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Cose che devono scomparire per sempre dalla cultura italiana per andare avanti

La dicotomia comunisti-fascisti, l'ossessione per il cantautorato e la cucina italiana e l'attaccamento al passato: perché tutte queste cose hanno bloccato la cultura italiana, perché devono sparire e cosa succederebbe se sparissero.

Foto di Niccolò Berretta.

Se uno dovesse chiedersi quale sia lo stato attuale della cultura italiana, "attuale" è di certo uno degli aggettivi che non userebbe per primo. Per spiegare perché basta un esempio piuttosto recente, quello del quarantennale della morte di Pier Paolo Pasolini: la mole di articoli e opinioni espresse in quelle ore sulla sua figura ha reso chiaro una volta per tutte che in Italia, anche a decadi di distanza, non siamo in grado di esorcizzare personaggi, luoghi comuni e forme espressive ormai esauste che sopravvivono e procedono per inerzia nel dibattito di tutti i giorni.

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In questo modo non soltanto il dibattito stesso ne esce compromesso, ma si creano arroccamenti su posizioni completamente depauperate di senso. Lo stesso è accaduto anche nelle ultime ore, quando all'indomani degli attentati di Parigi qualcuno ha sentito la necessità di riproporre il famoso articolo-sfogo di Oriana Fallaci, che la giornalista scrisse ormai 14 anni fa sulle pagine del Corriere delle Sera e che traslato nel novembre 2015, non si capisce come possa nuovamente destare sdegno o adesione, in un contesto politico e sociale radicalmente mutato.

Il recente caso di beatificazione di Pasolini e la recrudescenza di passioni di segno opposto per il Fallaci-pensiero forniscono un buon pretesto per riflettere sul presente e il futuro della cultura italiana. Perché è chiaro che, di questo passo, ci troveremo sempre ad affrontare piccoli e grandi macigni lungo la via di un possibile progresso ed emancipazione dal passato. Abbiamo quindi deciso di segnalare alcuni temi e atteggiamenti della cultura middlebrow italiana che manifestano gli stessi sintomi d'assenza di laicità, chiusura mentale e fanatismo, e che in quanto tali, se sparissero, farebbero a tutti un grandissimo favore.

L'OSSESSIONE PER IL CANTAUTORATO

Perché deve scomparire?
Analogamente a figure come Pasolini, l'Italia offre un pantheon di divinità laiche ma assolutamente intoccabili rappresentato dai grandi cantautori che soprattutto nel dopoguerra hanno fatto la storia della musica nel nostro paese. Anche a distanza di 40 anni non è possibile osservarli con distacco ironico ed eventualmente cercare di analizzarne qualità e limiti, artistici, formali e compositivi. È ancora una volta l'espressione di una nostalgia verso un'epoca che non ha più avuto un reale rinnovamento, e questo anche perché a differenza dei cantautori di culto, le nuove generazioni non hanno saputo elaborare con questi modelli una dialettica antagonista, ma al contrario si sono cristallizzati in forme di culto manichee. C'è poi un altro aspetto che accompagna questo tema, ossia lo strisciante maschilismo nel cantautorato: alle autrici donne il pubblico e la critica hanno sempre richiesto uno standard "tecnico", saper cantare "bene", laddove invece i colleghi uomini sono poeti che devono interpretare.

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Cosa succede se scompare?
Fortunatamente il cantautorato inteso così come oggetto di culto è destinato ad essere secolarizzato e a estinguersi con il passaggio generazionale. Senza questo fardello un domani sarà forse possibile cercare di osservare e vivere l'esperienza musicale per quello che è nella sua essenza: suono, composizione, forma e iniziare a considerare la "produzione" come parte fondamentale del processo creativo ed esperienziale, del tutto secondario in Italia considerando la pressoché totale assenza di una scena musicale pop (se non legata a fenomeni arcaici e nostalgici). Sarebbe inoltre necessario superare definitivamente l'affiliazione "regionale" di questi autori con il loro pubblico (vedi familismo).

LA DICOTOMIA TRA COMUNISTI E FASCISTI

Perché dovrebbe scomparire?
Lungo tutto il novecento le grandi ideologie hanno creato delle nette divisioni sociali, culturali e generazionali in Italia. Ma come sono stati trasmessi quegli eventi nella cultura di massa? Nelle scuole e negli ambienti formativi ad un certo punto degli anni Novanta ad esempio si è stabilito in nome del garantismo e del politically correct il diktat di non trattare la politica per non influenzare ideologicamente studenti in quella che ha rappresentato una leggera ma incisiva forma di repressione, privando almeno due generazioni dei temi della politica e soprattutto di coscienza di classe. E questo ha fatto sì che la formulazione dell'identità politica sia stata delegata alla sfera familiare, al bar o all'appartenenza a sottoculture: che hanno portato a semplificazioni, conservatorismi e alla dicotomia pericolosissima e ancora oggi diffusa dell'amico-nemico. Se Berlusconi per decenni ha continuato a utilizzare lo spauracchio dei "comunisti" per ottenere consenso, è evidente che lo ha fatto sapendo bene a chi si stava rivolgendo. Lasciarsi alle spalle questa dicotomia non significa dimenticare la storia, ma imparare a utilizzare questi termini per il loro significato e non come un intercalare senza senso.

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Cosa succede se scompare?
Se queste definizioni fossero accompagnate da una reale consapevolezza storica potremmo rapportarci a questi termini con distacco, ponderandone le differenze, e cercando di riflettere sull'influsso che certe ideologie hanno effettivamente avuto sul mondo contemporaneo. Altrimenti, come sempre accade, il rischio è di scegliere secondo il pregiudizio che sentiamo più forte, diventando arbitrariamente fan di quella o dell'altra squadra. Liberandosi di questa strumentalizzazione, gli italiani potrebbero finalmente iniziare a considerare la politica su scala globale, superando lo schematismo del solito derby di provincia.

L'OSSESSIONE PER IL CIBO

Perché deve scomparire?
A tutti i livelli della società e a qualsiasi latitudine un italiano farà di tutto per convincervi che da nessuna parte si mangia bene come in Italia, anzi, come dalla regione o città da cui proviene. Certamente è un dato di fatto che grazie alla storia, alla posizione geografica, alla sua struttura, e ad altri mille fattori culturali, l'Italia è un posto nel quale il cibo è una delle massime espressioni. Ma questa centralità ossessiva per la cucina a cosa ha portato, esattamente? Non a granché, al di là della sovrapproduzione di format televisivi e di rubriche che hanno fomentato il nostro orgoglio.

Cosa succede se scompare?
Liberi dall'ossessione del cibo si potrebbe iniziare a ripensare ai nostri pasti e le nostre abitudini alimentari rapportandole a un mondo che nel frattempo è radicalmente cambiato. A un rapporto più consapevole delle risorse alimentari, alla stagionalità delle merce, all'impatto ambientale, e a non cascare dalle nuvole quando veniamo avvertiti che mangiare carne sette giorni su sette può eventualmente comportare dei rischi per la salute. Insomma: tutti quei temi e interrogativi che teoricamente avrebbero dovuto rappresentare il sostrato culturale di Expo. Ve lo ricordate Expo?

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L'EQUIVOCO DELLA SATIRA

Perché deve scomparire?
Siamo sinceri: la satira in Italia fa pena, e non c'è un solo politico o personaggio pubblico realmente spaventato o preoccupato dalla stigmatizzazione e rappresentazione che un comico o autore di satira proponga al grande pubblico. Abbiamo sopportato decenni di Bagaglino dove gli attori sul palco erano clown e giullari alla corte della politica (tutti in cimbali in prima fila), abbiamo i vignettisti più morigerati e metafisici del mondo, e autori come Crozza che hanno invaso la tv provvedendo ad illustrare e trasformare la condotta indecente e criminale di molti politici in maschere rassicuranti che anziché aggredire il potere lo fanno accettare al pubblico, stabilizzandolo. Per questo motivo il dogma di "non si tocca la satira" è l'ennesimo atteggiamento conservatore che si produce in forme per niente scomode al potere ma anzi totalmente organiche a questo. Senza contare che i veri centri di potere, politico e simbolico non sono mai scalfiti dalla satira italiana che è lontana anni luce da esempi come Charlie Hebdo o un qualsiasi episodio di South Park.

Cosa succede se scompare?
Più che scomparire la satira dovrebbe interrogarsi sul suo reale ruolo, non avere fra il suo pubblico proprio quei bersagli che dovrebbe attaccare, ed essere completamente indipendente dai partiti (che senso ha avere comici di destra e comici di sinistra?). Inoltre se abbandonassimo la figura dei comici come maschere della commedia dell'arte, chi fa satira potrebbe sviluppare anche nuove forme d'espressione e di narrazione più significative e valide anche formalmente. Persino la Fox negli Stati Uniti è costretta a ospitare le più acute critiche anti-repubblicane in serie come i Simpson.

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IL FAMILISMO

Perché deve scomparire?
Già nel 1870 Francesco de Sanctis nella sua Storia della Letteratura Italiana riconduceva il sistema parentale a quella tendenza a considerarsi clan, con la relativa autarchia dei suoi membri come "una delle espressioni più dirette dell'egoismo familiare, di quel 'familismo' che è origine di tutto il male, di tutte le miserie che deturpano l'umanità." A più di un secolo di distanza possiamo ancora mettere alla prova questa affermazione, confrontandola con alcuni atteggiamenti nostrani come la mafia, il nepotismo, i più agghiaccianti fatti di cronaca nera o anche in forme più light, come il luogo comune della "tradizione familiare" che viene sempre ostentato come un valore del made in Italy. Basta camminare per strada e accorgersi di quante persone sono costantemente al telefono con la mamma, il cugino o il nonno per farsene un'idea.

Cosa succede se scompare?
Immaginatevi un'università in cui i vostri figli non studieranno con un professore che porta lo stesso cognome di quello che vent'anni prima occupava la stessa cattedra. Immaginatevi cittadini di 18 anni che dopo aver preso la patente e aver accesso al voto sappiano anche provvedere al proprio sostentamento quotidiano ed emotivo prima dei 40 anni. Ecco.

LA CULTURA TELEVISIVA

Perché deve scomparire?
Non occorre per l'ennesima volta squadernare le solite statistiche rispetto a quanto poco gli italiani leggano, all'analfabetismo di ritorno e all'analfabetismo funzionale, perché se da una parte questi dati sembrano riguardare le classi sociali meno istruite o più povere è vero che la maggior parte degli italiani trova nella tv l'unico mezzo d'informazione. E che anche coloro che possiedono strumenti per capire frequentano la cultura televisiva convinti della possibilità di una lettura ironica e distaccata, quando in realtà vi partecipano, diventandone portatori e testimonial involontari; continuando a riprodurla nel loro linguaggio, nei loro gesti, nel pubblico e nel privato. Va anche sottolineato che i portatori più vivaci e attivi di tale cultura sono da ritrovarsi nel mondo queer che con la scusa del "camp" hanno fatto da vera e propria cassa di risonanza a molti di questi fenomeni che dalle D'Urso, alle De Filippi, ai Magalli non ci lasceranno nulla, se non squallore.

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Cosa succede se scompare?
Sarebbe bello anche per chi ha scelto di non guardare più la tv non dover sentire sul luogo di lavoro, al bar e per strada il rosario dei soliti nomi e il repertorio di subrette e siparietti kitsch proposti ad oltranza, come un mantra. Se il pubblico fosse un po' esigente anche la tv italiana potrebbe sfruttare l'enorme potenziale offerto dal mezzo per raccontare i temi di un mondo in evoluzione: non solo approfondendo temi di politica globale, economia, e scienza, ma anche proponendo veri format di intrattenimento che si lascino finalmente alle spalle l'estetica del vernacolare.

L'ATTACCAMENTO AL PASSATO

Perché deve scomparire?
C'è un recente video che meglio di ogni altra cosa rappresenta il tragicomico problema del nostro attaccamento nostalgico al passato; Lo spot Cultura, cibo per la mente che il Ministero dei Beni culturali ha proiettato nel corso della conferenza internazionale dei Ministri della Cultura dei Paesi presenti ad Expo. Nel breve video girato da Alessandro D'Alatri un rassicurante Giancarlo Giannini nei panni di un maître davanti a un leggio delizia il suo pubblico snocciolando un metaforico menù (vedi ossessione del cibo) dove le portate culturali sono i nostri "archivi", le nostre "biblioteche", "arte in generale", "siti archeologici", "lo spettacolo dal vivo e quello circense", culminando nel claim: "Italia, il cibo per la mente è in tavola".

Questo del ministero della Cultura e del Turismo è soltanto uno dei molti tentativi che rientrano nella tradizione di dipingere l'Italia come una cartolina sospesa nel tempo dove arte, conoscenza ancestrale, buon gusto e natura sono elementi onnipresenti e comuni del paesaggio italico e dei suoi abitanti. Ovviamente c'è qualcosa di rassicurante nel rapportarsi in questo modo alla storia; in fondo il passato è un luogo confortevole, proprio perché è passato, perché non spaventa nessuno e soprattutto perché è morto. In questo senso lo spot con Giannini esprime pienamente quello spirito retro-nostalgico che tanti condividono nel provare affezione per un passato che non hanno mai esperito e che, verosimilmente non è mai davvero esistito. C'è inoltre l'arrendevolezza verso il futuro, come se la cultura fosse stata un episodio irripetibile, riducendo così gli italiani a meri custodi di giacimenti archeologici, di un mondo che sostanzialmente non ha prodotto più nulla di significativo dopo la seconda guerra mondiale.

Cosa succede se scompare?
Se questo atteggiamento nostalgico ripiegato sul passato e incapace di connotare la cultura di nuovi significati iniziasse a sbiadire, potremmo finalmente iniziare a ricostruire questi significati. Come Federico Zeri scrisse: "un'opera d'arte muore con la società che l'ha prodotta." Sarebbe ora di domandarsi quali sono i segni culturali, le opere d'arte che parlano della nostra contemporaneità. Siamo all'altezza di questo passato? Ne siamo effettivamente i discendenti e i portatori sani, oppure la realtà dei nostri consumi e costumi tratteggia l'Italia come ogni altro paese, adagiata su una cultura egemone american-global?

Thumbnail via Wikimedia Commons. Segui Riccardo su Twitter