicizia dimostrata al popolo del Donbass' [foto di Antonio Michele Storto/VICE News].

Un altro settore in cui il "Consolato" si sta dando parecchio da fare riguarda, ancora una volta, le pubbliche relazioni con l'imprenditoria italiana. Al pari dei fondatori di "Lombardia-Russia", anch'essi presenti la sera dell'inaugurazione, il capogruppo di Fratelli d'Italia spiega d'essere già al lavoro "per agevolare la nascita di partnership commerciali con realtà che siano interessate a investire in Donbass."

Marrone torna a ribadire come, dai principali centri urbani e in particolar modo da quello di Donetsk, la guerra vada progressivamente sparendo. "I media—ha spiegato a VICE News—amano definire Donetsk come una città fantasma: in realtà, pur con il coprifuoco alle 23, vi ho trovato una movida che è perfino più viva di quella torinese. I problemi da affrontare, semmai, saranno altri: la burocrazia, l'assenza di un vero sistema creditizio, le politiche doganali."

Quando gli chiediamo quale sarebbe la sua posizione, nella remota ipotesi in cui l'Italia—come paese comunitario e sotto l'ombrello Atlantico—dovesse trovarsi sul fronte opposto ai filorussi, Marrone risponde "che il nostro compito è proprio evitare che qualcosa di simile possa accadere: e lo stesso vale per quanto riguarda l'invio di militari italiani in Lettonia. Una cosa è certa: qualora decidesse di schierarsi contro le Repubbliche popolari, noi non seguiremo il nostro paese."

Le immagini di Alexandar Zakharchenko e Vladimir Putin, presidenti rispettivamente della DNR e della Federazione Russa. Sopra di loro, l'aquila bicipite, uno dei simboli dell'iconografia imperiale russa [foto di Antonio Michele Storto/VICE News].

"Farmaci contraffatti e cibo scadente"

Volendo verificare meglio alcune delle informazioni fin qui emerse, abbiamo quindi cercato di metterci in contatto con dei cittadini che vivessero nelle zone controllate dai separatisti, ma che non fossero troppo connotati sotto il profilo politico.

Dopo una lunga serie di dinieghi—spesso motivati con la paura di ritorsioni—siamo riusciti a contattare una persona che ha da poco lasciato Lugansk per trasferirsi in un paese del Nord Europa, e che ha accettato di lasciarsi intervistare solo a condizione che non divulgassimo alcuna informazione che potesse renderla riconoscibile, inclusi età, genere sessuale e l'attuale paese di residenza.

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"La verità—ha spiegato a VICE News—è che la guerra la sentiamo eccome; e non solo di notte, quando gli osservatori abbandonano le posizioni e i bombardamenti riprendono fino all'alba. La guerra non è soltanto proiettili e colpi di mortaio: è la diffidenza generalizzata che ti inibisce a parlare liberamente perfino in casa. O le continue privazioni cui siamo sottoposti."

- VN: Cosa intendi con "paura" e "privazioni"?

"Io ho lasciato Lugansk dopo aver assistito per mesi una persona molto cara che aveva una malattia terminale. Aveva bisogno di farmaci e morfina, che con l'embargo sono diventate praticamente introvabili. Le uniche medicine disponibili in zona sono contrabbandate dall'Ucraina o arrivano dalla Russia per il mercato nero locale: ma queste ultime sono quasi sempre contraffatte, e sono i medici stessi a sconsigliarle, perché quando non sono placebo, possono essere perfino dannose."

"Così, per poter curare questa persona, almeno una volta al mese i suoi fratelli erano costretti a percorrere 500 km per raggiungere l'Ucraina attraverso la Russia: perché nell'unico passaggio diretto, il checkpoint di Stanitsa Luganskaya, il ponte è stato danneggiato dai bombardamenti e non è più possibile attraversarlo in macchina. Ma la macchina dovevano portarla per forza, perché le scorte di morfina erano troppo ingombranti per nascondersele addosso; e se i filorussi le trovano, possono accusarti di contrabbando di narcotici e a quel punto non gli importa se hai la ricetta di un medico di Lugansk, sono capaci di fucilarti. Sparisci e non torni più a casa."

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"Noi siamo stati messi in ginocchio dalle sanzioni economiche, ma non è che i filorussi ci rendano la vita molto facile. Sembra d'essere tornati all'epoca di Stalin, quando perfino dentro casa i nostri nonni avevano paura di dire ciò che pensavano. Se dopo questa intervista scoprissero la mia identità, potrebbero prendersela con i miei familiari, li accuserebbero di essere spie e traditori. Sarebbe la fine per loro."

- Credi che l'arrivo di imprenditori stranieri potrebbe migliorare la situazione?

"Probabilmente si, almeno sul piano economico, ma non vedo come potrebbero fare ad avviare un'azienda in quelle condizioni. La nostra economia è al collasso. Eravamo una delle regioni più industrializzate dell'intera Ucraina, ora non c'è rimasto più nulla. E non so fino a che punto i russi ci stiano aiutando."

"A Lugansk c'erano fabbriche che davano lavoro a centinaia di persone e che hanno dovuto chiudere durante i combattimenti: nel frattempo, molti macchinari sono spariti e l'intelligence ucraina afferma che siano stati i russi a portarseli via, con l'aiuto dei separatisti. Io ormai non so più a chi credere, ma di fatto da tre anni sono loro a controllare questa zona: chi altri potrebbe essere stato? Lì non si muove un dito senza la loro benedizione."

- Ci dicono però che nelle città si sta tornando a vivere, che negozi e ristoranti stanno riaprendo…

"Questo magari sarà vero per Donetsk. Donetsk è sempre stata una città più viva e cosmopolita rispetto a Lugansk—inoltre è in una posizione privilegiata, perché consente di contrabbandare più facilmente generi di prima necessità dall'Ucraina. Ma a Lugansk ormai manca perfino il cibo: come potrebbero essere aperti i ristoranti? Gli unici alimenti arrivano dalla Russia, e sono di qualità così scadente che molti li chiamano 'mangime per bestiame'. Ci sono famiglie che per giorni vanno avanti col pane azzimo che fanno in casa. Io non metto in dubbio che questi italiani vogliano aiutarci. Ma che vengano a produrre cibo e medicinali, perché è di questo che abbiamo bisogno."


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