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inchiesta

Teste mozzate e corpi smembrati: i clan del napoletano somigliano sempre di più ai narcos

Nella periferia nord di Napoli la camorra uccide con la stessa violenza dei cartelli messicani.
Immagine: Grab via YouTube

Afragola è un piccolo paese a nord di Napoli. Deve il suo nome alle colture di fragole che fino agli anni Sessanta si estendevano nelle sterminate campagne del vecchio abitato rurale.

Oggi è uno dei centri più sovraffollati dell'intera provincia e di tutto il Sud Italia: 65mila abitanti disposti su poco meno di 18 chilometri quadrati, con una densità di popolazione superiore persino a quella di Roma.

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Afragola è anche un paese di grandi investimenti: qui, in aperta campagna, aprirà la stazione Tav definita come "la più bella d'Italia," progettata da Zaha Hadid e costata circa 86 milioni di euro.

A pochi passi da questo enorme cantiere, lo scorso 16 febbraio i poliziotti della squadra mobile di Napoli e quelli del commissariato locale hanno trovato due cadaveri, seppelliti sotto un metro di terra.

Le indagini hanno portato a identificare i loro corpi in quelli di Luigi Rusciano e Luigi Ferrara, due spacciatori locali già noti alle forze dell'ordine per vicende legate al traffico di stupefacenti e al contrabbando di sigarette.

I due erano scomparsi da circa 15 giorni, quando nel vicino Rione Salicelle, quartiere popolare fra i più degradati dell'intero hinterland, è stata ritrovata la loro automobile con la tappezzeria sporca di sangue, e i loro documenti e cellulari abbandonati sul cruscotto.

Ciò che colpisce però non è tanto il ritrovamento dei cadaveri, quanto il modo in cui sono stati ridotti: tagliati a metà all'altezza del bacino. Busto da un lato, gambe dall'altro.

Le ipotesi investigative in corso hanno evidenziato un particolare piuttosto macabro: sui corpi non sono stati ritrovati segni di violenza capaci di provocare la morte biologica di un essere umano—segno che Ferrara e Rusciano probabilmente sono stati tagliati in due con una motosega mentre erano ancora vivi.

Violenza esibita, violenza mirata

La ferocia dei clan a nord di Napoli, dalle periferie di Secondigliano e Scampia fino ai confini con la provincia di Caserta, si è sempre espressa tramite atti di violenza eclatante, ma mirata.

A differenza delle "paranze" del centro storico, che impongono il loro dominio tramite azioni dimostrative come le "stese", la camorra della periferia nord raramente si espone con atti intimidatori di carattere esibizionista e paraterroristico.

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"Si tratta di una camorra che controlla le azioni, più che le persone," spiega a VICE News Maria Saccardo, referente di Libera a Casoria e Afragola.

"Viceversa, nel centro storico di Napoli, nel Rione Sanità come a Forcella, c'è un'organizzazione criminale che controlla i quartieri strada per strada, marciapiede per marciapiede."

"Può capitare che qualcuno, mentre sta camminando per fatti suoi, venga fermato da persone che gli chiedono dove si stia recando o chi stia andando a trovare, solo perché ha una faccia 'forestiera' e non conosciuta nel rione. Nella zona della periferia nord, invece, questo non succede. È una camorra che agisce per atti dimostrativi e simbolici."

Leggi anche: Come il Rione Sanità è diventato la palestra della camorra

Controllare le azioni significa, tra le altre cose, stare attenti al fatto che qualcuno non sconfini nei settori d'attività dei capi storici.

Sei libero di camminare in strada, senza che per questo qualcuno ti fermi chiedendo conto della tua destinazione. L'importante è non mettersi in concorrenza con chi ha già il controllo sugli affari leciti e illeciti di quel territorio. Solo in quest'ultimo caso entrano in azione i killer. E quegli atti dimostrativi e simbolici di cui parla Saccardo.

Atti che portano spesso il segno di una violenza mostruosa, simile a quella esibita dai cartelli della droga messicani o colombiani.

La faida dei 'morti carbonizzati'

Il paragone non è—ovviamente—da intendere in senso quantitativo: in Messico, nel solo anno 2011, sono state uccise 24.068 persone legate al traffico di stupefacenti—numeri enormemente più alti rispetto all'area che va da Scampia a Giugliano, passando per Afragola, Casoria, Frattamaggiore, Sant'Antimo, Melito, Mugnano.

Il confronto regge sulle modalità violente e—per l'appunto—simboliche di esecuzione.

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Tra febbraio e aprile 2014 era scoppiata la cosiddetta faida dei 'morti carbonizzati'. Una lotta che coinvolse gli scissionisti di Scampia e gli alleati del Rione Salicelle, contrapposti alle forze storiche della camorra afragolese: quella dei Moccia, che da decenni gestisce il traffico di droga, il contrabbando di sigarette e le estorsioni ai danni dei negozianti di Afragola e zone limitrofe.

"Nel centro storico di Napoli, può capitare che qualcuno, mentre sta camminando per fatti suoi, venga fermato da persone che gli chiedono dove si stia andando solo perché ha una faccia 'forestiera'. Nella zona della periferia nord, invece, questo non succede. È una camorra che agisce per atti dimostrativi".

Antonio Iavarone, Vincenzo Montino, Ciro Scarpa, Aniello Ambrosio, Stefano Forte: questi erano i nomi di cinque affiliati del clan Moccia uccisi dagli scissionisti, con i corpi dati alle fiamme e abbandonati nelle campagne tra Varcaturo (frazione di Giugliano), Grumo Nevano e Casandrino.

Al fuoco degli scissionisti rispose quello dei Moccia: sempre tra febbraio e aprile vennero uccisi Ciro Casone, Gennaro Caliendo, Francesco Fattorusso e Mattia Iavarone, tutti e quattro coinvolti nel traffico di stupefacenti e nel racket delle estorsioni per conto dei clan di Scampia.

Anche stavolta i corpi vengono trovati carbonizzati.

Si tratta di un'esibizione di violenza autocompiaciuta che vuole essere d'esempio agli avversari o a chi non riga dritto all'interno di un clan?

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"Gli omicidi della faida dei morti carbonizzati ripetevano il modus operandi della faida di Secondigliano, quella avvenuta tra il 2004 e il 2005," dice a VICE News il magistrato Giovanni Corona, sostituto procuratore al tribunale di Napoli nord.

"Il clan Di Lauro, in quegli anni, dava fuoco ai cadaveri per scopi sia pratici che simbolici. Bisognava, infatti, rallentare l'identificazione del cadavere e, di conseguenza, le indagini. Il fuoco era però utilizzato anche per far comprendere ai loro avversari che su quel territorio, in quella specifica zona, non ci potevano proprio stare. Dovevano letteralmente sparire."

La lunga scia di sangue

Corona ci aiuta a risalire nel tempo, lungo il filo di sangue che collega le faide della periferia nord di Napoli.

A cavallo fra il 2004 e il 2005, come accennato dal procuratore, si consumò una delle più sanguinose: quella fra il clan Di Lauro, egemone nella zona di Scampia, e gli scissionisti, giovani "rampolli" pronti a tutto pur di scavalcare i vecchi capi e riscrivere le regole dello spaccio di stupefacenti a Napoli, come in altre zone d'Italia e d'Europa.

Un giro d'affari enorme che arrivava fino alla Spagna—dove nel febbraio 2009 fu arrestato Raffaele Amato, considerato il capo della fazione scissionista.

Anche in quel caso, come sottolineato dal pm Corona, gli omicidi avevano una forte carica di violenza simbolica. Un deterrente per chi non era autorizzato a gestire i flussi di stupefacenti che quotidianamente passavano fra le Vele e le case popolari di Scampia.

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Il 21 novembre 2004 venne trovato un corpo bruciato all'interno di un'auto. Una ragazza di 22 anni, Gelsomina Verde, fu torturata per ore in un sottoscala, poi uccisa con tre colpi di pistola e carbonizzata.

Mesi prima della sua uccisione, aveva stretto un breve rapporto sentimentale con uno degli scissionisti, Gennaro Notturno—ragazzo col quale aveva poi interrotto ogni tipo di relazione.

Il 21 gennaio 2005, sempre a Scampia, venne ritrovato un corpo carbonizzato all'interno di una Volkswagen Passat. Si trattava di Giulio Ruggiero, affiliato al clan Di Lauro, anche lui con segni di torture su quel che rimaneva del corpo.

Particolare ulteriore: la testa era stata tagliata e poggiata metaforicamente sui glutei.

Solo due esempi, fra i più significativi, per mostrare ai rispettivi avversari cosa aspettava loro in caso di "sgarro".

"La camorra dell'area Nord è violenta ma non stupida," dice Maria Saccardo. "Quando le condizioni lo richiedono, sanno che possono utilizzare ben altre armi, come la delegittimazione."

"A noi è capitato di organizzare manifestazioni partecipatissime, come quelle contro il racket e le estorsioni imposte ai commercianti. Il giorno dopo, su alcuni giornali locali, uscivano articoli sulla 'cittadinanza assente' e sul fatto che al corteo avrebbero partecipato solo i ragazzi delle scuole. Come se i ragazzi delle scuole non fossero anche loro parte della cittadinanza."

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Macelleria messicana

La messicanizzazione dei clan del napoletano, parafrasando una terminologia utilizzata dall'economista Alberto Forchielli, si esprime nelle sue evoluzioni più violente quando si tratta di ridefinire equilibri di potere o punire comportamenti ritenuti non accettabili.

Nel luglio 2007, come ricostruito pochi giorni fa dalla Dda di Napoli, due affiliati al clan degli scissionisti, Massimo Frascogna e Lazzaro Ruggiero, furono ammazzati, i cadaveri seppelliti in una fossa, riesumati dopo tre anni e poi sciolti nell'acido.

Motivo: molestavano le ragazze per strada, a Mugnano.

Un "codice morale" che sottolinea come i clan dell'area nord, pur nei loro accessi di violenza feroce, tendano a farsi notare poco nel tessuto sociale, a differenza di quelli che gravitano nel centro storico di Napoli.

La vita di chi abita l'area nord è condizionata in modo più indiretto rispetto a chi risiede tra i vicoli e i fondaci del Rione Sanità o Forcella. Una camorra "invisibile" ma, allo stesso tempo, feroce e risoluta, capace di muoversi sottotraccia nonostante i cadaveri carbonizzati, sciolti nell'acido o segati in due.

"Il clan Di Lauro, in quegli anni, dava fuoco ai cadaveri per scopi sia pratici che simbolici: bisognava rallentare l'identificazione del cadavere, ma era anche per far comprendere agli avversari che su quel territorio non ci potevano proprio stare. Dovevano letteralmente sparire".

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"Controllare le azioni significa anche questo," conclude Saccardo: "Significa far attenzione al fatto che uno spacciatore non si metta a operare troppo vicino alle scuole; significa far in modo che gli affiliati non assumano comportamenti che possano in qualche modo ledere gli affari del clan."

Significa, in due parole, badare ai cani sciolti. Far sì che nulla sfugga al controllo dei capiclan, compresi atteggiamenti troppo "fuori le righe" che possano attirare l'attenzione degli investigatori, o minare una sotterranea pax sociale che si vuole imporre attraverso la propria reputazione—più che con l'esibizione diretta e "sbruffona" di un arsenale armato.

È una violenza feroce, ma mirata, che si ripete con la precisione di clan che non lasciano nulla al caso, sia in periodi di relativa calma, sia in tempi di guerra.

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