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Italia

Nell'ospedale italiano che cura i migranti affetti da DPTS

VICE News ha visitato la clinica psichiatrica dove i dottori stanno curando i rifugiati affetti da disordine post-traumatico da stress e altre patologie mentali derivanti dalle esperienze vissute.
Photo de Matteo Congregalli

Mentre passava in rassegna le foto sulla gallery del cellulare, tra queste è comparsa l'immagine di un uomo impiccato. "È il mio amico," ha detto il ragazzo curdo, con una vena di apatia nella voce.

"Lo hanno impiccato solo perché era curdo."

Due giorni dopo, quel ragazzo ha cercato di uccidersi - senza tuttavia riuscirci - gettandosi dalla finestra della sua stanza al secondo piano del centro. Era fuggito dall'Iraq, ma non era riuscito a lasciarsi dietro il peso insostenibile della violenza che aveva vissuto.

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Il tragitto dei migranti verso l'Europa è pieno di pericoli. Alcuni hanno attraversato il Mediterraneo in barche semi-distrutte, altri hanno dovuto evitare controlli alle frontiere, gas lacrimogeni e cannoni d'acqua in una disperata marcia attraverso i Balcani. In ogni caso, il viaggio non mette a rischio solo la loro integrità fisica, ma anche la loro salute mentale.

All'inizio di settembre, l'Associazione tedesca degli Psicoterapeuti ha comunicato alle autorità che almeno metà dei rifugiati arrivati in Germania soffre di problemi mentali legati a traumi. Si stima che il 70 per cento dei rifugiati abbia assistito a episodi di violenza, e che circa il 50 l'abbia subita in prima persona.

"Il 40 per cento dei bambini rifugiati ha assistito a episodi di violenza," ha detto durante una conferenza il capo dell'associazione, Dietrich Muns. Circa un quarto dei minori, inoltre, "ha dovuto assistere ad attacchi contro la propria famiglia."

Nel 2013, l'UNHCR ha stimato che il 21,6 per cento dei siriani presenti in un campo profughi in Giordania avesse sofferto problemi legati all'ansia, mentre l'8,5 per cento era affetto da Disturbo Post Traumatico da Stress (DPTS)

Secondo Munz, tutti i sintomi del DPTS si riscontrano spesso nei rifugiati, assillati dagli incubi e dai flashback delle esperienze vissute.

Munz si sta battendo per garantire trattamenti più efficaci per i rifugiati psicologicamente vulnerabili—non limitandosi semplicemente alla somministrazione di medicinali.

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È ciò che sta provando a fare l'Italia, uno dei paesi in prima linea nell'accoglienza dei migranti. A Milano, una struttura fornisce supporto agli "individui psicologicamente vulnerabili", un termine burocratico per indicare i migranti traumatizzati.

"Mettiamo le cose in chiaro," ha detto a VICE News Marzia Marzaglia, una psichiatra dai modi gentili e dalla voce pacata, specializzata nella cura delle vittime di tortura. "[La crisi dei migranti] non è più un'emergenza. Sono arrivate circa 130,000 persone nell'arco di quasi dieci mesi: siamo ormai davanti a un fenomeno migratorio stabile. [Quella della salute mentale dei migranti] è, piuttosto, un'emergenza che stiamo cercando di affrontare."

La clinica ha aperto nel 2003, quando gran parte delle persone che arrivavano in Italia erano migranti economici. Scappavano dalla povertà nei paesi africani o dallo sfacelo della guerra nei Balcani, attratti dalla prospettiva di poter migliorare le loro vite. Negli anni, però, i flussi migratori verso l'Europa sono radicalmente cambiati. Oggi è la sopravvivenza la spinta fondamentale.

"Dal 2011 le persone cercano semplicemente di mettersi in salvo. Scappano da persecuzioni, stupri e torture. L'unica alternativa che hanno è rischiare la morte per cercare di arrivare in Europa," ha spiegato Marzaglia.

Dopo lo scoppio e il conseguente arrestarsi della Primavera Araba, che ha visto la Libia e la Siria precipitare nel caos e ha portato all'ascesa dello Stato Islamico (IS) in molte zone dell'Iraq, i migranti sono molto più a rischio di DPTS.

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"Sono esposti a un gran numero di esperienze traumatiche," ha spiegato la psichiatra, secondo cui i sintomi correlati al trauma non sono difficili da identificare. "Stiamo parlando di sintomi fisici come gravi problemi allo stomaco, estremo affaticamento fisico e mentale, insonnia. In casi peggiori abbiamo a che fare anche con allucinazioni, crisi d'ansia, dissociazione mentale."

La clinica lavora a stretto contatto con i centri d'accoglienza che ospitano i rifugiati. Generalmente sono gli assistenti sociali a segnalare i casi sospetti alla clinica. Nel corso degli anni, Marzaglia ne ha visti molti. "Un paziente del Camerun soffriva di flashback. Era costretto a rivivere le torture che aveva subito, più e più volte."

Solitamente il DPTS è una malattia associata ai veterani di guerra, che spesso soffrono di flashback violenti dovuti al contatto prolungato con esperienze traumatiche sul campo di battaglia.

"Quel paziente soffrì un flashback particolarmente intenso, associato a uno scatto d'ira violento. Distrusse l'intera stanza," ricorda la psicoterapeuta. "Quando lo visitai per la prima volta, credeva di essere posseduto da un demone."

A differenza del curdo che provò a togliersi la vita, il camerunense fu portato alla clinica prima che la situazione precipitasse. Cominciò la psicoterapia subito dopo, riuscendo infine a controllare i ricordi e a superare il trauma.

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VICE News è venuta a conoscenza della storia di R., un uomo gay proveniente dall'Uganda. L'anno scorso, l'uomo lasciò il suo paese dove veniva perseguitato a causa dell'orientamento sessuale.

R. era stato costretto a sposare una donna e a fare un figlio con lei. Rinnegato dai genitori dopo che la moglie lo abbandonò, venne poi molestato dalla famiglia dell'uomo con cui stava avendo una relazione. Fu quindi incarcerato per "condotta omosessuale" e picchiato selvaggiamente in prigione, prima di riuscire a fuggire.

"Non riesco a dormire la notte. Mi sveglio angosciato," ha detto, descrivendo gli incubi e l'ansia risultanti dalla violenza vissuta, sia fisica che psicologica.

Nonostante senta oggi un grande senso di libertà per essere riuscito ad arrivare in Italia, spiega l'uomo, la felicità è ancora molto lontana. "Qui nessuno si interessa delle mie preferenze sessuali," ha detto. "Ma io continuo a ripetermi di essere un egoista. Mi sento incredibilmente in colpa e triste. Ho lasciato tutto il mio mondo dietro di me, anche mio figlio."

Le donne rischiano di subire anche forme di trauma ancora più profonde collegate al loro genere sessuale. Lo stupro sistematico usato nei conflitti è un'arma per terrorizzare le popolazioni civili e distruggere il tessuto sociale, con donne e ragazze tra le vittime più colpite.

Nel marzo de 2015, un rapporto del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha affermato che la violenza sessuale è stata una delle caratteristiche del conflitto siriano sin dalle sue prime battute. Secondo il Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione, nel solo 2013 38,000 persone si sono appellate all'ONU per traumi legati ad abusi e altra violenza di genere.

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Il "Women Under Siege Project" (Progetto Donne Sotto Assedio) ha raccolto con un'opera di crowdsourcing esempi di violenza sessuale perpetrata nel corso della guerra civile siriana durata due anni - dal 2011 al 2013. I risultati mostrano che almeno il 90 per cento dei casi di violenza sessuale sono stati compiuti da combattenti legati al regime di Bashar Al-Assad. A detta del WUSP, spesso lo stupro veniva commesso davanti alla famiglia della vittima.

L'ascesa di IS ha portato con sé una riconferma dello stesso trend, con lo stupro sistematico delle donne della minoranza religiosa yazida, che sarebbero state vendute come schiave sessuali dai combattenti dello Stato Islamico. Il gruppo sostiene che la violenza sessuale sui miscredenti sia giusta e persino incoraggiata dal Corano.

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"Un numero scioccante di donne che raggiungono l'Europa ha subito abusi sessuali nel proprio paese d'origine o durante il viaggio. I bambini di quelle donne che partoriscono lungo il tragitto sono spesso frutto di stupri," spiega Marzagalia. "Il protocollo di Istanbul dice che lo stupro è una forma di tortura. Lascia le stesse tracce indelebili nella psiche di una persona." Per quanto riguarda i casi di violenza sessuale, il lavoro della clinica si basa sull'esperienza acquisita dopo la guerra bosniaca. Un conflitto in cui le vittime di stupro furono circa 50,000. Questa preparazione viene messa in campo per trattare le vittime di stupro in Medio Oriente e in Africa.

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"Abbiamo avuto il caso di una ragazza africana che era stata venduta come schiava sessuale durante tutto il suo viaggio verso l'Europa," afferma Marzagalia a VICE News. "Era così traumatizzata che aveva perso la capacità di parlare."

La donna riuscì a sfuggire ai rapitori. Una volta arrivata in Europa, i volontari segnalarono all'ospedale la sua condizione "psichicamente vulnerabile". Molte delle donne che vengono visitate a Milano ci mettono mesi, se non anni, a raccontare la propria storia ai terapeuti. Secondo Marzagalia, la ragazza riusciva a sentire nella sua testa solo le voci degli uomini che l'avevano stuprata: i suoi torturatori. "Ci sono voluti due mesi per farle capire che era al sicuro e che nessuno sarebbe venuto a prenderla."

Il trauma non affligge i migranti solamente mentre scappano dalle bombe su una barca traballante in mezzo al Mediterraneo. I profughi soffrono anche dopo che essersi stabiliti nel paese di destinazione, mentre cercano di iniziare una nuova vita.

"Pensa se rischiassi di morire per fuggire dal tuo paese e, una volta arrivato, scoprissi che l'Europa è solo una grande bugia, un miraggio?", spiega la dottoressa.

A volte il trauma maggiore è proprio rendersi conto che l'Europa non è il posto dove i sogni diventano realtà. "Come puoi sopportare il fatto che in Siria eri un giornalista rispettato, che lavorava per un quotidiano nazionale, e qui finisci a pulire i piatti perché non hai diritto di lavorare? Come puoi spiegare alla tua famiglia in Uganda che non puoi spedire loro dei soldi perché in realtà non stai guadagnando niente?"

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Spesso questa "crisi da ricollocamento" viene ulteriormente peggiorata dalle interminabili procedure necessarie per ottenere lo status di rifugiato. Marzagalia spiega che le lunghe lista di attesa gettano molti migranti in un limbo di disoccupazione ed erosione dell'autostima che può facilmente scatenare la depressione a "se la religione lo permette, abuso di alcol e droga."

Il trattamento delle debolezze riconducibile a un trauma viene considerato sempre più parte costituente del piano d'azione per superare l'emergenza rifugiati. Curare il trauma è anche un modo per guardare al futuro, oltre alle richieste di asilo. Le soluzioni miopi a questi problemi possono diventare serissimi ostacoli al trattamento dei rifugiati. "Pensiamo che dovremmo dar loro solo de cibo, e un tetto sopra la testa," ha detto Marzagalia. "Dobbiamo pensare al giorno in cui i profughi ritorneranno a casa e inizieranno a ricostruire dopo aver superato i loro traumi."

Spesso, i volontari non sono stati istruiti su come trattare i sintomi del DPTS. Ciò significa che molti dei migranti non vengono aiutati finché non accade qualcosa di brutto, che potrebbe peggiorare ancora il problema. "Se i sintomi del DPTS restano ignorati, una persona potrebbe essere [inutilmente] ricoverata per tutta la vita," ha spiegato la dottoressa.

Anche la politica gioca la sua parte. La clinica etno-psichiatrica dove lavora Marzagalia è gestita da uno degli ospedali più rispettati di Milano e dell'Italia. Non nominare la struttura in questo articolo era una condizione per ottenere l'accesso. L'ospedale è amministrato dal consiglio regionale della Lombardia - notoriamente controllato dalla Lega Nord.

In uno scenario politico saturato da slogan come "Prima gli italiani" O "Fermate l'invasione", prestare aiuto ai migranti non porta buona pubblicità.

Mentre l'Europa sta affrontando gli aspetti più immediati della crisi - posti letto e cibo - ancora molto dev'essere fatto per supportare i rifugiati che arrivano nel continente. Per spiegarlo, Marzagalia fa eco a Dietrich Munz: "Dobbiamo accelerare le operazioni. Ma l'Europa, probabilmente, non è ancora pronta."

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