Odio quando i maschi cercano di spiegarmi la musica

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Musica

Odio quando i maschi cercano di spiegarmi la musica

"È un regalo per il tuo ragazzo?"
Giacomo Stefanini
traduzione di Giacomo Stefanini
Milan, IT

"Che cosa hai preso?"

"Una stampa giapponese dei Saxon, un disco dei Planxty e, ah, entra a vedere quella bomba di picture disc di Ride the Lightning. È una figata, cazzo. Però costa un botto."

"Va bene dai, tu tieni il cane—torno subito", rispondo, abbandonando il mio ragazzo e il nostro grosso e vivace cucciolo su una panchina mentre io mi dirigo verso il negozio di dischi. È il compleanno del mio uomo e, sentendolo così preso bene nel descrivere la preziosa copertina intagliata di quel disco, decido immediatamente di comprarglielo. Abbiamo entrambi la passione dei dischi, ma lui più di me; mentre io riempio ogni angolo di casa nostra di libri, lui risponde aggiungendo in continuazione nuovi acquisti alla nostra già considerevole collezione vinilica. In generale, tra l'altro, ci piacciono gli stessi tipi di dischi (anche se i suoi LP NWOBHM stanno cominciando a superare i miei black metal e country) per cui è la cosa più naturale del mondo per me entrare e comprargli qualcosa che possiamo goderci assieme.

La persona alla cassa non la pensava così, però. Nonostante io appaia esattamente come la tipica metallara—capelli lunghi, tatuaggi, piercing, jeans neri, maglietta con il logo di una band, giubbotto di pelle, e via dicendo—il commesso sembra pensare che io non abbia mai sentito nominare i Metallica. Quel giorno indosso una maglietta degli Acid, eppure questo ometto medio con gli occhiali e i capelli arruffati decide di farmi una lezione sul thrash e lo speed metal. Mentre fruga nella sezione Nuovi Arrivi per aiutarmi a trovare il disco in questione, non smette mai di parlare, rendendomi partecipe della sua preferenza per Ride the Lightning e "gli altri dischi vecchi, tipo Master of Puppets", ignorandomi quando tento di inserirmi con: "Certo, i primi quattro" e spingendosi fino a sganciare verità pesanti come: "Cliff Burton, che era il bassista, amava molto la melodia, e su questo si sente bene".

"Sì, lo so, era un po' la sua particolarità", intervengo, sperando di concludere la conversazione prima di cominciare a non vederci più. "Comunque al mio ragazzo piacerà tantissimo, quando l'ha visto è impazzito".

"Oh, lo compri per il tuo ragazzo?", dice con soddisfazione. "Sei una di quelle brave". Lo fisso intensamente. Il "vai pure, ragazzina" rimane non detto.

A quel punto ne ho abbastanza e decido di ignorare il mio abituale contegno, e cominciare a insultarlo. Quando si lancia in una filippica su quanto Lars Ulrich faccia schifo e quanto sia irrilevante la band al giorno d'oggi, sorrido dolcemente e rispondo: "Be', a dir la verità l'ho intervistato per lavoro l'altro giorno ed è stato davvero gentile e umile. Il nuovo disco non è niente male, tra l'altro; se ti capita dagli un'ascoltata". Già. L'ho fatto. Gli ho detto "be', a dir la verità". Non ne vado orgogliosa, ma a volte devi turarti il naso e zittire questa gente. Ne è valsa la pena anche solo per la sua faccia e per il modo in cui ha subito fatto silenzio e mormorato "fico", mentre impacchettava il mio acquisto. All'improvviso non aveva più voglia di parlare di musica. Mentre gli porgevo la mia carta di credito, l'aria tra noi densa di nervosismo, ho pensato all'ultima volta che un commesso di negozio di dischi mi aveva parlato dall'alto al basso in quel modo. È successo qualche anno fa, durante un tour dei Black Tusk per cui mi occupavo del banchetto. Eravamo a Tulsa, o in un posto simile—una polverosa città del Midwest con una piccola scena, ma appassionata—e io fui felicissima di scoprire che proprio di fianco al locale c'era un negozio di dischi; comprare dischi è tuttora una delle mie cose preferite quando viaggio, e a quei tempi lo era ancora di più. Entrai da sola e mi misi a rovistare allegramente per circa un'ora finché, bingo: una copia bellissima e seminuova della stampa 2010 in doppio LP su Svart Records del primo album dei Reverend Bizarre, In The Rectory Of The Bizarre Reverend. Lo abbracciai forte forte e corsi verso la cassa con un sorriso a 32 denti. "Sono contentissima di averlo trovato!", dissi al commesso, che alzò lo sguardo mentre gli porgevo l'album. Mi guardò per un momento e poi chiese con tono gentile: "È per il tuo ragazzo?" Lo fissai per un momento. "Come? Mi stai prendendo per il culo?" "Scusa, scusa, non volevo offenderti! Molta gente compra i dischi per regalarli…" balbettò, porgendomi il sacchetto. Gli rivolsi un'altra occhiata di ghiaccio, prima di girare i tacchi e marciare verso l'uscita. Nessun altro della nostra compagnia entrò nel negozio quel giorno. Durante quello stesso tour, un ragazzino si avvicinò al tavolo del merch in un momento morto e decise di mettersi a parlare con me e con l'altra addetta al merchandising (un'altra donna). Ci chiese che musica ascoltavamo, e, quando gli risposi che mi piacevano principalmente black metal e doom, fece una smorfia. Questo ragazzino—il tipico teenager metallaro brufoloso e goffo, ricoperto di denim e pantaloni larghi—quindi si mise a tenere una lezione sul genere, beatamente ignaro di stare sbagliando tutti i dettagli e di stare pronunciando in modo sbagliato il nome di Euronymous. Tenete conto che io avevo evidentemente diversi anni in più di lui e che ero evidentemente disinteressata alla sua lezione. Rimasi sconvolta dalla sua maleducazione; ogni volta che intervenivo o che tentavo con gentilezza di correggerlo, mi ignorava e continuava sulla sua strada. Era lo stesso tipo di comportamento che avevo subito innumerevoli volte nel corso della mia vita da metallara dotata di cromosomi XX, ma più invecchio e più mi dà fastidio—e meno sono disposta a sopportarlo. A quel punto, da rappresentante della band, non potevo trattarlo male—era uno stronzo, ma uno stronzo che avrebbe potuto comprare qualcosa—per cui dovetti trovare un modo diverso per fargli capire come la vedevo. Ecco l'idea: batterlo al suo stesso gioco. Così, mentre si avvicinava alla conclusione del suo soliloquio, gli mostrai il tatuaggio del caprone dei Bathory sul mio braccio, chiedendogli: "Se sai tutte queste cose sul black metal, sicuramente saprai dirmi che cosa significa questo, giusto?" "È un caprone, ovvio!" "Sì, ma che cosa significa?" "… Boh, Satana?" "No. È il logo di una delle band black metal più importanti di tutti i tempi. Levati dal cazzo, bambino." Lui borbottò un poco, poi se ne andò con la coda tra le gambe, spero dopo aver imparato un'importante lezione: solo gli stronzi danno per scontato che le donne—o ogni altra minoranza in questa scena dominata da maschi bianchi etero—non sappiano nulla dell'heavy metal. C'è una profonda differenza tra condividere informazioni con qualcuno che vedi sul tuo stesso piano e sputare fuori nozioni e opinioni con aria di sufficienza senza lasciare che l'altra persona partecipi alla conversazione. Quello che molti fan maschi non capiscono è che è molto probabile che noi sappiamo più cose del genere di riferimento di loro, perché noi abbiamo dovuto passare anni a provare il nostro valore. Dobbiamo sapere ogni cosa, per far capire alla gente che sappiamo almeno qualcosa. Siamo state sotto esame, derise, prese in giro e insultate, solo perché ci siamo innamorate dello stesso tipo di musica dei nostri "avversari"—sembra assurdo, ma davvero, chiedete a una donna qualunque che abbia passato tempo all'interno di scene come quella heavy metal o punk, in ogni tipo di musica "difficile" o "complessa", e sentite che cosa vi risponde. So come ci si sente a essere messe in discussione; che cazzo, ogni giorno c'è qualche idiota che cerca di spiegarmi il metal su Twitter, e scrivo professionalmente di questo genere da quando avevo 15 anni. Ricordo ogni volta che i membri delle band davano per scontato che fossi la ragazza di qualcuno (o che cercassi di diventarlo) quando mi trovavo nel backstage, con il registratore in mano, a fare il mio lavoro. Ricordo ogni volta che un ragazzo o un uomo mi si è avvicinato, ha notato la band sulla mia maglietta e mi ha chiesto se li ascoltavo "davvero", per mettere alla prova la mia conoscenza e assicurarsi che non fossi soltanto una poser. Ricordo quando uno mi ha detto che ero "troppo carina" per "apprezzare davvero il metal"—e secondo lui doveva essere un complimento. Ciò cominciò a succedere non appena cominciai ad andare ai concerti, quando avevo circa sedici anni; la prima volta che subii il "test" ne rimasi schiacciata, ma poi capii che non dovevo soltanto passare ogni test idiota a cui venivo sottoposta, ma che dovevo distruggerli. Se questi uomini pensavano che fossi lì soltanto per guardare il chitarrista con desiderio e farmi notare, io dovevo costringerli a rispettare la mia conoscenza dell'argomento—che io gli piacessi o meno. Così studiai. Lessi ogni libro che riuscivo a trovare sulla storia dell'heavy metal, mi abbonai a ogni rivista metal che potevo permettermi, comprai quelle d'importazione nelle librerie, feci domande su domande ai pochi metallari più anziani che conoscevo, scambiai CD-R via posta in tutto il Paese, spesi tutti i miei soldi guadagnati lavando piatti e facendo la commessa in CD, e mi immersi completamente nel genere. Allora come oggi, non sapevo proprio tutto, ma imparai tutto quello che un'adolescente di una piccola città di campagna poteva imparare. Quella spinta d'orgoglio iniziale ad assorbire la cultura metal finì per regalarmi cose inaspettate, ma mi aiutò anche a raggiungere il mio obiettivo iniziale: nessun ragazzo e nessun uomo mi avrebbe mai più fatta sentire piccola o stupida o inferiore—perlomeno non qui. Il mondo esterno è tutta un'altra storia, ma qui, all'interno delle mura sacre dell'heavy metal (o di qualunque bar, scantinato o locale diroccato sia finita per vedere un concerto), mi sento intoccabile. Questa è una cosa che mi porto dietro da anni, e non ho intenzione di rinunciarci senza lottare fino al KO. Questo campo è mio come di tutte le altre persone—indipendentemente dall'identità di genere, sessualità, razza, nazionalità, credo e tutto il resto—che vogliono abitarlo. E che mi venga un colpo se lascio che uno stronzo supponente mi faccia pensare diversamente. Segui Noisey su Facebook e Twitter.