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salute

Come sono diventato dipendente dal phon

Lo uso per addormentarmi, per concentrarmi mentre lavoro, per rilassarmi mentre leggo. E ovviamente, a volte, anche per asciugarmi i capelli.
Niccolò Carradori
Florence, IT

A 11 anni sono quasi andato a fuoco perché mi ero addormentato con il phon accesso. Quando leggevo mi piaceva creare una bolla di calore sotto le coperte, tenendo il ginocchio sinistro alzato e infilando il phon nell'intercapedine del lenzuolo: un escamotage che avevo messo a punto dopo anni di esperienza. Quella volta, però, mi sono addormentato, e si è innescato un principio di incendio. Quando mia madre, attirata dalle mie urla e dall'odore acre del materasso bruciato, ha fatto irruzione in camera mia, mi ha guardato con un misto di rabbia e delusione.

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Nonostante sia quasi rimasto carbonizzato, il trucco delle lenzuola continuo ad utilizzarlo ancora oggi, praticamente tutte le sere: perché, come molte altre persone in tutto il mondo, sono dipendente dal phon. Lo uso per addormentarmi, per concentrarmi mentre lavoro, per rilassarmi mentre leggo, e a volte anche per stimolare la peristalsi quando faccio la cacca. Lo sto usando anche adesso, mentre scrivo questo articolo. E ovviamente lo uso anche per asciugarmi i capelli, a volte.

Sui giornali escono ciclicamente pezzi sulla gente che si fissa col phon, e c'è sempre qualcuno che me li posta in bacheca su Facebook. L'ultima volta è successo qualche giorno fa, dopo la comparsa di un articolo tramandato di pubblicazione in pubblicazione con titoli che culminavano ne "L'ultima ossessione è drogarsi con il phon" di Dagospia. Nei commenti si creano sempre delle discussioni fra chi ne è ossessionato, e chi non riesce a capire come si possa provare un attaccamento quasi affettivo verso un elettrodomestico. Quindi, dopo aver scoperto di essere uno dei 'giovani' dipendenti da questa 'nuova droga', ho pensato di provare a spiegare la mia esperienza.

Come in una classica storia di dipendenza, posso quasi dire che a causarmi questa fissazione sono state le cattive compagnie. Quando era ancora un neonato, mia nonna scoprì che l'unico modo per far addormentare mio fratello era quello di accendere il phon, e io ho passato tutta l'infanzia con questo rumore di sottofondo. Inizialmente ricordo che mi dava piuttosto fastidio, ma con il passare del tempo ho scoperto che se i nostri genitori vietavano a mio fratello di usarlo a letto, la sera avevo difficoltà ad addormentarmi.

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Allora cominciai a usarlo anche quando ero solo, e mi resi conto che era incredibile. Il rumore sordo e continuo aveva due effetti ben distinti: quando ero stanco, mi faceva addormentare di colpo—senza quella fase di sonno leggero e quasi cosciente—mentre quando ero impegnato in qualche attività (come ad esempio studiare) mi aiutava a concentrami, isolandomi da tutti gli altri rumori della casa. C'era uno strano senso di sicurezza e intimità, come quando ti nascondi in un luogo piccolo e caldo dove nessuno può disturbarti.

Ottobre 2012. Ho postato questa foto su Facebook con la didascalia "Non dire altro, sposami."

Poi c'è il piacere "fisico" del getto d'aria: d'inverno provo quasi soddisfazione nell'avere freddo, se ho la possibilità di usare il phon, e spengo il riscaldamento. Mi capita di stare in mutande e maglietta solo per sentire meglio l'aria sulla pelle. Uno potrebbe giustamente dire "sei un coglione, comprati una coperta elettrica," ma non è la stessa cosa. Confrontandomi con altri dipendenti da phon, ho scoperto che ci sono diverse scuole di pensiero da questo punto di vista. C'è chi se lo punta in faccia, chi sullo stomaco, chi sulle mani, chi lo mette sul fondo del letto e si mette in posizione fetale, puntandolo verso il retro delle cosce. Personalmente lo stile che preferisco, è quello che ho ribattezzato "la posizione del loto": si sta seduti con le gambe nude incrociate, con il phon in una mano e il getto indirizzato nella spazio che si crea fra le gambe e lo stomaco. Volendo si può utilizzare una coperta, da sistemare attorno alle spalle e alla schiena, in modo da creare una cappa che irradia tutto il calore passivo sul corpo.  Quando mia madre—che aveva cominciato a essere stufa di pagare bollette della luce che avrebbero soddisfatto il fabbisogno energetico di un paese in via di sviluppo—ci impediva di usarlo, mio fratello e io ne compravamo uno di scorta e lo nascondevamo, pronti a utilizzarlo non appena fosse uscita di casa. A volte facevamo dei phon party, e ci mettevamo a leggere nella stessa stanza, con un asciugacapelli a testa. Se mia madre scopriva i phon di riserva, ne compravamo altri ancora. In un certo periodo, fra quelli vecchi che mia madre aveva nascosto e poi ritrovato e quelli che avevamo comprato noi, ne giravano sei per la casa.

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Avevamo sviluppato anche tutta una serie di competenze tecniche: quale tipologia di phon emette la tonalità più gradevole (Remington professionale da parrucchiere), come ripulire il filtro metallico della ventola se è ostruito dalla polvere e si inceppa, come puntare il phon mentre si studia senza che l'aria faccia volare tutte le pagine e i fogli, come fissare il propulsore a molla dell'aria fredda con lo scotch per continuare a usarlo durante l'estate. In effetti, credo che il punto d'interesse più profondo che ho sviluppato con mio fratello durante l'infanzia e l'adolescenza sia stato quello relativo a questo elettrodomestico. Tanto che quando lui se n'è andato a studiare in un'altra città, abbiamo deciso di istituire una "giornata annuale del phon", che per un motivo del tutto arbitrario cade il secondo fine settimana di novembre. Ogni anno ne compriamo uno nuovo.

Avevo—e ho—un rapporto così familiare con il phon, che quando me ne sono andato di casa è stata una delle cose che mi è mancata di più. Mi vergognavo di spiegare questa fissazione ai miei coinquilini, e quindi lo utilizzavo solo quando ero certo che non fossero in casa. I primi tempi avevo difficoltà ad addormentarmi, e passavo un sacco di tempo con gli occhi fissi sul soffitto ad ascoltare tutti i rumori che non venivano attutiti dal phon.
Quando ho cominciato a lavorare in ufficio, poi, ho scoperto che esistevano centinaia di registrazioni di phon su YouTube, e passavo quasi tutte le ore di lavoro con le cuffie, ascoltando file di rumore bianco.

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Proprio da internet si può avere poi un'idea della dimensione reale del fenomeno: alcune registrazioni di phon raggiungono i 12 milioni di visualizzazioni, ed esistono moltissimi forum di persone che si confrontano fra di loro sulla questione. Ovviamente a corollario di ciò esistono veri e propri studi psicodinamici per capire le motivazioni che stanno dietro a questa dipendenza. In questo articolo pubblicato dalla Dott.ssa Laura Pizzarrone, ad esempio, si analizza il senso di "attaccamento" che il rumore dell'asciugacapelli può provocare.

"Senso di pace e benessere interiore; mezzo di rilassamento; mi aiuta a pensare e riflettere; mi aiuta a studiare; mi isola e mi protegge; mi facilita il sonno; mi coccola; non mi abbandona mai; mi tiene calda nel corpo e nell'anima. Queste sono solo alcune delle motivazioni che ho ricevuto al comportamento di dipendenza. Ognuno attribuisce a questa sua ossessione un'importanza differente. Spesso la persona si rassicura avendone più di uno in casa […] motivando la sua scelta con la possibilità che si potevano rompere o danneggiare uno dopo l'altro. Generalmente e solo in caso di dipendenza, il phon viene acceso per circa 7/8 ore al giorno, ma in alcuni casi è possibile utilizzarlo anche di notte e/o per addormentarsi."

Questa descrizione rasenta in modo quasi preoccupante il mio rapporto con il phon: oggi che sono tornato a vivere da solo lo suo mediamente sei/sette ore al giorno (anche per addormentarmi), ne ho più di uno in casa, e provo praticamente tutti i sentimenti descritti dai pazienti della dottoressa.

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Quello che mi ha lasciato più perplesso, però, è la motivazione psicologica fornita: "studi approfonditi di psicologia dinamica sostengono che il rumore del phon ricorderebbe alla persona i rumori intrauterini che il feto sente durante la gestazione, e che in alcuni individui, in cui il processo di separazione dalla figura di accudimento primario non sia avvenuto correttamente per diversi motivi, ritornare, anche solo inconsciamente, nello stato embrionale arrechi un profondo senso di sicurezza e protezione," "un legame con il proprio legame dipendente", "una simbiosi con il proprio caregiver." Ora: avendo studiato psicologia all'università, tendo a prendere tutte questa teorie infantili con le pinze, perché spesso sono delle cazzate. Però è vero che i rumori continui mi fanno sentire al sicuro, e non mi capita solo con il phon: se la vicina di casa passa l'aspirapolvere, o se sono nella cuccetta di una nave in cui si sente il rumore costante dei motori di sottofondo, mi tranquillizzo quasi fisiologicamente. È proprio una sensazione di calore e benessere sordo, come quando prendi uno xanax.

A quanto pare, però, c'è chi sta peggio di me. L'utilizzo del phon può raggiungere anche livelli invalidanti: "si innesca un meccanismo di abituazione. La persona non riesce più a compiere determinate azioni quotidiane senza ciò che il phon produce. […] Ci tengo a precisare che questa pratica diventa di interesse clinico quando inizia ad interferire in modo significativo con le normali abitudini della vita quotidiana di una persona, compromettendo la vita familiare, la vita sociale e lavorativa."

Io non ho mai raggiunto questo livello—se non posso usare il phon quando vorrei un po' mi girano le palle, ma poi me ne faccio una ragione, un po' come quando vorrei fumare ma ho finito le sigarette—quindi si può dire che sono un consumatore forte, ma non preoccupante. Alla fine potrei benissimo stare senza phon, se volessi.

E penso che sia arrivato il momento di cominciare a valutare seriamente di smetterla. Un po' perché ho quasi 30 anni, e la prospettiva di rinchiudermi in uteri di compensazione mi turba abbastanza. Ma soprattutto perché il problema sembra quasi endemico: adesso che sono cresciute, anche le mie sorelle più piccole hanno iniziato a usare il phon mentre studiano, e mio padre è disperato. Probabilmente dovremo ipotecare la casa per pagare la prossima bolletta della luce.

Thumbnail via Wikimedia Commons.