Perché il Roadburn è il miglior festival metal d'Europa?
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Perché il Roadburn è il miglior festival metal d'Europa?

Ci siamo andati e abbiamo scoperto che è molto di più di un palco in un autodromo con fuori le tende sulla ghiaia.

Il Roadburn Festival venne alla luce in Olanda negli ormai lontani anni Novanta, ma è solo dalla seconda metà degli anni Zero che, attraverso una crescita graduale ma costante, si sono via via delineate in modo definitivo le peculiarità che oggi lo contraddistinguono e ne fanno una delle mete più agognate da parte di tutto il sottobosco di appassionati di musica estrema. "Estrema" in qualunque sua forma e variante, perché definire un evento di questo calibro un semplice "festival metal" sarebbe del tutto sbagliato e limitante. Nata come semplice cartellone orientato a stoner, doom e sotto-micro-categorie contigue, nel corso degli anni la creatura di Walter Hoeijmakers si è evoluta fino ad assumere i tratti leggendari che oggi ne fanno un unicum planetario: quattro giorni, cinque palchi, un cinema, sessioni di ascolto in anteprima, panel di discussione con artisti e addetti ai lavori, artisti "resident" che da giovedì a domenica scorrazzano avanti e indietro parlando con i fan e godendosi le esibizioni dei loro colleghi e addirittura una fanzine cartacea giornaliera che viene distribuita liberamente e gratuitamente tutte le mattine davanti al locale principale. Anni Novanta mes amours.

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Poco lontano da Eindhoven, ogni aprile si crea un luogo di ritrovo per i roadburners di tutto il mondo: da giovedì a domenica, più o meno quattromila persone si riversano nella cittadina universitaria di Tilburg, già patria del fu Neurotic Deathfest, oggi Netherlands Deathfest, altro notevole appuntamento annuale, oltre che di uno spropositato quantitativo di concerti di ogni tipo per tutto l'arco dei dodici mesi. Cosa spinga questi matti, spesso barbuti e capelloni, a rinchiudersi in locali bui per dodici ore al giorno quattro giorni di fila nei primi giorni di primavera è difficile da spiegare. La risposta è una somma di tantissimi elementi differenti che nella musica vedono la propria matrice comune e massima espressione, ma che in questa non si esauriscono. Perché quello che rende il Roadburn speciale è come tutti questi elementi, formalmente così distanti tra loro, trovino a Tilburg un perfetto equilibrio: in una parola, l'atmosfera.

oathbreaker live roadburn festival 2017 netherlands

Oathbreaker.

L'atmosfera indescrivibile di un evento che, per quattro giorni, riesce a far convivere in un tranquillo paesone nel cuore d'Europa il black metal intransigente dei Wolves In The Throne Room, lo sludge con flauti e violini dei Subrosa, il cantautorato oscuro di Chelsea Wolfe e quello sognante di Emma Ruth Rundle, il rock sessantiano dei Coven e quello settantiano dei Gong, l'elettronica nobile degli Ulver e dei Trans AM e quella truzza di Perturbator, e tanto altro. Potrei continuare per ore ed ore, perché ormai la rassegna di Tilburg coinvolge chiunque abbia una valenza artistica, ma il risultato più notevole di un simile marasma di artisti e proposte è che nessuno, davvero nessuno risulta mai fuori contesto. La giornata può alternare senza soluzione di continuità l'hip-hop dei Dälek e il noise sperimentale di Gnaw Their Tongues, passando per lo stoner di campagna dei Pontiak, e tutto è sempre e comunque contestualizzato, perfettamente integrato all'interno del cartellone. Una convivenza assolutamente naturale, spontanea e mai forzata, che lascia spazio a tutti e dove chiunque potrà trovare qualcosa di cui cibarsi musicalmente. Ma anche letteralmente, visto che gli immancabili chioschetti del cibo attorno ai locali dove si svolge il festival vanno dal classico hamburgerone (lo zozzissimo "Porn Burger") alla cucina thai a quella vegana (!), per i metallari più sensibili alle tematiche alimentari, o forse solo attenti alla linea.

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Come se la varietà da capogiro non fosse di per sé sufficiente motivo di vanto, altra peculiarità del Roadburn Festival è quella di offrire sempre "occasioni speciali": gruppi che si esibiscono con performance particolari, suonando setlist specifiche e spesso uniche, altri che rimangono nei paraggi tutti e quattro i giorni e collaborano con i colleghi su e giù dal palco. Qualche esempio dell'edizione appena conclusa: i Coven, il cui debutto avvenne nel 1968, si sono esibiti in Europa per la prima volta, mentre gli Ahab hanno suonato interamente il proprio debutto The Call Of The Wretched Sea, che ha da poco tagliato il traguardo dei dieci anni dalla pubblicazione. I Subrosa hanno suonato sia giovedì che venerdì con due setlist differenti, la prima delle quali prevedeva la riproposizione completa del recente For This We Fought The Battle Of Ages, mentre gli Ulver hanno presentato dal vivo per la prima volta The Assassination Of Julius Caesar, rilasciato pochi giorni fa; gli inglesi Warning, dal canto loro, dopo quasi dieci anni di inattività hanno deciso di tornare a calcare le scene, e per farlo hanno scelto proprio la cornice dello 013.

amenra live roadburn festival 2017

Amenra.

Lo 013 poi, principale teatro dello spettacolo Roadburn, merita a sua volta di essere elogiato: tra i locali per musica dal vivo più grandi d'Europa, contiene due palchi, il Main Stage e la Green Room, e offre un'acustica semplicemente ottima, che noi italiani possiamo a stento concepire nei nostri sogni più bagnati. La venue olandese tuttavia non si limita a questo, ospitando anche nel suo seminterrato un piccolo bar all'interno del quale si tengono i panel di discussione con gli addetti ai lavori e le band. Quest'anno, a tu per tu con i roadburners ci sono stati, tra gli altri, nientemeno che i My Dying Bride e il curatore dell'edizione corrente, John Dyer Baizley, mastermind dei Baroness. Il che porta a un'altra unicità del festival: l'individuazione ogni anno di un curatore differente, il quale ha a disposizione una giornata di slot del Main Stage e una dell'Het Patronaat (un altro locale molto particolare, ci arrivo tra poco) da "riempire" a sua personalissima, completa e totale discrezione. In buona sostanza, una figura che funge da co-direttore artistico e che chiama a suonare gli artisti che più lo aggradano, e ovviamente si esprime in prima persona con la sua band. Nel caso di Baizley, che oltre ad essere un musicista è anche un illustratore particolarmente dotato, i suoi dipinti hanno fatto parte di un altro side event organizzato dallo staff del Roadburn, ossia la mostra Full Bleed, all'interno della quale venivano esposti i lavori del collettivo Burlesque Of North America, Jacob Bannon (sì, il cantante dei Converge), Becky Cloonan (già collaboratrice alle grafiche del Roadburn nella precedente edizione, ma soprattutto illustratrice per DC Comics e Image) e altri ancora.

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Tornando al ruolo di curatore svolto egregiamente da Baizley, il momento indimenticabile del 2017 è stato sicuramente quando, con gli Amenra nel pieno della loro esibizione, è salito sul palco imbracciando la chitarra e ha suonato "Nowena" assieme alla band e a un altro ospite, stavolta alla voce: Scott Kelly dei Neurosis. Cose che si possono vedere solo al Roadburn e che ti porti dentro per il resto dei tuoi giorni.

Inter Arma all'Het Patronaat.

Così come solo al Roadburn puoi vedere degli artisti esibirsi su un palco come quello dell'Het Patronaat, cui accennavo poco sopra. Con una sala della capienza di circa seicentocinquanta persone, è il secondo locale più grande del festival, nonché una chiesa sconsacrata. L'abside oggi ospita il palco, le navate cullano i metallari inneggianti al Maligno, e i santi guardano impotenti dall'alto dei loro faccioni dipinti sulle vetrate laterali. O forse non proprio così impotenti, visto che mentre Zeal & Ardor suonava tutto il suo debutto Devil Is Fine l'impianto audio è collassato lasciando gli artisti in braghe di tela per un'ora buona. Qualche alto papavero dal paradiso ci ha provato a sabotare la festa, ma nulla di grave, giusto un po' di ritardo, poi i pentacoli sui tastieroni di Perturbator hanno fatto bella mostra di sé mentre tra le spesse mura di pietra un tempo erette per avvicinarsi a Dio i roadburners ballavano a ritmo di synthwave.

Gli stessi che esattamente ventiquattro ore prima seguivano attentamente la liturgia dei polacchi Batuskha, che per riproporre completamente il proprio (per ora unico) album in studio si sono presentati incappucciati, in tonaca, a cantare le loro litanie di religione ortodossa, dispensando addirittura una benedizione a fine concerto e lavando me e il mio vicino con quella che presumo volesse essere acqua santa - e magari lo era davvero. Cosa c'è di più adatto per una band simile di esibirsi in una chiesa sconsacrata? Certo, per gustarmi il concerto in prima fila ho dovuto fare più o meno un'ora a girarmi i pollici davanti al palco, perché nonostante tutte le cose bellissime che offre nemmeno il Roadburn è privo di difetti: i palchi secondari sono eccessivamente piccoli rispetto alle dimensioni dello 013, e possono ospitare poche centinaia (addirittura decine, nel caso dei due piccoli pub Extase e Cul De Sac) di spettatori, e l'unico modo per essere certi di entrare e piazzarsi in buona posizione è arrivare in loco con grande anticipo.

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batushka live roadburn festival 2017

Batushka.

In queste giornate capita davvero di tutto, e tra gli eventi e le code che questi creano il tempo a disposizione non è affatto sufficiente per avere un assaggio di tutte le attività che il festival propone, il che significa che ci si trova spesso davanti a scelte terribili: che band vedere e quali esibizioni sacrificare? Partecipare all'ascolto in anteprima di un disco o seguire un panel di discussione? Kentucky Fried Chicken o kebab? Seitan o falafel? Ogni scelta comporta necessariamente una rinuncia, il che per me ha significato, per esempio, perdermi il progetto parallelo di Jacob Bannon, Wear Your Wounds, a favore dei Memoriam, il gruppo che alcuni ex-membri di Bolt Thrower e Benediction hanno fondato in memoria del prematuramente scomparso Martin "Kiddie" Kearns. Scegliere di vedere lo show dei Subrosa nella sua interezza, invece, ha significato perdermi la presentazione di un documentario dedicato agli Amenra prodotto da Noisey. E per vedere l'intera setlist sperimentale di Dylan Carson (Earth) e Kevin "The Bug" Martin (produttore hip-hop londinese) ho mancato l'appuntamento con la sessione di ascolto in anteprima di There Is A Place Called Home, nuova fatica di Costin Chioreanu.

Proprio Costin Chioreanu merita a sua volta una menzione: simpaticissimo trentacinquenne romeno, negli ultimi anni si è fatto notare in modo sempre più preminente grazie alle sue abilità di illustratore, che gli hanno fruttato commesse per gruppi di portata mondiale. Sua era la copertina dell'ultimo disco in studio degli At The Gates, sue erano le grafiche che scorrevano sul megaschermo del Main Stage durante il concerto dei My Dying Bride, e la lista si fa ogni giorno più lunga. "Collaboratore esterno" del Roadburn, per quattro giorni è rimasto a completa disposizione, tra un impegno e l'altro, e non ha mai rinunciato a fare due chiacchiere. Prima o poi dovrò farmi perdonare per aver saltato la sua listening session.

Memoriam.

Oltre alle chiacchiere con gli artisti, altrettanto divertente è confrontarsi con gli altri partecipanti, e mi sono divertito a rivolgere ad alcuni conoscenti e amici una domanda specifica: cosa rende speciale il Roadburn? Le risposte sono variegate e variopinte. Simone, redattore di MetalItalia, dice che "la cosa speciale del Roadburn Festival è che per quanta musica underground ascolti, ci sarà sempre un gran numero di band che non ho mai sentito e che live vedrei (forse) tra anni. Questo piacere della scoperta, e l'atmosfera easy priva di etichette, generi, fan imbruttiti sono le cose che adoro". Michele, mio fidato compagno di viaggio, ha una lista lunga: "la line up eterogenea che riesce a sposare in maniera commovente il mio elastico mentale riferibile alla musica pesante anzichenò, one-time-only performance, collaborazioni tra gli artisti presenti che non si limitano a 'ti raggiungo sul palco per un ritornello insieme', il piacere della scoperta di qualcosa di nuovo (e sì che a una certa età, dopo tanti anni da ascoltatore, desta sempre grande impressione riuscire ad emozionarsi ancora per qualcosa che fino a un minuto prima non si conosceva), l'età media più alta rispetto ai classici festival di settore, con la conseguente possibilità di godersi i concerti e in generale l'esperienza festivaliera nella massima serenità e civiltà e, last but forse molto important solo che non lo confesso neanche a me stesso, NIENTE TENDA CAZZO!" Ma la risposta più bella, più sostanziale e indubbiamente più sintetica me l'ha data Omid. Perché va al Roadburn, maestro? "PERCHÉ STO MALÆ E VOGLIO STARE PÆEJJØ". Sipario. Applausi. Arrivederci all'anno prossimo. Post-scriptum per una precisazione doverosa. Noisey è anche partner del Roadburn, ma prima che le malelingue inizino a parlare di marchette e aziendalismo, la cosa non ha influito minimamente sulla mia esperienza. Io al festival ci sono andato da spettatore pagante, a.k.a. stronzo qualunque, e tutto ciò che avete letto è vivibile sulla pelle di qualunque partecipante. Andrea è uno dei Lord di Aristocrazia Webzine. Segui Noisey su Twitter e Facebook.