Perché il cibo era così strano negli anni Settanta?
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Perché il cibo era così strano negli anni Settanta?

Inspiegabilmente, andavano un sacco le banane avvolte nel prosciutto e cosparse di crema olandese.

Ogni volta che le vacanze sono in dirittura d’arrivo, molti di noi iniziano subito a prepararsi mentalmente agli infiniti pranzi e cene a base di pietanze tradizionali. Tuttavia, dopo essermi ritrovato a parlare di cibi natalizi o comunque festivi con i miei colleghi, mi sono soffermato ad analizzare un altro aspetto comune molto interessante: quasi tutte le nostre famiglie portano in tavola almeno un piatto decisamente strano (ed evitabile), in nome della tradizione.

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E per strano intendo “losco.” Dopotutto come definireste voi le insalate nella gelatina (quella a base di carne), le pile di pancarré farcite e tutti quei cibi strambi usciti fuori dai ricettari degli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta che ci rifilano i parenti ogni anno? Se non mi credete, prendere un qualsiasi libro di ricette datato Guerra Fredda e apritelo. Troverete un sacco di piatti eccentrici come le banane avvolte nel prosciutto e ricoperte generosamente di salsa olandese, o le torte al tonno guarnite con gelatine Jell-O. Noi buongustai da Ventunesimo secolo guardiamo sicuramente questi piatti con occhi sospettosi, ed è comprensibile, ma dobbiamo tenere conto che, per l’epoca, si trattasse di vere e proprie rivoluzioni culinarie.
E quindi sorge spontanea una domanda. Perché il cibo era così strano, durante quegli anni?

Delicatezze: una tradizione medievale

Così come per tutti gli altri mali dell’uomo moderno, anche l’origine di queste mostruosità culinarie può essere fatta risalire al Medioevo. Parliamo di un periodo in cui, per fare a gara a chi fosse più benestante, i ricchi proprietari terrieri organizzavano quante più feste possibili, ponendo attenzioni extra sui banchetti e sulle pietanze sfoggiate.

Uno dei trend culinari più in voga dell’epoca era dettato dalle cosiddette “delicatezze,” un termine che comprendeva sia l’arte di rivisitare il cibo sotto svariate forme, sia l’abilità d’impiattarlo nei modi più elaborati possibile. Gli chef che lavoravano nelle cucine della nobiltà medievale dovevano tassativamente mostrare guizzi d’ingegno e creatività nella preparazione dei piatti, arrivando a creare arrosti di maiale a forma di riccio o, nel caso del cuoco di Filippo III il Buono, persino a calare le portate dal soffitto con degli argani (passato alla storia come il Banchetto del Fagiano, l’evento di Filippo III del 1454 si potrebbe definire come un esperimento di gastronomia polifonica, dato che univa il cibo anche alla musica).

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Come spiegato egregiamente dallo storico Nicola McDonald nel suo libro Pulp Fictions of Medieval England: Essays in Popular Romance, “queste pietanze obbligano il commensale a riconoscere che, seppur per scherzo, dispongano del potere di rievocare la vita e, di conseguenza, anche la morte.”

Pesce in gelatina. Immagine via Wikipedia Commons

Tolta l’opulenza eccessiva della nobiltà, i cuochi del Medioevo amavano particolarmente incastonare il pesce all'interno della gelatina, per dare l’illusione che stesse nuotando ancora. Si trattava di gelatina trasparente, di derivazione animale e satura di collagene (un agente gelificante naturale che si trova nelle ossa degli animali). All'epoca era decisamente difficile preparare la gelatina, non solo perché portava via molto tempo ma anche perché era parecchio costosa, tuttavia questo non impediva agli chef di ostentare le proprie abilità culinarie servendola ai vari pasti. A tal proposito, si pensa che alcuni piatti non fossero nemmeno pensati per essere mangiati, bensì solo per permettere a chi li commissionava di mostrare il proprio benessere economico. Il Medioevo ha dato via, insomma, ai primi (maldestri) tentativi di performance art culinaria.

Il regno vittoriano del cibo in scatola

Le cene a base di stravaganza sono rimaste la norma per gran parte de Rinascimento, espandendosi a macchia d’olio per tutta l’Europa e il Nord America, dove la nuova élite provava ad adattare le tendenze gastronomiche del Vecchio Mondo a quelle del Nuovo. All'inizio dell’Ottocento, durante le guerre napoleoniche, le regole della gastronomia cambiarono definitivamente grazie all'ingegnoso pasticciere Nicolas Appert, che rivoluzionò il mondo creando un metodo di conservazione ermetico. Appert aveva infatti capito che i cibi si conservavano più a lungo se sigillati all'interno di bottiglie di vetro immerse poi nell'acqua bollente, e questa scoperta valse a lui la vincita di un premio indetto dal governo francese, e ai soldati un sacco di scorte in più.

Finiti i tempi di guerra, la popolazione iniziò ad arricchirsi, dando vita a una classe media che, però, non aveva idea di cosa avessero mangiato fino ad allora i benestanti. Fu così che i ricettari e le guide al galateo aumentarono la tiratura delle proprie stampe, contribuendo a creare l’habitat ideale per la nascita dei cocktail dinner come li intendiamo oggi, con i sandwich senza crosta e le crudités da immergere nelle salsine.

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Anche i nuovi padroni di casa della classe media volevano lasciare gli ospiti a bocca aperta con la prima portata. I libri di cucina, per questo, si lasciavano ispirare dalle tendenze gastronomiche dei tempi che furono, come le delicatezze, sperando facessero breccia nella cultura popolare dell’epoca. La Rivoluzione Industriale arrivò poi ad apportare il proprio contributo, fatto principalmente di nuove tecniche culinarie ad hoc.

La gelatina, nel frattempo, era diventata più economica, mentre le verdure stagionali erano disponibili tutto l’anno, così come gli ingredienti esotici (tipo l’ananas, uno dei frutti preferiti dell’Occidente).

A fine Ottocento l’industrializzazione toccò un picco di crescita mai visto prima e, dopo la fine della Prima Guerra Mondiale, moltissime case disponevano d’elettricità, cucine a gas e frigoriferi. Tutte queste nuove invenzioni semplificavano di gran lunga la vita di qualsiasi casalinga, avvicinando il raggiungimento dell’efficienza domestica di svariati passi.

Non stupisce, quindi, che i piatti in gelatina fossero diventati i preferiti di tutti: permettevano alle mamme di ricreare pietanze in precedenza associate all’élite (per gli standard di allora), senza disperdere troppe energie nel prepararle. È qui che le insalate in gelatina hanno iniziato a spopolare.

Traumatismi culinari postbellici

Se arrivati a questo punto l’industria del cibo aveva già dato il via alle gare interne per trovare modi nuovi e sempre più economici per nutrire la popolazione durante la Grande Depressione, la Seconda Guerra Mondiale sopraggiunse costringendola ad accelerare i tempi. Anche in questo caso il cibo in scatola si era mostrato salvifico per le truppe militari. Si trattava pur sempre di cibo scadente, ma ricordava i sapori di casa, accendendo note sentimentali in ogni soldato.

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Terminata la guerra, tutte le aziende che avevano tratto profitto dai cibi in scatola destinati ai soldati non avevano intenzione di rallentare la corsa. Cosa potevano fare, dunque, di tutto quel surplus di prodotti? E soprattutto, cosa dovevano inventarsi per raggiungere le grandi masse? Lo Zeitgeist, per fortuna, era dalla loro parte.

I soldati sopravvissuti erano tornati a casa con una nuova consapevolezza culinaria, e le donne si riversavano a frotte nel mondo del lavoro. Veloci da preparare e soprattutto economici, i prodotti offerti da tutte queste aziende (come la Heinz e la Jell-O), s’incastravano perfettamente alle necessità dell’epoca, accrescendo la propria popolarità.

Tuttavia, come appurato anche dai produttori di cibo, sebbene i tempi stessero cambiando, le mentalità rimanevano le stesse.

Quindi, nonostante le donne spendessero meno tempo a casa, uno dei loro compiti principali rimaneva quello di garantire pasti caldi a tavola.

A tutto questo bisogna aggiungere il fatto che, per molte mogli,

l’idea di servire pasti pronti a cena le trasformava in pessimi angeli del focolare.

Vi siete mai chiesti perché, in molti preparati per torte, viene richiesta l’aggiunta di un uovo?

Inizialmente bastava solo aggiungere un ingrediente, tipo l’acqua, ma le clienti avevano mostrato disappunto, asserendo non potessero attribuirsi il merito della torta se tutto quello che dovevano fare era aggiungere l’acqua. Ecco, l’inclusione dell’uovo nel processo era la risposta a quel disappunto, e pare proprio avesse funzionato.

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Ed è sotto questo tipo di ecosistema che il cibo postbellico ha mosso i suoi primi passi, fra le mura domestiche delle madri di famiglia che si sentivano in colpa alla sola idea di comprare cibo preconfezionato, e quelle delle aziende in fermento e sempre alla ricerca di nuove idee. Una delle soluzioni più incisive arrivò grazie ai ricettari sponsorizzati, che mostravano quindi i prodotti commerciali da usare (specialmente a marchio Jell-O), facendo leva sia sull'economicità, sia sulla nostalgia delle pietanze a base di gelatina preparate dalle nonne nate in epoca vittoriana.

La Spam (un tipo di carne in scatola prodotto dalla

Hormel Foods Corporation

, N.d.T.), ad esempio, approfittò dell’abitudine dei soldati di consumare tantissima carne in scatola, rivisitandola però chiave esotica e, se vogliamo, vicina a quella delle delicatezze medievali.

Per pochi dollari e ancor meno lavoro, la Spam permetteva a chiunque di stupire gli ospiti con piatti spettacolari e inusuali.

I primi problemi sorsero quando, nel tentativo disperato di cacciare sempre più prodotti nelle gole dei propri clienti, queste aziende iniziarono a inventarsi cibi peculiarmente bizzarri come le candele commestibili alla gelatina di mirtilli rossi.

Siamo quello che mangiamo, e i piatti del passato sono un riflesso della società che ha permesso loro di prosperare cena dopo cena.

Pietanze a base di gelatina e polpettoni a parte, il cibo postbellico comprende anche l’inizio dell’era etnica, perché fu allora che i piatti tipici stranieri, come quelli asiatici e persino l’italianissima pizza, presero piede in Nord America.

Le portate che ora possono sembrarci disgustose sono coperte, in realtà, da un manto carico di nostalgia agli occhi dei nostri nonni (non dobbiamo mai dimenticare che la loro generazione sia stata la prima a nutrirsi per piacere e non per mera sopravvivenza), un po’ come per noi lo sono la Pepsi o gli hamburger dei fast food.

Quindi ricordatevi sempre che sì, forse quel classico piatto preparato ogni anno da vostra nonna a Natale non sarà dei più fotogenici per Instagram, ma è pur sempre un prodigio culinario contemporaneo.

Quest’articolo è inizialmente apparso su VICE Quebec.