Revival di Eminem è una grande delusione
Fotografia di Kevin Mazur/WireImage via Getty Images

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Revival di Eminem è una grande delusione

Ripercorriamo la carriera e il ruolo di Eminem nel rap e nel pop americano per renderci conto di quanto il suo nuovo album sia stanco e prevedibile, se non per qualche piccolo momento di lucidità.
Elia Alovisi
traduzione di Elia Alovisi
IT

Nell'aprile del 1999 due teenager entrarono in una High School di Columbine, in Colorado, e uccisero dodici persone. Immediatamente i media cominciarono a parlare, preoccupati, delle influenze violente che avrebbero potuto spingerli a compiere un gesto simile, e i colpevoli vennero identificati nei videogiochi e nella musica. A trovarsi nel mirino dei politici, dei genitori preoccupati e dei contestatori furono principalmente due persone: Marilyn Manson ed Eminem, un rapper bianco di Detroit il cui album di debutto per una major come la Interscope era appena diventato un enorme successo.

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Su quel primo album, Em aveva rappato della first family dell'epoca: "Hillary Clinton ha provato a darmi uno schiaffo e a chiamarmi pervertito"; "Se dicessi di non essermi mai drogato starei mentendo e sarei fottuto più di quanto viene fottuto il presidente". Nel video del suo primo singolo, "My Name Is", si era addirittura vestito da Bill Clinton e aveva rappato da un podio il verso "Basta che cammini". Il video continuava con Clinton/Em che si allontanava con i pantaloni alle caviglie mentre una ragazza vestita da Monica Lewinsky strisciava fuori da sotto il podio pulendosi la bocca. Quando uscì il suo secondo album, The Marshall Mathers LP, da Columbine era passato poco più di un anno. Em decise di rappare del massacro, e permise alla sua etichetta di censurarlo:

“Prendo sette ragazzi della Columbine, li metto in riga
Ci metto un AK-47, un revolver, una calibro nove,
Un Mac-11, e dovrebbe risolvere un mio problema,
Ed ecco un'intera scuola di bulli a cui sparo, tutti in una volta.

“Kids” e “Columbine” vennero rimosse anche dalle versioni esplicite dell'album. Nelle quattro barre successive, Em rappava sugli NSYNC e su "questa roba del Y2K". Ma in altri punti tornava sull'argomento Clinton. C'era "Remember Me?" ("Due ragazzi, sedici anni, M-16 e dieci caricatori a testa / E quelle merde si prendono sei ragazzi a testa / E nel suo discorso Bill Clinton dà la colpa a Em per la sporcizia su 'ste strade?") e c'era "Who Knew":

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“Dovrei mettere a posto i miei testi quando il presidente si fa succhiare il cazzo?
Fanculo, mi drogo, stupro troie, prendo per il culo i gay club, gli uomini che si truccano.
Fatevi una coscienza, svegliatevi, trovatevi un senso dello humour,
Smettetela di provare a censurare la musica—è tutto per far divertire i vostri figli.

In un certo senso, Bill Clinton era un complemento naturale per Eminem. Entrambi venivano dalle parti più umili della società bianca, ed entrambi erano considerati, in gran parte dagli americani bianchi, figure popolari con gli americani di colore. Ma quando Eminem venne fuori—furioso, esilarante e sostanzialmente apolitico—si trovò respinto da una classe politica che considerava piena di ipocriti e venduti, il cui principale esponente era proprio Clinton.

Gran parte del lavoro di Eminem nel primo periodo della sua carriera, segnato da un enorme successo e da controversie apparentemente infinite—specialmente in quel caotico e spesso brillante album che fu Marshall Mathers—parla dell'ipocrisia alla base del discorso pubblico americano, di una recita morale. Ed è per questo che riuscì a minimizzare le proteste da parte dei gruppi di sensibilizzazione per i diritti dei gay: gli attivisti stavano attaccando i suoi testi dopo averli presi alla lettera. Per Eminem, usare insulti discriminatori era un modo per affermarsi come provocatore; ricevere critiche era la pubblicità migliore in cui potesse sperare. Em è stato capace di diventare l'artista più famoso e significativo dell'inizio di questo millennio perché si era reso conto che il coscienzioso clima culturale della sua epoca era animato da opinioni e atteggiamenti che seguivano regole predeterminate—e aveva quindi deciso di infrangerle facendo l'esatto opposto di quello che suggerivano.

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Revival è il terzo di un trio di album pop dolorosamente coscienziosi, ognuno di essi considerabile come una lettera di scuse per varie malefatte—tra cui Eminem ha inserito, a volte, anche i suoi stessi album. A metà della sua carriera, Eminem si prese un pausa di cinque anni che oggi sappiamo essere stata marcata da una dipendenza da medicinali che l'ha quasi ucciso. Encore, l'ultimo album che pubblicò nel 2004 prima di fermarsi, era un bordello mal pensato che segnò la fine del suo dominio culturale. Quando riemerse nel 2009 con Relapse il suo era diventato un rap discorsivo su rapimenti immaginati e minuzie biografiche di serial killer del ventesimo secolo. C'era un punto in cui Em usava un finto accento arabo. Insomma, era sempre un bordello, ma c'erano parti da venti, sessanta secondo in cui il suo virtuosismo tecnico spingeva l'ascoltatore a restare incollato alle cuffie. E c'era "Deja Vu", una canzone che può tranquillamente rivaleggiare con le migliori del suo catalogo. È uno sguardo da vicino ai punti più bassi della sua dipendenza, raccontato con una cadenza ritmica da cui traspare una forte consapevolezza.

Meno di un anno dopo, Em aveva già ripudiato quanto di positivo aveva fatto. "Not Afraid", lo sdolcinato singolo di Recovery, annunciava una nuova direzione senza tanti fronzoli, quasi imbarazzante nella sua trasparenza. Em era sobrio, un padre di mezza età, conscio che i suoi momenti migliori a livello commerciale erano ormai passati. Fu una svolta che creò un enorme vuoto creativo nella sua musica. La sua carriera su major era stata definita dall'ormai consunto personaggio dello Slim Shady, caratterizzato da una violenza cartoonesca e da un gioioso relativismo morale. Persino Infinite, un album indipendente che aveva registrato nel 1996, era un esercizio in cui Em aveva indossato un costume: a un certo punto parlava del suo fratellino che stava provando a studiare matematica sembrando praticamente un Five Percenter [membro della Five-Percent Nation, un movimento fondato nel 1964 da un ex membro della Nation Of Islam di Malcolm X che predicava contro i privilegi dell'uomo bianco nella società contemporanea, ndt]. Su The Eminem Show, uscito nel 2003, e durante attimi di lucidità su Encore, Em aveva usato a suo vantaggio il modo in cui il governo lo aveva definito contro le identità che si era costruito. Ma la cosa aveva funzionato principalmente perché ai tempi era una figura famosissima.

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E così, Em cominciò a fare fatica. Recovery è pieno di canzoni fatte con lo stampino che sembrano il prodotto dei classici ingranaggi da major: ritornelli prevedibili, idee semplici, beat scintillanti pre-approvati dai pubblicitari consegnati via mail per comodità. Ci sono confessioni interessanti (tra cui un beef abortito con Lil Wayne), ma la sua scrittura e le sue abilità tecniche che un tempo sembravano camaleontiche si erano atrofizzate. Eminem rappava usando cadenze gridate e traballanti, e scriveva goffe parti biografiche piene di terribili giochi di parole e sciocchezze scatologiche. E vendette quasi dieci milioni di copie a livello mondiale.

Il Marshall Mathers LP 2, uscito nel 2013, contiene qualche momento ispirato, come il brano che lo apre, "Bad Guy" in cui Eminem riconosce astutamente il titolo dell'album come un triste tentativo di farsi pubblicità. Ma è anche appesantito da un approccio esplicito e ovvio, e dalla scelta di collaborare con un colosso del gaming come Call of Duty. Su "Rap God", Em ri-rappa il verso su Columbine che aveva usato sul Marshall Mathers originale, e afferma che probabilmente glielo hanno lasciato fare a causa della sua ormai ridotta levatura. Probabilmente vale la pena notare che la miglior canzone, e la meglio recepita, di questo periodo della sua carriera è una b-side su cui rappa su "I Got Cha Opin" dei Black Moon.

Revival si apre con un singolo spazioso e senza percussioni, "Walk On Water", su cui Beyoncé canta di cosa significa sentirsi umani e si sente Em che accartoccia fogli di bloc notes, frustrato. È un pezzo notevole, dato che Em parla dei suoi limiti creativi non come errori estemporanei ma come una costante fatica di Sisifo. Non è una canzone particolarmente efficace, ma è intrigante: sembra nuda, mentre il lavoro di riabilitazione di Recovery suonava calcolato.

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Sfortunatamente, l'album è vittima dei peggiori impulsi musicali di Eminem. In "Believe" usa diversi flow contemporanei; in un momento, all'inizio del pezzo, dice "Ora vivo in un quartiere residenziale, e ce l'ho fatta, e i miei vicini mi salutano", piegando la formula quel tanto che basta da renderla sua, infilandoci dentro anche la sua storica, convincente prospettiva su come la sua razza rinforzi l'opinione sulla sua immagine pubblica. Ma dopo quel punto si blocca e comincia a suonare rigido e maldestro. È una mezza traduzione di ciò che fanno i Migos, ed entra in crisi quando nella canzone successiva grida "L'ho fregata / Aprendo il preservativo in due", suonando a metà tra parodia e quella gif di Steve Buscemi.

Nei suoi momenti migliori, Eminem era un maestro della tecnica. Era verboso ma musicale, guizzava attorno allo spazio negativo di Dre, con la sua voce che si storceva, piegava e tornava su sé stessa come un elastico. Oggi sembra bloccato e monocorde, come se precipitasse meccanicamente sul beat, mettendosi quasi a gridare. Ci sono troppe punchline idiote perché sia possibile riassumerle tutte in questo articolo, ma probabilmente sarebbe anche inutile farlo dato che Em sembra godere della loro stupidità. Ma è impossibile non provare qualcosa quando dice roba tipo "Il tuo culo è pesante tipo diarrea" sul riff di "I Love Rock 'n Roll".

L'altro problema di Revival è che, a tratti, sembra essere stato assemblato cinicamente e testato per essere fruito su Spotify: uno sterile featuring di Ed Sheeran qua, Pink e Skylar Grey che sputano ritornelli pop centristi là, gli X Ambassadors che fanno una versione annacquata degli Imagine Dragons su una canzone di scuse per la ex-moglie che aveva immaginato già due volte di uccidere sui suoi album. Probabilmente è questa la più grande contraddizione dell'Eminem di oggi—il fatto che si senta ancora attratto dai fantasmi di TRL nonostante si senta al massimo delle sue potenzialità quando si ritira nel bozzolo dei crismi della vecchia scuola anni Novanta.

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L'unico momento in cui Revival risulta efficace è nel finale. "Castle" e "Arose" sono due canzoni gemelle, strutturate come una serie di lettere per sua figlia in cui parla dei problemi di soldi che aveva prima della sua nascita, dei suoi sforzi creativi durante la sua infanzia, e anche del letto di ospedale dove dieci anni fa aveva quasi perso la vita. I versi sono sentiti, e il ritornello di "Castle" esplicita uno dei più grandi temi della sua opera, cioè il fatto che la fama—l'arma che aveva usato con efficacia contro i Clinton—aveva isolato la sua famiglia e distrutto la maggior parte dei suoi rapporti più stretti.

Come tanti artisti, Eminem aveva trovato politicamente esaltante l'11 settembre e la guerra in Iraq. The Eminem Show, che uscì all'inizio dell'estate del 2002, abbandonava spesso l'artificio di The Marshall Mathers LP, mettendosi a bussare agli schermi televisivi dall'interno. "Square Dance", che apriva dicendo di "non essere amico di Bush", è una feroce strigliata dei guerrafondai e dell'amministrazione. Due anni dopo, durante la campagna per la sua ri-elezione, Eminem distillò le sue opinioni in un singolo caotico come "Mosh": "Basta versare sangue per il petrolio / Abbiamo le nostre battaglie da combattere sul nostro suolo".

Bush mise in chiaro le idee politiche di Eminem in un modo che i sordidi anni del boom di Clinton non erano riusciti a fare. Non era più il giullare del rap: era un Artista Serio, rispettato da Critici Seri e dagli opinionisti di Slate. I termini della battaglia si stavano definendo più chiaramente che mai.

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Fu in quel periodo post-Mathers LP che Eminem si trovò obbligato tirare fuori interamente il ruolo che la razza aveva giocato nella sua ascesa. Fin dall'inizio, era stato chiaro rispetto al suo posto nella cultura pop americana: includeva riferimenti al colore della sua pelle, ma principalmente affermava con un sorrisetto ragionamenti sulla libertà di parola. Su "White America" era stato estremamente diretto: "Guardate le mie vendite / Facciamo due conti—se fossi stato nero, ne avrei vendute la metà". Tratta quella canzone come se fosse una rivelazione a cui era arrivato dopo tre anni di fama, come se si fosse accorto dei motivi a livello di id che avevano causato così tanta isteria nei bianchi americani della classe media. Lo grida, gioiosamente, nel ritornello: "Potrei essere uno dei vostri figli!"

Un anno e mezzo dopo The Eminem Show, la rivista The Source ritrovò due video di freestyle di un giovane Eminem (quanto giovane non si sa esattamente): uno in cui parlava male delle donne di colore e l'altro in cui usava la n-word. Tra Em e la rivista c'era già un atteggiamento di scontro, ma le conseguenze di quei video andarono oltre il contesto in cui erano stati inseriti—cioè quello di un litigio tra un rapper e una pubblicazione sulla via del declino.

Quello scandalo produsse uno dei pezzi più sbalorditivi del catalogo di Eminem. "Yellow Brick Road", da Encore, si apre con una parte biografica in cui Eminem racconta i suoi anni da teenager, tra cui i suoi primi appuntamenti segreti con Kim e il suo incontro fortuito con Proof, il suo amico e collaboratore che sarebbe rimasto ucciso, tragicamente, due anni dopo. Ma è la terza strofa quella importante. Al suo interno, Em—Marshall—è negli anni dell'high school, un ragazzino ossessionato dal rap che aveva risparmiato per comprare le scarpe che aveva visto indossare a LL Cool J. Ma MC Shan cambiò le cose (“Puma è il brand, perché il Klan crea soldati"): fu l'inizio dell'afrocentrismo nell'hip-hop. Apparentemente, To The East, Backwards dell'X Clan colpì la scuola di Detroit a cui Marshall andava come una bomba, e a lui venne paura di poter diventare qualcosa di simile ai 3rd Bass, uno dei primi gruppi hip-hop interraziali della storia americana. Poi, racconta una scena imbarazzante: lui e un paio di amici bianchi che entrano in un centro commerciale portando dei medaglioni pro-Black Power e vengono presi per il culo senza pietà senza capire perché.

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Em e i suoi amici fecero ritirata e si chiusero in uno scantinato. Lì Em, dice, registrò i freestyle che sarebbero poi usciti su The Source. Nel momento in cui vennero pubblicati, cioè un anno prima dell'uscita di Encore, la rivista scrisse che i filmati risalevano al 1993, e quindi che Eminem avrebbe avuto venti o ventun anni all'epoca; una persona vicina a Eminem disse inizialmente al Times che i freesytle erano dell'88, un'affermazione inconsistente con "Yellow Brick Road", dato che gli X Clan vennero fuori nel 1990. Era tutto coerente, se paragonato al modo in cui Em parlava e, apparentemente, a quello che pensava delle questioni di razza, almeno rispetto al modo in cui impattavano la sua vita. I materiali promozionali di 8 Mile martellavano sull'idea che la strada del titolo fosse la linea di divisione tra la Detroit bianca e la Detroit nera, e che Eminem fosse a metà tra quei mondi; era una persona che li aveva attraversati entrambi senza sentirsi a casa in nessuno dei due. È un modo di affrontare le questioni di razza molto diverso da quello che viene usato per incorniciarle e analizzarle nel 2017. Oggi la credenza prevalente negli USA è che nessuna esperienza interna possa separare una persona bianca dal proprio biancore, e da tutti i suoi benefici materiali e politici. Su "Untouchable", audacemente scelta come secondo singolo tratto dall'album, Em prova con coraggio ad affrontare quest'idea. Lo fa in modo maldestro—è un pezzo da sei minuti dalla sintassi incostante—ma appassionato e empatico, nonostante alcune delle opinioni che esprime possano sembrare riparatrici.

E poi: Trump. Em ha annunciato l'album con una missiva a cappella rappata ai BET Awards. Intitolata "The Storm", è un pezzo che si rivolge direttamente al presidente. Finalmente, è stato scritto, qualcuno ha sfidato Donald Trump dalla sua stessa prospettiva. Eminem era ricco, famoso, potente, bianco: tutte qualità che Trump rispetta e teme.

Ma non stiamo vivendo la guerra in Iraq, né stiamo sperimentando l'hangover morale degli anni post-Lewinsky. Non stiamo seguendo regole predeterminate. La Casa Bianca sta accarezzando i nazisti e strigliando i reporter che osano fare domande anche benigne a riguardo—siamo molto lontani dai tempi in cui frasi come "Basta versare sangue per il petrolio" erano abbastanza. Nel 2000, un approccio simile sarebbe probabilmente stato adatto; Eminem oggi, in quanto essere umano e artista, se ne sta tenendo sempre più lontano. Come "Castle" e "Arose" dimostrano, sta scrivendo della sua vita in un modo pulito e ordinato. È naturale, comprensibile e sano—sta facendo il punto della situazione su come la sua vita pubblica ha impattato la sua famiglia e i suoi organi, e sta cercando un significato sia in ciò che chiama casa che nel mondo che lo circonda. Si sta scusando con sua madre e la sua ex-moglie. Non gli va più di rappare immaginandosi mentre si intrufola nella Casa Bianca per versare un po' di cianuro nella Diet Coke di Trump, né ha intenzione di buttar fuori un singolo stupido che prende per il culo il famoso video russo in cui Trump sarebbe impegnato in una golden shower.

Nonostante questo, Revival sembra un'opportunità politica perduta. Em sa ancora suonare caustico, ma il modo in cui approccia le sue canzoni più serie e quelle più leggere sono completamente distinti, oggi. Questo impedisce alla roba più seria di risultare leggera e sagace, mentre i pezzi più leggeri risultano senza mordente. L'unica canzone incentrata interamente su Trump, "Like Home", è uno stucchevole pezzo tutto piano-e-voce con Alicia Keys. Ha buoni sentimenti alla sua base, ma non ha nulla di intelligente, nulla che farebbe incazzare la base elettorale di Trump (e men che meno Trump stesso).

È difficile ascoltare Revival e non desiderare il caos pieno di tic di Relapse, o persino Encore. Quelle ultime due canzoni sono facili da ammirare ma, contando che sono 77 minuti di album, sembra quasi impossibile arrivarci in primo luogo. E chi sarebbe esattamente il pubblico di questo album? "The Storm" e "Untouchable" suggerivano che il destinatario del messaggio sarebbe potuta essere la parte destrorsa della fanbase di Eminem, ma la vera attenzione sembra essere arrivare in cima alla playlist Rap Caviar di Spotify. Em continua a comparire in documentari indossando magliette di Onyx, in foto in cui supporta King Sun, ai BET mentre ricrea copertine di singoli dei Public Enemy. Eminem è un nerd del rap che vive mezzo recluso, ha risorse infinite ed è senza limiti di tempo; probabilmente sarebbe bellissimo sentirlo fare esercizi senza troppe pretese su altri beat dei Black Moon, o vederlo chiamare Redman per un pezzo, o seguire qualsiasi strano bisogno creativo che pensava avrebbe fatto deragliare la sua carriera quando aveva vent'anni.

Ovviamente, è possibile che non sia quello che vuole fare—forse preferisce dominare le classifiche pop come faceva negli anni di Clinton e Bush. Ma quando era a TRL ogni giorno, Eminem si esibiva con uno stile e una prospettiva originali, non con gli X Ambassadors. Su "Walk On Water", dice di avere paura di non riuscire a raggiungere gli standard che lui e i suoi fan hanno stabilito. Non sembra però considerare le limitazioni del formato che ha creato. Eminem, o quelli che lo circondano, hanno ancora idee molto rigide su come un suo album dovrebbe essere strutturato, e su quali guard rail commerciali dovrebbero impedirgli di deragliare. Forse il motivo è la reazione negativa nei confronti di Relapse. Non possiamo saperlo. Ma dato che Eminem ci viene venduto come un artista grezzo e senza filtri, sarebbe bello finalmente sentirlo rappare senza preoccuparsi di Billboard, o senza il peso dell'eredità che si sente di dover lasciare sulle spalle.

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