Ho provato l'app che ti fa parlare con persone in quarantena in tutto il mondo

Col coronavirus, le possibilità di interazioni con estranei sono limitate. Ed è per questo che è nata QuarantineChat.
Alessandro Pilo
Budapest, HU
quarantinechat
L'autore. Foto per sua gentile concessione.

Dal mio telefono scatta una musichetta allegra, mentre una voce femminile dal tono rassicurante mi avvisa che verrò presto connesso con un estraneo. All’altro capo del telefono c’è Ali, un programmatore di Lahore, la seconda città più grande del Pakistan. Manca ancora qualche giorno al momento in cui verranno imposte grosse restrizioni a fronte dell'aumento esponenziale dei contagi nel paese, e mi dice: “Il nostro primo ministro ha dichiarato che non ci possiamo permettere economicamente misure simili a quelle prese in Cina o in Italia.” Per questo Ali è molto preoccupato e sta chiuso in casa da una settimana. Su invito di alcuni amici sta pensando di affittare il suo appartamento e trasferirsi in campagna. Ma per stare con loro dovrebbe abbandonare il proprio gatto, cosa che non ha intenzione di fare.

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La telefonata con Ali è avvenuta attraverso QuarantineChat, un’app che connette in modo casuale persone alle prese con la quarantena o l’autoisolamento volontario a causa del coronavirus. L’idea è venuta a Max Hawkins e Danielle Baskin, coppia di programmatori e artisti statunitensi non nuova a progetti pensati per uscire dalla nostra bolla e interagire con sconosciuti—proprio come Dialup, lanciata nel 2019 e da cui QuarantineChat è riadattata.

“Possiamo parlare virtualmente coi nostri amici e familiari, ma chiacchierare spontaneamente con un estraneo è un’esperienza momentaneamente assente dalle nostre vite,” si legge sul sito di QuarantineChat. Contattata per mail, Baskin mi fornisce alcuni dati: “Attualmente ci sono 900 utenti da circa 87 paesi, ma i numeri sono in crescita costante.” Dalla mia esperienza noto che l’utente medio è abbastanza giovane, solitamente sotto i 35-40 anni.

QuarantineChat permette solo di ricevere telefonate senza video e funziona in modo simile a Whatsapp: si accede attraverso il proprio numero di cellulare, tutto passa attraverso Internet ed è gratis. Per usarla serve un livello d’inglese sufficiente a sostenere una conversazione, anche se si sta lavorando per offrire il servizio in lingue diverse. “QuarantineChat chiama una o due volte al giorno circa, anche se a volte c’è una pausa. La chiamata può arrivare in diversi momenti della giornata, ci teniamo al fattore sorpresa, e per quanto è possibile vogliamo far interagire persone con fusi orari molto diversi. Ma se uno preferisce orari prevedibili, esistono linee che chiamano settimanalmente in momenti ben precisi,” mi spiega Baskin.

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Curioso di provarla, una mattina scarico l’app, creo il mio username e aspetto. Il cellulare squilla per la prima volta nel pomeriggio: si ha sempre la possibilità di rifiutare, e in quel caso l’interlocutore viene messo in comunicazione con qualcun altro. L’accetto e una voce registrata mi saluta offrendomi qualche idea per rompere il ghiaccio: “guarda fuori dalla tua finestra e descrivi cosa vedi.”

Parte la telefonata, all’altro capo c’è Michael*, artista di Bruxelles. A entrambi scappa una risatina d’imbarazzo, sembra di stare un po’ a un appuntamento al buio, ma dopo un paio di domande di circostanza la conversazione decolla. Parliamo dei rispettivi progetti naufragati miseramente: nel mio caso collaborazioni lavorative già pronte per iniziare e ormai incerte (per non parlare del fatto che vivo all’estero e chissà quando potrò riabbracciare famiglia e amici), mentre Michael tra un paio di settimane sarebbe dovuto partire per il Giappone e a breve avrebbe dovuto partecipare a una mostra rimandata—per ora—a ottobre. Mi racconta che la quarantena lo ha portato ad avere rapporti più stretti e quotidiani col suo coinquilino, con cui finora non aveva mai avuto una particolare intimità.

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Foto per gentile concessione di QuarantineChat.

Il giorno dopo QuarantineChat mi combina una telefonata con Carla, una ragazza di Parigi che lavora da casa. La chiacchierata è piacevole e lei è molto simpatica. Non sembra soffrire più di tanto per la reclusione, vive con delle coinquiline con cui passa serate a base d’interminabili partite a carte o giochi da tavolo. Anche Fareed* non sta così male: è uno studente di medicina che vive fuori Riad, in Arabia Saudita, e fa la quarantena in casa con la sua famiglia. Da lui è il primo pomeriggio, mentre parliamo è in giardino che fuma e beve una birra sotto il sole: “Sono una persona molto socievole, passo un sacco di tempo in giro, ma ora le cose stanno diversamente e bisogna accettarlo. Voglio usare questo momento per conoscermi meglio e praticare un po’ d’introspezione, come se fosse un ritiro spirituale.”

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Alcune di queste telefonate, mi accorgo in fretta, offrono contenuti non così diversi da tanti profili Instagram che sembrano idealizzare la quarantena. Davanti a testimonianze simili, in cui la pandemia diventa un’occasione per fare amicizia coi coinquilini o diventare persone migliori, mi viene un dubbio: sono uno dei pochi che vive queste settimane in modo più ambivalente? La risposta arriva nei giorni seguenti, quando ascolto versioni ben diverse.

Zack è un ragazzo statunitense che vive a New York, lavora nella gig economy. Non mi fornisce ulteriori dettagli, ma ammette di non avere una rete di supporto pronta a sostenerlo se dovesse perdere il lavoro, già di per sé precario: “la mia vita era un po’ atomizzata e solitaria già da prima, ma con quest’emergenza il mio senso d’isolamento sociale aumenterà ancora di più." Per Arash dall’Iran la frustrazione è più politica, sente che il governo sta gestendo l’emergenza in modo inefficace e poco trasparente.

Forse è questo l'aspetto più interessante di QuarantineChat, ogni telefonata è a suo modo unica e significativa, e ti permette di ascoltare narrazioni molto diverse tra loro. C’è chi la quarantena tende a romanticizzarla, chi sembra accettare un futuro andato in fumo e un presente incerto con sereno stoicismo, ma anche chi non nasconde le sue ansie sotto il tappeto, forse anche perché spesso è più facile aprirsi con uno sconosciuto che coi propri amici e familiari.

Durante la nostra telefonata Ali a un certo punto mi chiede: “quando finirà tutto ciò?”. Nella sua voce ho avvertito la mia stessa insicurezza. Per dargli una risposta onesta avrei dovuto dirgli “ne so quanto te,” eppure ho sentito la responsabilità di tirarlo su e dirgli qualcosa di ottimista. Ci siamo scambiati le mail e il giorno stesso mi ha scritto un messaggio. Finiva con “Stay safe”.

*I nomi sono stati cambiati su richiesta dei diretti interessati.

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