Attualità

Un sacco di gente sta condividendo i post di un sito di propaganda russa senza accorgersene

Redfish è un sito apparentemente di sinistra che negli ultimi giorni ha accumulato like e condivisioni parlando della guerra in Ucraina. In realtà, è un organo di propaganda del Cremlino.
Daniele Ferriero
traduzione di Daniele Ferriero
Milan, IT
La rovine della città di Chernihiv, il 4 marzo 2022
La rovine della città di Chernihiv, il 4 marzo 2022. Foto di Dimitar Dilkoff/AFP DIMITAR DILKOFF/AFP via Getty Images

Negli ultimi giorni, una pubblicazione che sulla carta si presenta come una testata giornalistica di sinistra—ma è in realtà sostenuta dal Cremlino—ha accumulato moltissimi like e condivisioni di post progettati per danneggiare e ostacolare il supporto all’Ucraina da parte degli Stati Uniti.

Ad esempio, se ultimamente hai trascorso del tempo su Twitter, Facebook e Instagram alla ricerca di notizie riguardanti la guerra in Ucraina, è probabile che tu abbia anche incrociato una mappa che mostra alcuni luoghi al mondo dove sono avvenuti dei raid aerei. La mappa, che mostra l’Europa e una parte dell’Africa e del Medio Oriente, mette in rilievo gli attacchi aerei concretizzatisi nelle “ultime 48 ore” in Ucraina, Siria, Yemen e Somalia.

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Il post esorta a non dimenticare le altre guerre che si stanno tuttora consumando nel mondo. “Non lasciare che sia l’eurocentrismo dei media dominanti a determinare il tuo supporto morale per le vittime di guerra. Una vita umana è una vita umana. Condanna la guerra ovunque si trovi,” si legge nella didascalia.

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Il messaggio è stato postato poche ore dopo l’attraversamento del confine ucraino da parte delle truppe russe, ed è subito diventato virale. Nei giorni seguenti, è stato condiviso da migliaia di account su Facebook, Instagram e Twitter.

L’immagine è stata condivisa in gran parte da account di sinistra che appoggiano apertamente le cause della comunità LGBTQIA+ e Black Lives Matter. In gran parte, questi account hanno ignorato le problematiche più spinose ed evidenti—come il fatto che la Russia ha giocato un ruolo cruciale nella guerra e nei bombardamenti in Siria—e appunto caldamente invitato i follower a non scordarsi delle altre guerre, quelle al di fuori dell’Ucraina.

Quello che nessuno ha evidenziato, e che probabilmente nessuno sapeva, è che quell’immagine era stata creata dal Cremlino. L’immagine della mappa è stata postata per la prima volta il 24 febbraio—la data dell’invasione russa—da Redfish, una società di comunicazione con sede a Berlino e lo slogan “Obiettivi, ma non neutrali.”

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In effetti, l’azienda si definisce come un’organizzazione che si batte per i più deboli, e un rapido scroll sui social media mostra una serie di immagini e video chiaramente progettati per essere condivisi da un pubblico di sinistra. Nei feed è possibile vedere alcuni post dedicati ai rifugiati africani bloccati al confine ucraino, footage della torre televisiva di Kyiv colpita dai missili russi, oppure ancora un video di alcuni studenti texani che urlano “Si fottano questi fascisti!” a un candidato transfobico —tutti contenuti che fanno sembrare Redfish una pubblicazione progressista.

Ma come ha scoperto il Daily Beast già nel 2018, in realtà Redfish è solo l’ennesima facciata dietro la quale si nasconde la propaganda del Cremlino. Il personale è costituito da ex-membri dell’emittente statale Russia Today, che oltretutto trasmette proprio i video più lunghi di Redfish. La società di produzione che gestisce RT in America è invece stata chiusa e le persone impiegate sono state licenziate.

Eppure, nonostante la rivelazione—e il fatto che diverse aziende operanti nell’ambito dei social media l’avessero contrassegnata come entità controllata dallo stato russo—, negli ultimi quattro anni Redfish ha continuato a crescere, arrivando a quasi un milione e mezzo di follower e svariate hit virali.

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“Alcune persone esperte in materia ritengono che si tratti di un modo rivoluzionario di fare propaganda e, sotto alcuni aspetti, mi sento di dare ragione a questa affermazione,” spiega ​​Lukas Andriukaitis, direttore associato del Digital Forensic Research Lab dell’Atlantic Council. “Non solo è un tipo di propaganda politica connotata ideologicamente, coerente, ingegnosa e ben realizzata, si tratta anche di qualcosa che non mostra apertamente di essere legato al Cremlino.”

Scavando nei feed di Redfish, si trovano altri post simili a quello della mappa sugli attacchi aerei. Ci sono i montaggi in serie di giornalisti occidentali che ripetono quanto sia tremendo che un “Paese civile” come l’Ucraina venga invaso, paragonandoli a paesi “incivili” come l’Afghanistan o l’Iraq. Sebbene il comportamento di quei giornalisti sia razzista e inaccettabile, lo scopo di Redfish nel produrre quel video—visto 400mila volte solo su Twitter—è lo stesso della mappa: sviare l’attenzione e le critiche dal Cremlino.

“Questi contenuti si trovano ormai ovunque e sono diventati la colonna portante delle opinioni di molte persone sulla guerra in Ucraina,” spiega Ciaran O’Connor, un analista che monitora i movimenti estremisti e la disinformazione presso l’Institute for Strategic Dialogue. “Questa tattica è molto efficace poiché nasconde gli autori dei contenuti, le informazioni riportate e la percezione stessa che tenta di suscitare. In questo caso, la mappa delle incursioni aeree si è rivelata essere un classico caso di ‘benaltrismo’.”

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Il benaltrismo in effetti può denotare la tattica di chi tira in ballo crimini e malefatte di un gruppo, mettendo però in realtà in evidenza i crimini e le malefatte di un altro gruppo, proprio come Putin aveva già fatto nel 2014—e come spesso viene fatto anche in Italia. Durante le proteste e le manifestazioni avvenute a Ferguson, Missouri, Putin aveva convogliato e diretto i suoi media al fine di sottolineare la brutalità poliziesca esercitata sulla comunità afroamericana—in maniera tale da scansare le critiche a lui dirette dai legislatori americani sul tema dei diritti umani.

Si tratta di una tattica utilizzata sistematicamente dalla Russia, almeno secondo Idrees Ahmad, professore di giornalismo digitale presso l’Università di Stirling—nonché autore di un libro di prossima pubblicazione incentrato sullo scontro tra le diverse narrazioni della guerra in Siria. Per Ahmad, Redfish sta sfruttando il desiderio delle persone di vedere confermati e rinforzati i propri preconcetti su come funziona il mondo.

“Quello che i propagandisti più competenti e capaci fanno è scovare i pregiudizi delle gente, per sfruttarli e diffondere i propri messaggi,” specifica Ahmad. “In molti casi, la persona che ha subito la propaganda si trasforma nel vettore involontario di questi messaggi. Tuttavia, persino quando ne comprendono il sottotesto, certe persone spesso procedono comunque con la condivisione, perché ritengono di condividere qualcosa a cui in ogni caso credono.”

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Quello che rende la tattica così efficace è il fatto che l’ingiustizia a cui si fa riferimento è quasi sempre tutt’altro che immaginaria. “L’ipocrisia a cui si allude è molto spesso del tutto reale, e può giustamente scatenare lo sdegno e la rabbia del pubblico,” sostiene Ahmad. “Eppure il pubblico stesso viene abbindolato, perché l’intento non è quello di creare un’ondata di empatia per i civili di qualche altro conflitto, ma quello di sviare l’attenzione dalla guerra in atto.”

Una distorsione informativa che provoca risultati concreti: da quando Redfish ha pubblicato su tutti i social la mappa con le incursioni aeree, hanno infatti cominciato a piovere like e condivisioni. Nell’account su Instagram, che possiede oltre 480mila follower, il post ha già superato 450mila like e quasi quattromila commenti. Tra l’altro ci sono molte altre versioni di questa mappa condivise su Instagram, ognuna delle quali ha migliaia di like.

Su Facebook, dove Redfish ha oltre 800mila follower, l’immagine ha mille condivisioni e oltre 1500 like. Nonostante siano metriche lontane da quelle del post su Instagram, una ricerca eseguita con Crowdtangle—il tool di analisi di Facebook, ora in fase di ridefinizione—e riguardante parole chiave come “attacco aereo,” “48 ore” e “condannare ogni guerra” mostra che l’immagine è stata condivisa da centinaia di account differenti. Il 4 marzo, tuttavia, Facebook ha bannato la pagina ufficiale di Redfish.

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In totale, i dati recuperati via Crowdtangle dimostrano che nelle ultime settimane questi post sono stati condivisi centinaia di migliaia di volte e hanno visto interagire altrettante persone. La mappa è stata inoltre estensivamente condivisa anche su Twitter e, persino quando non viene direttamente condivisa, ne vengono ripresi i contenuti, spesso con l’hashtag #condemneverywar. In più è approdata anche su Tumblr, Reddit, e TikTok, dove alcuni video contenenti l’immagine in questione hanno accumulato decine di migliaia di visualizzazioni.

Proprio come nel caso di Facebook e Instagram, gli account che la condividono sembrano essere reali—dunque, né bot né troll russi—e tendono prevalentemente a segnalare in maniera esplicita la propria visione politica di sinistra. Secondo Social Blade, un altro strumento di analisi dei social media, l’account Instagram di Redfish ha guadagnato 50.000 nuovi follower in tre giorni, dopo aver postato la mappa.

Eppure, sembra esserci un consenso generalizzato riguardo al fatto che negli ultimi giorni il Cremlino e il Presidente russo Vladimir Putin stiano perdendo la “guerra delle informazioni” riguardante l’Ucraina. Gli sforzi della Russia dedicati alle operazioni sotto falsa bandiera—per creare il pretesto per la guerra—sono stati facilmente smascherati da una comunità pronta e volenterosa come quella “open source”, in grado di smontare in tempo reale i tentativi di disinformazione.

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Nel frattempo, anche alcune delle aziende Big Tech stanno infine optando per la censura della propaganda russa portata avanti da organi sovvenzionati dal Cremlino, come ad esempio la già citata Russia Today (RT) e Sputnik—benché in realtà ciò stia avvenendo solo dopo che l’Unione Europea ha costretto queste aziende ad agire. Nonostante le restrizioni, però, Redfish ha continuato a crescere e a essere condivisa.

Facebook, Twitter e Instagram non hanno risposto in tempi utili alle richieste di commento su cosa intendono fare per rallentare o fermare la diffusione di simili contenuti virali. Tuttavia, le tre piattaforme hanno etichettato Redfish come un’organizzazione “controllata dallo stato Russo.”

Fino a pochi giorni fa, chiunque avesse cliccato sul link della loro pagina Facebook, o avesse provato a condividere uno dei post, veniva accolto dal seguente messaggio: “Questo link appartiene a una pubblicazione che Facebook ritiene possa essere parzialmente o integralmente sotto il controllo editoriale del governo russo.” In caso di like, Facebook poi aggiungeva: “Questa pagina ha condiviso post che violano gli standard della nostra comunità.” Eppure, Redfish continua a prosperare e a crescere.

L’azienda, una volta interpellata, ha accettato di rispondere alle domande solo con la garanzia di veder pubblicate le risposte per intero. Quando VICE News ha spiegato che non avrebbe potuto garantirlo senza prima vedere la natura delle repliche, il co-fondatore di Redfish, Hüseyin Dogru, ha smesso di ribattere.

In un aggiornamento, l’azienda ha spiegato di aspettarsi ulteriori restrizioni. “YouTube ha bannato la nostra pagina in Europa. Si tratta di un evidente attacco alla libertà di parola che costituisce un precedente pericoloso. Instagram ha già proceduto allo shadowban del nostro account, e ci aspettiamo inoltre di essere banditi molto presto da tutte le piattaforme. Ricordatevi però che fine ha fatto l’ultima volta il totalitarismo in Europa.”

Se l’azienda dovesse essere cacciata anche da Twitter e Instagram, sarebbe costretta a ricostruire il proprio pubblico su piattaforme come Telegram, dove ora possiede solo 2.500 follower. Redfish, inoltre, ha appena lanciato una nuova pagina TikTok con appena qualche centinaio di follower.

Finora Redfish è riuscita a mantenere un basso profilo nascondendosi in piena vista, camuffandosi da gruppo editoriale di stampo progressista. In effetti, questo tipo di campagne organiche, popolari e dal basso, dove la gente comune si ritrova a diffondere una narrazione creata dal Cremlino, è incredibilmente efficace e, allo stesso tempo, difficile da contrastare.

“È molto difficile fermare tutto questo, perché di solito questo tipo di contenuti si basa su fatti ed eventi reali,” insiste O’Connor. “È essenziale che le piattaforme continuino a contrassegnare le varie agenzie di stampa, organizzazioni mediatiche o testate giornalistiche affiliate allo Stato. In maniera tale che gli utenti possano almeno essere consapevoli del fatto che il contenuto in oggetto può essere stato creato da, o essere legato a, una qualche agenzia governativa. E ciò include quei contenuti il cui scopo è quello di ingannare, illudere o fuorviare le persone—e, quando un report o un grafico diventa virale, si aggiunge un ulteriore livello di sfida.”