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Immagine in infrarossi del Monte Tambora, sull'isola di  Infrared image of Mount Tambora, isola di Sumbawa, Indonesia. Scattata dallo space shuttle Endeavour il 13 May 1992. Immagine: NASA/Wikimedia Commons
Tecnologia

Cosa ci insegna sulla crisi climatica l'anno in cui non è mai arrivata l'estate

Nel 1816, carestie ed eventi atmosferici estremi hanno devastato metà pianeta, provocando anche insurrezioni e migrazioni di massa. Tutto ha avuto inizio con una delle eruzione più violente del millennio.
Matteo Lupetti
Asciano, IT

Il 1816 è noto come “l’anno senza estate” in Europa e Nord America. In effetti, quella è ricordata come un’estate fredda e piovosa, dove i raccolti sono andati a male causando carestie, proteste e migrazioni; lo storico Post è arrivato a definire il 1816 come “l’ultima grande crisi di sussistenza nel mondo occidentale.” È una storia che forse può insegnarci qualcosa sul cambiamento climatico e sul nostro futuro, e tutto è iniziato con l’eruzione del vulcano Tambora in Indonesia nel 1815.

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Ricordate probabilmente gli effetti dell’eruzione del vulcano islandese Eyjafjallajökull nel 2010, con il blocco del traffico aereo europeo. Ma l’eruzione del Eyjafjallajökull aveva diffuso le sue ceneri soprattutto nella troposfera—lo strato più basso dell’atmosfera—e aveva quindi avuto effetti prevalentemente locali. Un vulcano può fare molto di peggio: l’anidride solforosa (SO2) liberata reagisce con l’umidità dell’aria e forma goccioline di acido solforico (H2SO4) che—arrivato nella stratosfera (tra i 10 e i 50 chilometri di altezza)—genera nubi che schermano la luce solare, raffreddando la superficie terrestre e disperdendosi su tutto il pianeta con effetti che arrivano a durare fino a tre anni. E l’eruzione del Tambora è stata violenta ed esplosiva, la più devastante mai registrata dagli esseri umani.

L’eruzione è stata prima di tutto una catastrofe per l’isola di Sumbawa—dove si trova—e per le vicine Lombok e Bali, provocando forse un totale di 70.000 morti tra quelle causate direttamente dall’esplosione e quelle dovute alle sue conseguenze nel tempo, alla distruzione dei raccolti e all’acidificazione delle acque. I tre regni di Tambora, Sanggar e Pekat della penisola di Sanggar di Sumbawa sono scomparsi e i sopravvissuti sono emigrati e sono stati spesso costretti a vendersi come schiavi.

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Gli effetti però si sono sentiti su almeno metà della Terra. Il 1816 è stato forse l’anno più freddo degli ultimi 250 anni ed è stato uno degli anni più freddi degli ultimi 400—almeno nell’emisfero nord—e il raffreddamento globale si sarebbe aggirato intorno agli 0,5 °C. In Europa Centrale la primavera e l’estate sono state piovigginose, con fino all’80 percento di precipitazioni in più del normale e conseguenti alluvioni.

In Italia—scrive l’abate Bartolomeo Lorenzi—il 1816 è stato un “anno senza frutta, senza vino, e senz’olio.” Come spiegato da Post, a causa del cattivo raccolto in alcuni mercati europei i prezzi erano raddoppiati e l’inflazione causava violente proteste. Era difficile mantenere gli animali—che o morivano o venivano mangiati—e la carenza di cavalli causata dall’anno senza estate ha ispirato l’invenzione della Laufmaschine—l’antenato della nostra bicicletta.

Dopo il 1816 si è diffusa in Europa (soprattutto in Irlanda e in Inghilterra, ma anche in Italia e Scozia) un’epidemia di tifo, che ha approfittato dell’indebolimento generale della popolazione e delle condizioni favorevoli al contagio dovute al continuo spostamento in cerca di cibo. Intanto, gli scrittori Lord Byron, Mary Godwin, Percy Bysshe Shelley e John Polidori passavano in Svizzera le lugubre giornate della fredda estate e scrivevano racconti dell’orrore. In quell’occasione Byron ha scritto la poesia Oscurità e Godwin ha iniziato la redazione del suo romanzo Frankenstein, in cui è riconoscibile il clima nero e tempestoso dell’anno senza estate (lo studioso Alan Marshall considera questa influenza più che secondaria rispetto alle altre ispirazioni e agli interessi di Godwin, ma non tutti concordano con le sue posizioni).

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Mentre l’Europa veniva colpita da pioggia e fame, nel Nord America il freddo eccezionale (ha nevicato a giugno) uccideva le pecore appena tosate per l’estate e spingeva gli invasori europei verso ovest. Nel 1816 migliaia di persone hanno abbandonato il New England per dirigersi verso “la frontiera,” e anche a causa di queste migrazioni in quegli anni sarebbero nati gli Stati dell’Indiana e dell’Illinois. Tra l’altro, il New England ci ha regalato il soprannome più bello per il 1816: “Eighteen-hundred-and-froze-to-death:” Milleottocentosimuoredifreddo.

La situazione è stata simile nel sud-ovest della Cina, dove ha nevicato a luglio e gli abitanti delle campagne si sono ridotti a mangiare letteralmente pezzi di argilla. Dopo la carestia, le coltivazioni della provincia sud-occidentale dello Yunnan sono state riconvertite a papavero da oppio in cerca di un rapido guadagno, e l’esperienza degli abitanti dello Yunnan nella coltivazione del papavero avrebbe poi contribuito alla nascita del “triangolo d’oro”—il centro di produzione di oppio (e poi eroina, e ancora dopo metanfetamine) compreso tra Birmania, Laos e Thailandia. L’influsso del Tambora sulle temperature ha causato anche cambiamenti nella circolazione dei venti e ha ritardato il passaggio dei monsoni portatori di pioggia, causando siccità in India (oltre che in Cina). La fame può aver contribuito in India all’inizio dell’epidemia di colera che poi si è diffusa in tutto l’emisfero settentrionale.

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Il 1816 non è stato l’unico “anno senza estate.” Simili eventi erano accaduti, per esempio, anche nel 1783 a seguito dell’eruzione del vulcano Laki in Islanda, accompagnata da altre tre importanti eruzioni sempre in Islanda e in Giappone. Anche in quel caso gli eventi hanno sconvolto tutto l’emisfero nord della Terra e hanno avuto conseguenze sulla cultura dell’epoca: la necessità di capire i fenomeni climatici ha dato impulso allo sviluppo di una nuova meteorologia (dopo pochi anni, nel 1802, Luke Howard avrebbe proposto il primo vero sistema di classificazione delle nuvole) e del volo in mongolfiera.

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L'isola di Sumbawa, in Indonesia. Dall'immagine satellitare è visibile il cratere enorme del vulcano Tambora. Immagine via: Google Earth Timelapse.

Ma nel 1816 gli strascichi dell’eruzione del Tambora si sono combinati con altre concause, rendendo gli eventi ancora più memorabili e catastrofici: variazioni climatiche periodiche difficili da valutare e simulare, la concomitanza con il “minimo di Dalton” (1790-1830)—un periodo di ridotta attività solare—e il picco del periodo di raffreddamento globale noto come “piccola era glaciale.” Inoltre, l’Europa non aveva ancora fatto in tempo a riprendersi dai postumi delle guerre napoleoniche (1792–1815), appena concluse con la sconfitta di Napoleone a Waterloo.

Da questa storia si possono trarre conclusione importanti ancora oggi.

Prima di tutto, il clima è un sistema complesso e globale. Per quanto recenti studi abbiano dimostrato che il Tambora sia stato una causa fondamentale nell’anno senza estate, come abbiamo visto hanno contribuito anche altri eventi, umani e climatici, alcuni ormai compresi e altri solo teorizzati. E la stessa catena di eventi che portava gli abitanti delle campagne dell’Europa centrale a mangiare i capi di bestiame che non potevano più sfamare dopo piogge e alluvioni, portava la siccità in India e non aveva nessun importante effetto registrato in Europa dell’est e nell’emisfero meridionale.

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Come abbiamo detto più volte, il tempo atmosferico non è il clima e—come afferma il titolo di uno studio dedicato agli effetti del Tambora in Svizzera—il 1816 è stato in alcuni posti un anno “di clima estremo, non di tempo atmosferico estremo.” Non si è spesso trattato, insomma, di cosa accadeva in un singolo giorno, o in un singolo mese, o in una singola zona del mondo; il singolo acquazzone non era magari eccezionale, ma era eccezionale il fatto che piovesse in continuazione per mesi. Così oggi—quando parliamo di cambiamento climatico—non conta il singolo evento o il singolo luogo e le manifestazioni del riscaldamento globale sono varie e a volte difficili da prevedere.

Poi—ma è in realtà una conseguenza del discorso precedente—l’anno senza estate ci insegna che i sistemi umani sono intimamente legati al sistema clima: il minimo di Dalton è una causa delle carestie dell’anno senza estate quanto lo sono state le guerre napoleoniche. Naturalmente, ogni fattore può contribuire in modo diverso, ma clima e umanità sono tanto legati da costituire ormai un sistema unico. È questo il concetto dell’Antropocene, l’epoca geologica segnata dalla presenza dell’umanità: oggi la storia umana è diventata storia della Terra. Stiamo lasciando tracce permanenti negli strati geologici.

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Tra le cause dell’anno senza estate accennavamo alla “piccola era glaciale”—un periodo di raffreddamento globale iniziato nel Trecento e concluso dopo alti e bassi più o meno a metà dell’Ottocento. Come al solito, le cause della piccola era glaciale sono molteplici e non sempre ancora comprese: un calo di attività solare, un periodo di intensa attività vulcanica, modifiche nelle correnti oceaniche… e un genocidio.

Secondo alcuni studi, l’invasione delle Americhe avrebbe causato un tale massacro da perturbare il clima della Terra: i terreni lasciati incolti dalle popolazioni sterminate (soprattutto dalle malattie arrivate dall’Europa) o schiavizzate sarebbero stati rapidamente riconquistati dai boschi, che avrebbero sottratto anidride carbonica all’atmosfera causando (o meglio, contribuendo a) un raffreddamento globale. Anche se a partire da metà del diciottesimo secolo la deforestazione nelle Americhe e il massiccio uso del carbone in Regno Unito e Cina hanno dato inizio a un nuovo aumento dei livelli di anidride carbonica (che prosegue tutt’oggi), gli effetti del colonialismo europeo sul clima potrebbero essere stati ancora sensibili all’inizio dell’Ottocento, e l’umanità potrebbe essere una delle concause dell’anno senza estate.

Contemporaneamente, oggi la storia della Terra è diventata storia umana. Non vogliamo con questo scadere in un estremo determinismo climatico, nell’idea che gli esseri umani siano fondamentalmente guidati dalle vicende dei loro climi. Ma l’anno senza estate ha cambiato culture e società nel mondo (quando non le ha distrutte, come accaduto alle culture dell’isola di Sumbawa): ha influenzato la scrittura del Frankenstein di Mary Godwin, ha portato all’invenzione dell’antenato della bici, ha provocato migrazioni di massa che hanno modificato il continente americano, ha creato le competenze che hanno poi fatto nascere una delle principali zone di produzione di oppio al mondo, ha contribuito all’epidemia del colera in India e del tifo in Europa.

Per chi fa ricerca, l’eruzione del Tambora e l’anno senza estate sono importanti banchi di prova per modelli e simulazioni climatiche e la dimostrazione di quanto sia importante un approccio multidisciplinare per raccontare il cambiamento climatico e i suoi effetti. Per tutti, è una storia della fragilità umana di fronte al cambiamento climatico, una storia sempre più complicata dalla fragilità del clima di fronte ai cambiamenti dell’umanità.

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