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Ho passato 24 ore in una biblioteca universitaria di Milano

Siamo stati nella biblioteca del Politecnico per capire come, tra social e attacchi di sonno, gli studenti affrontino la sessione d'esame.
Sonia Garcia
Milan, IT
Tutte le foto di Jacopo Cavagnoli.

Sinceramente non ho mai capito—leggi: ho sempre invidiato—chi è in grado di autogestirsi l'attività dello studio universitario comodamente da casa. Non mi capacito di come, oggi, una persona possa mantenersi produttiva in un ambiente così ricco di distrazioni e, soprattutto, così intimo e consono al sacro riposo come la propria abitazione.

Da che ho memoria, io passo le mie giornate di studentessa in questo luogo di concentrazione, dove il peggio che ti può succedere è scambiare sconosciuti per ex compagni di corso o fare accidentalmente piedino alla persona che hai di fronte, senza però mai vederla in faccia perché come precauzione a possibili flirt involontari questo è quello che trovi davanti a te:

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poli milano biblioteca tavoli

I pannelli divisori che separano le varie postazioni di studio nella biblioteca del Politecnico.

La biblioteca centrale di architettura del Politecnico di Milano, campus Leonardo, è la più grande e fornita in materia di architettura/urbanistica. È anche la più frequentata tra i miei colleghi studenti del Politecnico—aspiranti ingegneri, designer, architetti e urbanisti—per i suoi orari intensivi (8.00 - 00.00) e perché l'edificio in cui si trova, da due anni, ha anche spazi che rimangono aperti ininterrottamente giorno e notte. Chi è disperato, perciò, può stare fino a mezzanotte in biblioteca per poi trasferirsi nel patio semiaperto o in alcune aule.

Sono al Politecnico da troppo abbastanza tempo per considerare la conduzione della propria esistenza 24/7 in biblioteca una normalità, più che una anormalità. Non sto certo dicendo sia sano, ma che fa solo parte di un quotidiano che vivo già. Così, quando da VICE è partita l'idea di fare un articolo in cui passare 24 ore in biblioteca per raccontare le dinamiche di quel microcosmo, ho prima di tutto pensato che forse qualcosa di strano nella mia vita in effetti ci sia, e poi ho accettato con entusiasmo. Qualche giorno fa, in compagnia del mio amico Jacopo—che oltre a essere anche lui munito di badge, fa foto—ci siamo trovati nella Biblioteca del Poli con l'idea di rimanerci fino al giorno dopo.

aula studio politecnico Milano

L'aula studio della biblioteca centrale di architettura del Politecnico di Milano.

Non è prestissimo quando arriviamo—le 10.30—ma è comunque ancora agosto, e la biblioteca non è piena. Solitamente bisogna fare almeno tre giri per piano prima di trovare un posto, ancora peggio se se ne cerca uno vicino a una presa elettrica—curiosa circostanza, quella dell'assenza di prese in ogni postazione, visto che frequento un'università in cui progettare al computer è la base. Stavolta invece ci accomodiamo subito nella parte ribassata della sala centrale, tra pc, qualche MacBook (ma pochi), bottigliette di tè verde e tanta rassegnazione.

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Che io sappia non ci sono particolari regole in questa biblioteca, se non appunto quella del silenzio, e del non occupare posti inutilizzati per più di 30 minuti, pena la rimozione degli oggetti lasciati per occuparli. Ogni volta che leggo il cartello che lo intima, ricordo con affetto la volta in cui anni fa tenni il posto a un'amica per mezza giornata senza che lei si palesasse mai.

La giornata di studio inizia, come sempre, a rilento: attacchi violentissimi di sonno mi impediscono di rimanere concentrata per più di 15 minuti, perciò mi fermo e mi guardo attorno. L'atmosfera è la solita, penso, di qualsiasi altra biblioteca del pianeta in un periodo drammatico come quello degli esami di settembre. È molto facile fantasticare sulla vita di chi ti circonda, in base a come e cosa studia: c'è chi prende appunti nervosamente al computer o su quaderni, chi disegna su Autocad/Illustrator/Photoshop, chi svolge problemi su semplici fogli bianchi senza alcun supporto tecnologico, chi li svolge di fronte un computer, chi esagera e li svolge di fronte a un computer e a un tablet.

Soprattutto, ci sono due scuole di concentrazione: chi tiene il telefono sul tavolo girato con lo schermo in basso, e chi con lo schermo in alto, sbirciando per cinque o sei volte prima di cedere all'impulso di rispondere. E ripetere tutto dieci minuti dopo.

biblioteca politecnico milano aula studio

Alle 13 controllo Facebook per la 35esima volta dal mio arrivo (le ho contate), e dopo aver notato l'ora mi avvio soddisfatta verso il primo traguardo della 24 ore in biblioteca: il pranzo. Scopro con piacere che né io né Jacopo dobbiamo imbottigliarci in luoghi affollati per l'acquisto di cibo, perché ce lo siamo entrambi portati da casa. Io ho una pasta aglio olio e peperoncino, lui dei noodles di carne pronti all'uso. Ci avviamo verso i microonde, al piano di sopra (fuori dalla biblioteca, ma sempre dentro l'università), dove è solito avvenire il rito del riscaldamento.

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Dalla sporcizia dei microonde evinciamo non vengano puliti da un arco di tempo che va dai due ai sei mesi. Una volta finito ci avviamo verso l'esterno, decisamente affamati e anche un po' disgustati. Scendiamo nel patio, luogo dove sappiamo già trascorreremo la nostra nottata più tardi—con un giorno di anticipo sul rovesciamento del clima che ha segnato la fine dell'estate milanese—e osserviamo come, per ovvi motivi, si respiri un'aria totalmente diversa da quella della biblioteca.

patio biblioteca politecnico milano

Il patio della biblioteca.

La gente perlopiù è divisa per gruppi, salvo qualche eccezione solitaria, e sono tutti intenti a parlottare tra loro più o meno concitatamente. È un ambiente strano, il patio: un non-luogo semiaperto dove puoi studiare, ascoltare musica senza cuffie, guardare partite, dormire, fare modellini o organizzare eventi. Jacopo e io riflettiamo su come ci sia del grottesco, in uno spazio così ambiguo, e concludiamo che sicuramente è anche il miglior luogo per far finta di studiare—specie quando si è in gruppo.

Allarmata dall'orario (quasi le 15), perché ah, come passa il tempo quando ci si diverte, mi rendo conto che è ora di tornare su. Una volta dentro mi catapulto su Illustrator a proseguire il mio paper, perdendo subito la cognizione dello spazio-tempo.

Riemergo verso le 17 circa, quando vengo distratta dalla ragazza al mio fianco che, da immobile che era, afferra con impulso animalesco la confezione dei taralli che si è mangiata molto tempo prima e ne recupera le briciole. Un grande classico.

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aula studio politecnico milano

Passa Michele, storico bibliotecario, nonché unico "amico" fattomi là dentro in quattro anni buoni che ci studio abitualmente. Mi saluta tutto contento, e aggiunge, "C'è il pienone oggi". In effetti nel pomeriggio è arrivata molta più gente, e il tic-tic del tornello d'ingresso e uscita si sente più spesso, insieme alle chiacchiere che vanno progressivamente a spegnersi di chi entra in coppia. Alle 20 circa l'allarme di una porta aperta per sbaglio da qualche sfortunato ci frastorna i timpani per una trentina di secondi, e lì capiamo che è ora di staccare.

Per cena Jacopo mi sorprende con altri noodles (al pesce) da scaldare nel microonde, ma per variare un po' decidiamo comunque di fare un salto al Carrefour lì vicino, anche lui come noi aperto 24/7.

Carrefour supermercato politecnico milano

Il Carrefour vicino alla biblioteca del Politecnico.

Compriamo una birra e delle focaccine alle olive, con cui accompagnare i già ottimi noodles di pesce. Ci ripiazziamo nello stesso loculo del pranzo, e notiamo che la quantità di gente nel patio è leggermente, ma solo leggermente, diminuita.

All'interno, d'altro canto, gli studenti sono proprio decimati. Non c'è più nessuna delle persone che avevo vicino di mattina e pomeriggio, e una volta rientrata faccio una fatica boia a riconcentrarmi. Forse è la sensazione di stare facendo più del dovuto (che dovrei vergognarmi di provare, vista la quantità di esami che mi aspettano e il tempo che ho dedicato allo studio in questi mesi). Nella mezz'ora successiva mi sorprendo almeno tre volte ad aprire furtivamente i social, scrollare su e giù come una ladra e chiudere tutto dopo pochi minuti. Sconfitta, chiedo a Jacopo di fare un giro fuori. Ci concediamo un prezioso momento Laioung, seguito da una meta-foto nel corridoio, e siamo nuovamente competitivi come fosse mattina.

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La competitività dura circa tre quarti d'ora. Sono le 22.45 quando avviene la catastrofe che mi comprometterà la salute mentale per tutta l'ora successiva: Illustrator crasha, io non avevo salvato da prima di cena, perdo il lavoro di cinque ore.

Passo una quantità di tempo indefinita in stato catatonico a, nell'ordine: tentare invano di recuperare il file, pensare di mollare l'università, ricacciare indietro le lacrime. Vengo risvegliata solo dal tuonante "Ragazzi, dieci minuti e si chiude" del buon Michele. Ridacchia mentre mi vede passare, divertito dal fatto che sia sempre tra le ultime persone ad abbandonare quel posto, ignaro della mia precaria condizione psicofisica. "Ho perso tutto il lavoro di stasera… sto per compiere un gesto estremo." "Ok, però vai a compierlo fuori."

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Riesco miracolosamente a tornare una persona ragionevole non appena troviamo posto nel patio. Jacopo prova a consolarmi mettendo un po' di musica, che fino ad allora avevo sì ascoltato, ma in cuffia. Per quella mezz'ora non combino un bel nulla, ma perlomeno mi faccio tornare la voglia di vivere. È solo mezzanotte e mezza.

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Attorno a noi, come osservato nel pomeriggio, c'è chi fuma, beve, guarda partite e film in streaming, gioca a scacchi. Entro in un tunnel spazio-temporale di lavoro ininterrotto e anche un po' furibondo, che mi trasporta direttamente fino alle due, orario in cui gran parte dei presenti inizia ad avviarsi verso l'uscita. Vengo colta da fame e sonno contemporaneamente. Mi avvio verso l'unica macchinetta presente nel patio, che come ricompensa per l'invidiabile andamento della mia giornata/nottata di studio in università, reca la scritta:

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Torno al mio posto e vedo Jacopo sdraiato su un braccio a guardarsi non so che serie sul computer: realizzo che lo sta facendo da almeno un'ora. Rinvigorita dal caffè torno alla mia ingrata missione, decisa non solo a recuperare, ma pure ad andare avanti per quanto possa reggere. Alle 3.30 siamo rimasti in otto anime, tra cui i giocatori di scacchi, che a questo punto decidiamo di immortalare.

studenti scacchi biblioteca

In circostanze normali chiederei loro perché rimanere fino alle 3 e passa di notte in università col solo fine di giocare a scacchi tra mosche e zanzare, ma in questo momento ho la testa bella fumante ed è già tanto se riesco a rimanere concentrata sulle mie cose, figuriamoci su quelle degli altri. Rimarrò col dubbio.

Intorno alle 3.45 la nostra attenzione viene catturata da un ragazzo che, imperturbabile, arriva da chissà dove, si piazza pochi tavoli più in là del nostro e inizia a studiare concentratissimo. La situazione inizia a farsi critica attorno alle 4.30, quando sembra che due tipi vogliano fare sesso su un tavolo, e invece stavano solo scherzando. Intorno alle 5:00 sono andati via tutti tranne noi, un ragazzo che fa un modellino in solitaria ascoltando musica dal telefono, e altri tre ragazzi nella sala chiusa, di fianco al patio. Uno di questi dorme chino sul tavolo.

Il patio alle 5 del mattino.

Queste ultime ore notturne di lavoro marziale e silenzioso sono le più proficue, per me, forse addirittura di tutta la giornata. Lo attribuisco al senso di aver toccato il fondo, alla famosa "forza della disperazione" e alla consapevolezza che peggio di così non può davvero andare.

Alle 6:00 siamo rimasti noi, e due ragazzi addormentati nella sala chiusa: quello di prima più un altro. A patio vuoto mi rendo improvvisamente conto dello schifo lasciato per terra e sui tavoli dai nostri predecessori, e della spettralità assunta a quell'ora, con fuori il suono degli uccellini e dei primi tram che cominciano a passare. Arriva un addetto alle pulizie e inizia a raccogliere uno a uno i rifiuti, mentre noi ci avviamo verso la scalinata diretti a casa.

Ok, non siamo rimasti esattamente 24 ore in questo magnifico posto, ma visto che è molto probabile ci torni domani, e tutti i giorni della settimana fino a metà settembre, non mi pare di fare un torto a nessuno. Ringrazio Jacopo per avermi fatto da assistente sociale e lo invito a unirsi a me di nuovo, nei prossimi giorni. Senza l'incombenza di fare foto e/o "finire in articoli strani". So già che non succederà, ma è stato bello lo stesso.

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