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Musica

Enzo Dong, il rapper che ha capito come diventare meme

Enzo ha capito che per avere successo, a volte, devi regalare orologi falsi, bloccare il traffico, fare un pezzo con Fedez: abbiamo trascorso una giornata con lui.

Marzo 2019. Smokepurrp, uno dei rapper più famosi della generazione SoundCloud, si esibisce per la prima volta a Milano. Nel backstage, Enzo Dong gli regala un orologio falso.

"È stato micidiale", ricorda, "Lui era tutto con i buttafuori, non si faceva avvicinare da nessuno. Io gli faccio my friend, this is my gift for you! Lui è saltato, è impazzito, mi ha abbracciato, abbiamo fatto una storia…"

Aprile 2019. Smokepurrp posta una story in cui spacca un orologio, che tanto che cazzo gliene frega? È pieno di soldi. Solo che quello è l'orologio di Enzo Dong. Lui risponde: spacca due orologi da cucina, chiede a tutti i suoi fan di commentare con "fakepurrp" e una bandiera italiana. Li aizza con un video della nazionale che canta l'inno di Mameli.

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"Mi ha bloccato prima i commenti sotto al post e poi mi ha bloccato su Instagram", continua Enzo. "Non vedevo l’ora! Ho aperto la bottiglia di champagne, c’era mio padre che brindava insieme a me come se fosse capodanno!"

"Smokepurrp ha bloccato prima i commenti sotto al post e poi mi ha bloccato su Instagram", continua Enzo. "Non vedevo l’ora!"

Viviamo in tempi un po' buffi in cui il valore percepito di una cosa sta anche nel quanto se ne parla. La musica non fa eccezione e, nella costante gara per le nostre attenzioni frammentarie, è tutta una battaglia a inventarsi modi per comparire nei feed delle persone e poi restarci. Ed Enzo Dong è stato il migliore, negli anni della Nuova Scuola, a fare questa cosa qua.

È un pattern cominciato con "Secondigliano Regna", il singolo che ha di fatto dato inizio al percorso che lo ha portato fino a qua, seduto davanti a me, in una piazza di Rozzano. Erano gli anni di Gomorra, la serie TV che aveva riacceso in mezzo mondo emozioni positive e negative nei confronti di Napoli, Scampia, Secondigliano e delle Vele.

Enzo, da lì, ci veniva. Dal Rione Don Guanella, esattamente, giusto lì accanto. Fece la comparsa in una puntata e un suo pezzo venne inserito nella serie. Decise, come tanti rapper fanno, di parlare di orgoglio di quartiere—quel luogo, dice con l'acronimo che è il suo cognome da artista, "dove ognuno nasce giudicato".

Erano gli anni di Gomorra, la serie TV che aveva riacceso in mezzo mondo emozioni positive e negative nei confronti di Scampia. Enzo, da lì, ci veniva.

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Sulla forza di quel singolo ero andato a trovarlo proprio lì, a Secondigliano. Era agosto 2016. Mi aveva accolto alla metro di Piscinola e mi aveva portato in una Vela, nell'appartamento di suo cugino Ceru. Mi aveva raccontato dell'impatto che quella serie stava avendo sulla sua vita, sulla sua gente. Mi sembrava felice e orgoglioso, punta più a sud della geografia della Nuova Scuola del rap italiano.

Avevamo parlato della sua famiglia, di suo padre che lavorava all'estero, dei modi in cui si arrangiava per tirare avanti e pagare l'affitto. Quando gli avevo chiesto dei suoi piani futuri, lui mi aveva detto che avrebbe chiuso a breve il suo primo mixtape. Perché si fa così, no? Si fanno i singoli, poi il tape, poi l'album. No?

Ecco, no. Quel mixtape non è mai arrivato. L'album invece sì, ma quattro anni dopo. Una follia, secondo gli standard del mercato. E invece eccoci qua, a parlare di questa cosa intitolata Dio perdona io no, il suo esordio. "L’ho iniziato un anno fa", mi spiega, "ma l'ho annunciato quando non avevo fuori nemmeno una traccia. Preso dall’euforia di 'Higuain' e 'Italia Uno' ero uscito con un 'Presto fuori il mio disco', così! Senza aver fatto ancora niente!"

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E però Enzo è rimasto lì, nei feed e nelle storie. Perché fa tante cose, e la musica è solo una di quelle. Alcune sono bravate alla Amici Miei in versione partenopea, come quella volta che ha usato una finta sirena della polizia per passare in mezzo a un ingorgo. O quella in cui ci ha rubato un Mac in redazione. Altre sono screzi, incontri, scherzi: tutta valuta corrente per i media di oggi.

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Altre ancora, invece, sono hit. La più riuscita è "Higuain", un remix di "Pick Up The Phone" di Travis Scott che usava il trasferimento calcistico più sentito della storia recente di Napoli per parlare di traditori. C'era stata "Italia Uno", che usava uno dei più grandi meme pre-internet del nostro immaginario collettivo e aveva come beat la suoneria dell'iPhone. "Gucci Rubate" prendeva per il culo Lil Pump e la sua superhit "Gucci Gang".

Che poi, non che ce ne siano tante altre da citare. Tra il 2016 e il 2019 Enzo ha fatto qualche video, qualche featuring, qualche intervista. Aveva annunciato il disco, certo, ma la sua attesa era diventata lei stessa un meme. Quando poi è arrivato davvero, Enzo lo ha annunciato bloccando una strada.

"Mi chiedono perché devo bloccare la strada per annunciare il disco? Se non hai personalità non è colpa mia. Non è hype, questa è personalità."

"La personalità è una cosa su cui lavoro molto", mi spiega Enzo quando gli chiedo di questa cosa qua, dell'essere bravo a far parlare di sé. "Mi domando sempre chi sono, cosa faccio, cosa penso. E devo esternarlo, non posso inventarmi niente. Automaticamente arrivano poi i riscontri, la gente dice che faccio solo hype. Mi chiedono perché devo bloccare la strada per annunciare il disco, ma se non hai personalità non è colpa mia. Non è hype, questa è personalità."

Mentre parliamo, un signore ci interrompe per chiederci dove sono gli uffici dell'ALER, l'agenzia comunale che gestisce le case popolari a Milano e provincia. Scatta la seguente conversazione.

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Enzo Dong: Come stai?
Signore: Di merda, incazzato nero. Sono venuti a casa mia, hanno montato il balcone male, è tutto storto, hanno spaccato uno stendino e rotto le piastrelle.
Enzo Dong: Succede, bro.
Signore: Succede, a me invece succede di dargli un pugno sulla testa. Bella zio!

Enzo mi spiega di conoscerlo: è un signore che vive qua in zona e lo ha conosciuto quando era venuto per la prima volta a Rozzano, anni prima, a tagliarsi i capelli. Dopo un po' ritorna e gli chiede come si chiama, così lo avrebbe seguito su Instagram. Enzo risponde: "Sfera Ebbasta! È appena uscito il mio disco, Rockstar". È vero che gli viene naturale.

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Le canzoni di Dio perdona io no sono inframmezzate da skit, cosa piuttosto rara in un disco rap italiano del 2019. In uno, Enzo entra in casa della Dark Polo Gang per rubargli le collane. In un altro ancora, la voce di suo cugino Ceru avvisa l'ascoltatore che "il disco contiene un microchip: sappiamo dove sei, dove lo stai ascoltando, se è stato scaricato illegalmente o ascoltato il giorno prima della sua uscita. Modera i termini o stanotte gli amici di Enzo Dong verranno a svaligiarti la casa. Buon proseguimento, e buon ascolto."

Sono cazzate, ma fino a un certo punto. Ci dicono, innanzitutto, che Enzo non riesce a non intrattenere. Che la sua identità è quella del mariuolo simpatico, del rompiscatole che vuole farsi amare. E poi ci dicono che Enzo ha voluto fare un disco, e non una serie di canzoni, e per farlo ci ha messo dentro davvero sé stesso. Cioè una persona capace di chiamare pezzi "YouPorn" o "Spotify". Di namedroppare senza soluzione di continuità artisti, luoghi e personaggi dello spettacolo. Di fare sparate come "Il mio disco, fra, è talmente atteso / Che mi sembra frate più il disco di Marra". Ma anche di farti venire i brividi.

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"Il successo ci ha portati ad essere soli e un po’ separati, siamo più distaccati rispetto a prima. Ho parlato della sofferenza che ho avuto nel vedere di nuovo la scena di nuovo divisa, oggi."

Prendiamo "Limousine", collaborazione con Tedua. Nel giro di trenta secondi ti butta addosso un sacco di cose. Il ricordo di un passato scomparso: "Io sto ancora nel quartiere dove siam cresciuti ma non ti trovo / Ci eravamo promessi di stare insieme alla fine di tutto". E poi, dal nulla, il dolore della cronaca: "Questo pezzo, fra', lo voglio dedicare ai ragazzi di Genova / Quei ragazzi che erano sul ponte che adesso c'hanno l'aureola". Infine, la narrazione personale: "Io piango nella limo' / Chi mi era amico tra i miei amici non è più mio amico."

"La cosa su Genova mi è uscita proprio dal cuore", mi spiega Enzo, "è stata proprio la prima frase che mi è venuta appena è partito il beat. Tedua lo conosco dagli inizi, quando Izi scese insieme a lui a Scampia a girare il video di 'La tua ora.' È stato a casa mia, andava in giro per il quartiere da solo, si perdeva ogni tanto… conoscendolo dagli inizi, mi è venuto spontaneo di parlare dell’amicizia. Il successo ci ha portati ad essere soli e un po’ separati, siamo più distaccati rispetto a prima. Ho parlato della sofferenza che ho avuto nel vedere di nuovo la scena di nuovo divisa, oggi."

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Perché soffre anche, Enzo. Fa i video ai culi, fa le gag, certo. Però sembra davvero frustrato quando rappa "Fra, sto chiuso in casa a chiudere il disco, mi sembrano i domiciliari." Gli chiedo di spiegarmi come si sentiva: "Non potevo fare più niente in quel periodo. Sapevo che il mio pubblico stava aspettando da una vita e non potevo fare altro che scrivere. Ma il blocco lo risolvi soltanto vivendo esperienze e prendendo appunti. 'Oi mà' è nata perché è arrivato il mio DJ in un pub, una sera, e mi ha detto 'Mammà non ha cucinat'. Ed era una cosa che ho sentito mia, ed è diventata una frase di un pezzo."

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Enzo sorride, e continua: "Ci sono giorni che lo perdo, il sorriso. Ma cerco di aiutarmi da solo, di ricordarmi da dove vengo. Non ho ancora raggiunto tutti i miei obiettivi ma sono partito da zero, dal Don Guanella a Secondigliano. Non ho mai avuto nessuna spinta e nessun occhio di riguardo. Essere arrivato a far parte della scena, trovarmi nel locale con dei personaggi… sono stronzate. Però per me avere una traccia con Fedez o con Fabri Fibra è tanto."

"Essere arrivato a far parte della scena, trovarmi nel locale con dei personaggi… sono stronzate. Però per me avere una traccia con Fedez o con Fabri Fibra è tanto."

Penso che parole come queste dicano molto di Enzo. Sa benissimo che una story, un tag, una conoscenza, valgono quel che valgono. Ma sono tanto, e sono così importanti che entrano nel tessuto della sua musica, e diventano il namedropping e i featuring. E possono diventare anche così ingombranti da alienare parte della sua fanbase.

Mentre annunciava gli ospiti del disco, infatti, Enzo si è visto arrivare un sacco di feedback negativo sotto alla sua foto con Fedez. La loro collaborazione, "Dallo psicologo", riprende le tematiche e le sonorità del suo ultimo album Paranoia Airlines—una scelta sensata, dato che nel testo Enzo si immagina di vivere la vita del suo compagno di traccia, ma che magari rischia di alienare buona parte della sua fanbase?

"Le reazioni al feat le vivo bene, non ci faccio neanche caso", dice lui, "Ho ricevuto molti messaggi da gente che diceva di odiarmi e di essersi ricreduta dopo aver ascoltato il disco. È dove ognuno nasce giudicato, bro. La gente deve sbattere la faccia al muro per capire di che pasta sono fatte le cose."

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È un tema che torna spesso nel disco, questo dell'incomprensione. Enzo tira in mezzo quella volta che Roberto Saviano scambiò una bandiera che aveva in mano per una bandiera dell'ISIS, dandogli per estensione del terrorista. Cita media musicali e scherza sulle loro opinioni, già sicuro che non verrà capito. Si rivolge a ragazze che lo hanno tradito o che, ne è sicuro, lo tradiranno.

Enzo proietta la propria immagine sulle reazioni degli altri, mi sembra. Continua a rivolgersi all'esterno per trovare qualcosa al suo interno. Tagga tutti, parla con tutti, cita tutti. E per dare carburante al suo rap, come fanno molti dei suoi colleghi, trova nemici e serpi da cui stare lontano. E però li usa per auto-definirsi. Ma perché lo fa?

"Le citazioni che faccio sono sempre in chiave ironica," spiega, "non ho mai attaccato gratuitamente nessuno. Un po’ alla Eminem o alla DaBaby. Artisti che hanno una vena del ghetto, simpatica, che deve venire fuori. Ti vedono che fai il cazzaro sul bidone dell’immondizia come nel video di 'Higuain' e dicono 'oh, ma quello è un coglione.' Però non sanno che c’è un messaggio di fondo, no?"

"Ti vedono che fai il cazzaro sul bidone dell’immondizia come nel video di 'Higuain' e dicono 'oh, ma quello è un coglione.' Però non sanno che c’è un messaggio di fondo, no?"

E ha ragione, Enzo, perché il messaggio c'è. Il principale è il più semplice, ed è il padre di tutti i messaggi del rap: sono partito da niente e ora sono qua. “Io torno a scuola solo per sputare in faccia alla prof", rappa, e racconta: "Alle elementari avevo una maestra che si era fissata su di me e mi offendeva. Una volta mi chiamò alla lavagna solo per dirmi che ero un animale e lo sarei restato per sempre."

Oppure: ce l’ho con lo stato perché qua sotto non cambia neanche una virgola. Gli chiedo cosa. intende, e lui mi fa l'esempio del ragazzo che ha interrotto la nostra conversazione qualche minuto prima: "Vedi, è arrivato lui che gli hanno sbagliato a fabbricare il balcone… c’è proprio un abbandono verso le persone di periferia. A Scampia ci sentiamo abbandonati, siamo stati messi là e fine. Sulla metropolitana sono riusciti a terminarla, dopo vent’anni. L’hanno finita oggi, e chissà quanti soldi si sono mangiati intanto."

Oppure, ancora: non fumo più le canne perché hanno ucciso il mio rapper preferito. "Stavo pensando a Mac Miller", spiega, "Avendo fumato solo canne, ho citato quelle. Ma non mi faccio ammazzare proprio da nessuna sostanza. Grazie a Dio mi allontano totalmente dagli eccessi e voglio suggerire anche ai miei fan di farlo, non è che se i rapper fumano o si bevono la lean devono farlo anche loro. Io sono un rapper pulitissimo. Non ho un tatuaggio. Anche se magari la gente mi può etichettare come il criminale, lo spacciatore, il drogato."

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Visto? Mentre gli chiedo di spiegarmi il contenuto delle sue barre, Enzo tocca le reazioni degli altri. Il criminale, lo spacciatore, il drogato. È come se sentirsi sotto attacco fosse parte fondante della sua identità. E questo gli fa bene perché, come ci insegnano i nostri tempi, visualizzazioni, streaming, tag e commenti non hanno colore. Valgono uguale, qualsiasi sia il motivo della loro nascita.

È nei momenti più intimi, però, che Enzo tira fuori il suo valore. Quello che gli potrà permettere di restare nei nostri feed, nelle nostre storie, ma anche e soprattutto nelle nostre orecchie. Nella languida nostalgia di "Limousine". Nell'esuberanza dei suoi skit. Nei piccoli momenti di vera debolezza. E soprattutto in "Domani si muore", il pezzo che chiude il disco e termina con una dedica alla nonna, che lo ha cresciuto in un periodo di assenza della madre dopo il divorzio dei suoi.

"Mi ha insegnato ad avere sempre una speranza. L’ho persa di recente, due anni fa. Era sempre preoccupata per me, per il mio futuro. Mi voleva dottore, avvocato, poliziotto… io poliziotto? Mai! Comunque, le ho dedicato l’album perché volevo farle vedere di persona quello che sto riuscendo a fare oggi." Elia è su Instagram. Segui Noisey su Instagram, Twitter e Facebook.