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Come il cous cous di Mazara del Vallo è diventato simbolo dell'integrazione

Il cous cous si può definire un simbolo della pace dei popoli, perché si trova in molti paesi del settentrione africano e del Medio Oriente, fino in Turchia. ​

"C’è la moschea con il richiamo del muezzin che invita alla preghiera mentre poco più distante, nel convento di Mazara del Vallo, le suore di clausura, di cui sei nuove arrivate nigeriane, preparano i famosi muccuneddi."

Tra tutti i cartelli c’è n’è uno che non manca mai nei vicoli di Mazara del Vallo: “Tutti i giorni cous cous”. Mazara è una città che ha sempre vissuto di mare. È dal mare che arrivano i suoi frutti e i suoi cambiamenti. Nel tempo, la cittadina siciliana è stata uno dei più importanti porti pescherecci italiani, ed è ora conosciuta per il suo gambero rosso.

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Ma la storia di questo comune siciliano non esisterebbe se non fosse una storia di conquista, di scambio, di mescolanza e di integrazione. Di fatto la storia del cous cous in Italia.

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Mazara fu la prima cittadina siciliana a essere conquistata dagli arabi nell’827 e con essa arrivarono le prime tracce di questa pietanza, ora piatto tipico regionale. I grossi granelli di semola venivano portati dai pescatori e cercatori di corallo che si recavano sulla costa tunisina. Qui imparavano a scoprirne il sapore e se lo portarono dietro arrivando a San Vito Lo Capo e Mazara del Vallo dove ogni anno si tiene il Cous Cous Fest, anche chiamato: Festival internazionale di integrazione culturale.

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Di fatto il cous cous si può definire il piatto della pace dei popoli, perché si trova in molti paesi del settentrione africano e del Medio Oriente, fino in Turchia. Pur rimarcando la propria appartenenza Europea, l’Italia non può non definirsi un paese Mediterraneo, condividendo tradizioni e culture con tutti gli altri paesi che si affacciano sul Mar Mediterraneo. Il cous cous qui lo si conosce “alla trapanese” perché tutta la provincia segue la stessa ricetta: brodo di pesce e muddica.

La dominazione araba cambiò la città anche nella sua struttura urbana, sviluppando quella che tutti qui conoscono come la Kasbah di Mazara, la città della Pace. C’è la moschea con il richiamo del muezzin che invita alla preghiera mentre poco più distante, nel convento di Mazara del Vallo, le suore di clausura, di cui sei nuove arrivate nigeriane, preparano i famosi dolci mazzaresi muccuneddi. Le strade si riempiono di odori e lingue diverse, e nei vicoli ci si ferma a leggere tutti i mosaici, i murales e le mattonelle che celebrano la fraternità tra popoli, etnie e culture.

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I turisti che qui arrivano cercano informazioni. Hosni ha 19 anni e fa la guida della Kasbah per coloro che decidono di fare il tour organizzato dalla Pro Loco di Mazara. L’antica kasbah araba fino a trent’anni fa aveva ancora le strade sterrate in pieno centro. All’indomani del terremoto del ‘69 i mazzaresi abbandonarono la città per rifugiarsi nell’entroterra. La città si spopolò, e gli unici pronti a comprare le case furono le famiglie tunisine e di migranti, che ora sono circa il 15% della popolazione. Negli ultimi anni, grazie al lavoro del Comune e dei cittadini tunisini che hanno deciso di trasferirsi qui, Mazara è diventata un nuovo centro di integrazione, che insieme al cous cous porta ricchezza e senso di comunità.

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“Noi mangiamo il cous cous una volta alla settimana”. Incontro Maher al mercato del pesce, mentre sguscia cassette di gamberi che poi andranno ad essere venduti ai ristoranti, spesso finendo nel cous cous. È lì dalle 9 del mattino, suo padre è fuori al mare, fa il pescatore. Mi dice che la prossima settimana andrà in Tunisia. Come gli Italiani all’estero, le vacanze estive le si passa in famiglia. Studia all’alberghiero, questo è il suo lavoretto estivo, si sta preparando a passare la serata in spiaggia con i suoi amici italiani e tunisini che vivono alla Kasbah o che ha conosciuto a scuola.

La signora Rosa Signorello ha insegnato arte e contemporaneamente ha gestito la sua bottega di ceramiche dipinte a mano, seguendo la tradizione siciliana. Produce anche i piatti tipici nel quale il cous cous al pesce viene servito. A casa sua per mangiarlo usa i piatti spaiati, quelli che si sono danneggiati. “Una volta a settimana, come se fosse la pasta” mi dice mentre mi spiega la storia della Ceramica Florio e del suo lavoro e mi accorgo che alcuni dei dipinti che ho visto per le strade sono di fatto suoi.

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“È la cernia il pesce necessario per fare il sugo del cous cous alla trapanese, poi si aggiungono solo ed esclusivamente pesci da zuppa: scorfani, gallinelle, tracine, razza”

Proprio a pochi passi dal Centro di Interculturale si trova uno dei centri di associazionismo tunisino, dove i giovani passano i pomeriggi per un caffè. “Per noi il cous cous è sacro, io lo mangio almeno due volte a settimana” mi dice Omar. Non c’è da andare al mercato, i padri sono pescatori ed il pesce se lo ritrovano direttamente a casa. Sono le madri casalinghe a cucinarlo seguendo e portando le tradizioni di casa. La Kasbah è un dedalo di vie e mi fanno un po’ strada per portarmi a vedere le tipiche case tunisine.

Chi preferisce la versione Tunisina, molto più speziata con la base di harissa, si sposta verso Eyem Zemen dove la signora Aiba cucina insieme alle donne della sua famiglia, trasformando la piazzetta coperta di teloni in un vero e proprio soggiorno a testa in giù. Loro sono l’autorità del cibo tunisino in città, sfoderando diversi tipi di cous cous: quello di pesce, ma anche quello al montone, ceci e uova. possono osare di più con le spezie e gli ingredienti, aggiungendo più aglio e azzardando un sapore più piccante. I mazaresi ci vanno quando vogliono provare qualcosa di diverso - ma in fondo uguale.

È da venti anni che Giuseppe cucina ad Alla Kasbah, un ristorante nel centro di Mazara e del quartiere arabo. Lui di cous cous ne prepara circa 8 chili al giorno, e mi svela i segreti o almeno, la base. Delle mie memorie bambina ricordo solo tutte le donne di famiglia riunite in cucina per la 'ncucciatura, la fase di preparazione della semola, massaggiando piattini ripieni di granelli di semola ed acqua. Delle pentole di brodo bollenti mi ero sempre tenuta lontana, non sapendo fino in fondo cosa ci fosse dentro.

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“È la cernia il pesce necessario per fare il sugo del cous cous alla trapanese, poi si aggiungono solo ed esclusivamente pesci da zuppa: scorfani, gallinelle, tracine, la razza”. Devono essere pesci grassi che, cucinati nel brodo, sono quelli che rimangono compatti, mentre i crostacei non li mettono: “Con il tempo abbiamo dovuto cambiare la ricetta per far contenti i clienti”. Non più aglio né mandorle tostate: “Si dovrebbe cuocere la semola con la mandorla amara, perché rilascia più aroma”, mal alcuni ingredienti, per via delle allergie, sono dovuti essere accantonati.

Mazara street art

A lui però piace di più il cous cous vegetariano, se non addirittura vegano. Nelle città di mare, con la predominanza di ristoranti di pesce, il cous cous diviene il porto sicuro per coloro che di fatto non mangiano pesce. “È il mio preferito, con la zucchina leginaria e le patate”. Mia sorella vegana, prima grande mangiatrice di cous cous alla trapanese, avrebbe apprezzato.

Ritorno al mercato del pesce per comprare dei gamberoni, mi dicono che il signor Fans è una celebrità sui social media. Con la sua barca pesca al largo di Mazara e di giorno vende il pesce e manda in tilt Facebook con i suoi video sulla vita a mazara, il pesce, e video ricette. Di fatto mi devo mettere in fila per parlargli mentre delle signore gli fanno un video. Gli chiedo qual’è il segreto per un buon cous cous, lui si rifiuta di rivelarmi la sua ricetta, però aggiunge: “I tunisini sono proprio i maestri”. A lui piace di più così, come lo fanno loro.

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Il mercato è piccolino e un poster appiccicato su una delle finestre mostra tutti i pesci che potrei trovare li, come del resto su tutte le coste, i porti, le tavole di coloro che abitano su tutte le città affacciate sul mediterraneo.

È di fatto un patrimonio che ci accomuna, una delle tante nostra identità, che ci unisce e ci fa parlare la stessa lingua.

Perciò, tutti i giorni cous cous.

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