Cibo

Perché i ristoranti per vegetariani in Italia devono far schifo per forza?

Sono vegetariana, ma non vado mai nei ristoranti vegetariani perché probabilmente mangerò male. Ma le cose stanno cambiando.
Lavinia Martini
Rome, IT
Ristoranti-vegetariani-italiani
Foto by Getty

Se c’è una cosa che rende i vegetariani tristi, quello per davvero, è l’essere trascinati in quel luogo di perdizione che sono i ristoranti vegetariani.

Sul piatto naviga il magico trio delle verdure grigliate: melanzane, peperoni, zucchine. Che sia agosto o gennaio, sono cosparse di prezzemolo, in gloria agli anni ’80, un filo d’olio, sale con moderazione. Non è tanto tristezza quanto malinconia culinaria: come l’incontro con una vecchia conoscenza. “Ancora tu – Eh sì, eccoci qua”.

Pubblicità

Il destino di un vegetariano a tavola - non quella di casa sua ma quella di un ristorante - è scandito da momenti così. A scorrere il menu occhieggiando piatti dalla composizione incerta, a chiedere spiegazioni al cameriere con un filo di voce, a ripiegare infine sull’opzione bimbi: penne al pomodoro e non se ne parli più. Sembra la condanna a una vita triste, perché funestata da un’alimentazione privata delle gioie del ragù della domenica, della frittura di pesce delle gite al mare, nel mio caso, della fettina panata di nonna Assunta, classe 1921.

Essere vegetariani significa anche osservare da vicino quanta sia poco diffusa la cultura del cibo e della stagionalità. La mia amica Viviana, vegetariana da dieci anni, racconta spesso questo episodio: “Otto anni fa dovevo andare con la mia famiglia in un ristorante che prevedeva un menu fisso. In fase di prenotazione facciamo presente che c’è una persona vegetariana perché l’antipasto comprende solo carne e affettati. E in effetti avevano preparato qualcosa di diverso per me: una parmigiana di melanzane, con il prosciutto. L’ho fatto presente e mi hanno portato una mozzarella e del fritto di pesce. Mi sono arresa, ma non era la prima volta che succedeva”. 

Sono abbastanza certa che l’ambizione massima di un vegetariano non sia quella di mangiare in un ristorante che accolga solo i suoi simili, ma quella di uscire e trovare almeno un paio di opzioni mentre gli amici e i parenti si godono un menu normo-dotato

Pubblicità

Se c’è una cosa che rende i vegetariani tristi, quello per davvero, è l’essere trascinati in quel luogo di perdizione che sono i ristoranti vegetariani. Posti scialbi dalla cucina priva di fantasia, dove ordinare quei 3-4 piatti che si riciclano di menu in menu. Caprese, hummus, millefoglie di zucchine, spaghetti al pesto di rucola, tofu grigliato: se ci fosse Il Talismano della Felicità dei piatti veg, questi qui guiderebbero la lista. 

Sono abbastanza certa che l’ambizione massima di un vegetariano non sia quella di mangiare in un ristorante che accolga solo i suoi simili, ma quella di uscire e trovare almeno un paio di opzioni mentre gli amici e i parenti si godono un menu normo-dotato. “Io non vado di solito nei ristoranti vegetariani – mi dice sempre Viviana – e nemmeno li cerco. Piuttosto leggo molto attentamente i menu. Che è un’altra cosa”. Non tutti i vegetariani praticano l’evangelizzazione: alcuni se ne infischiano di quello che mangiano gli altri, preferiscono essere inclusi, godersi la convivialità, non rimanere soli nell’angolo di uno zoo per mangiatori di foglie.

I vegetariani in Italia crescono fino a raggiungere nel 2020 il picco storico: sono il 6,7% della popolazione, i vegani sono il 2,2%

Ma facciamo un passo indietro. Stiamo forse dicendo che tutti i ristoranti vegetariani fanno schifo? Neanche per sogno. Ma in Italia sono diversi i fattori per cui molti di noi fanno fatica a ricordarne uno decente. Motivi che hanno a che fare non solo con il cibo, ma anche con quello che gli gira intorno. Se è vero che mangiare fuori non è solo necessità, ma anche ricerca di un momento da condividere, un’occasione di gratificazione, è vero anche che l’esperienza garantita da un’insegna vegetariana, almeno in Italia ed almeno fino ad oggi, non ha soddisfatto nessuna di queste aspettative. Fuori dal nostro paese invece ci sono delle mete che ti fanno sognare solo dal feed di Instagram: penso al Root di Bristol, il Bodhi a Sidney, il VeVe a Copenaghen. 

Pubblicità

A pervadere i menu una certa monotonia, frutto di misunderstandig che assimila il vegetariano al salutista. Sarà per questo che nei vegetariani si bevono centrifughe e mai cocktail, estratti e non bocce di champagne.

Nel nostro caso a piatti poco fantasiosi faceva spesso da contorno un arredamento essenziale, ospedaliero, che rendeva più simile la cena fuori a uno spuntino nel self-service dell’Ikea. A un look monastico, rinvigorito da piante di plastica e tavoli in finto legno, si aggiungevano nomi da manuale di marketing per vegetariani: Orto, Il Vegetariano, 100% Bio, Amico Bio, Mangiafoglia, Cavoli Nostri. C’è un locale a Napoli che ha scelto una versione campanilizzata, “O’ Grin”: almeno qui c’è dell’ironia.  

A pervadere i menu una certa monotonia, frutto di misunderstanding che assimila il vegetariano al salutista, lo sportivo, l’ipocalorico. Sarà per questo che nei vegetariani si bevono centrifughe e mai cocktail, estratti e non bocce di champagne. A imprimere il sigillo finale, vero marchio di fabbrica di genere, il colore verde declinato nelle sue più disparate tonalità, a ricordarci che siam lì a mangiare erba, non a goderci la vita. Una sintesi di approcci fallimentari che hanno portato i ristoranti vegetariani ad essere frequentati esclusivamente da un pubblico di nicchia o, nella maggior parte dei casi, nemmeno da quello. In questa lista dei ristoranti vegetariani di Roma del 2014, la metà risulta chiusa definitivamente. 

Pubblicità

Una volta chiesi a una cuoca, vegetariana da 11 anni, di suggerirmi alcuni indirizzi interessanti. Dopo qualche minuto di attesa, nella chat erano comparse solo tre parole: “È davvero dura”. In una conversazione precedente mi aveva raccontato che dai suoi amici il ristorante vegetariano era considerato come una tipicità ed equiparato a una cena cinese o giapponese. Che spesso i ristoranti di questa categoria ne interpretavano le indicazioni virando sul buffet, nulla che comprendesse una cucina elaborata o identitaria, magari anche fusion o internazionale. Une breve ricerca per immagini su Google per la parola chiave ristorante vegetariano vi conferma questa tendenza: rappresentano quasi tutte buffet di verdure. Non è strano per un paese che detiene una ricchezza di piante da primato e un patrimonio di ricette vegetali invidiabile? 

schermata google ristoranti veg.png

La pagina dei risultati di Google Immagini quando cerchi "Ristorante Vegetariano". Screen dell'autrice

Oggi succede che ci stiamo lasciando il passato alle spalle a piccoli passi. I vegetariani in Italia crescono fino a raggiungere nel 2020 il picco storico: sono il 6,7% della popolazione, i vegani sono il 2,2%. In totale è l’8,9%: significa che quasi 1 su 10 dei vostri amici non mangerà carne e pesce a tavola con voi. Allo stesso modo si diffonde la consapevolezza che limitare il consumo di carne e pesce sia necessario per la nostra sopravvivenza all’emergenza climatica: nel 2020 la spesa vegetariana e vegana è cresciuta del 25% rispetto all’anno precedente. 

Pubblicità
Altatto Milano .jpg

Alcuni piatti di Altatto. Foto per gentile concessione degli intervistati

Le insegne vegetariane si stanno trasformando. Al Tatto a Milano ne è un esempio. Qui lavorano 4 cuoche che vengono dal mondo del fine dining e che hanno messo nell’indirizzo di Via Comune Antico identità sia nei piatti che nell’esperienza. “Abbiamo costruito un piccolo gioiellino, sulla base della nostra idea di ristorazione – mi racconta Sara Nicolosi dalla cucina – Questo è un ristorante come un altro, e il nostro obiettivo era proprio non avere niente di meno di una qualsiasi insegna di alta cucina. In passato ho notato che dietro i ristoranti vegetariani ci sono meno anime, imprenditori che pensano subito all’insegna verde e alla bowl di riso e quinoa. Qui noi siamo proprietarie e chef, e abbiamo messo tutto quello che avevamo in questo progetto. Siamo sicuramente in una fase di grande cambiamento, che ci aiuta a superare un enorme pregiudizio. In moltissimi ristoranti la proposta vegetariana comincia a crescere. Ci vengono a trovare ragazzi con ristoranti vegetariani da tutta Italia. Sono abbastanza sicura che in breve ogni città avrà la sua insegna di questo tipo. Fino a qualche anno fa, se arrivava un vegetariano al ristorante era il panico. Oggi non è più concepibile che non ci sia qualcosa di studiato anche per loro”. 

altatto chef milano.jpg

Altatto Milano.

Accanto a esempi come questi, si fa sempre più strada una cucina vegetale che non risparmia nemmeno le trattorie. Per restare a Milano, dove si trova anche il primo e unico ristorante vegetariano con una stella Michelin, il Joia di Pietro Leemann, la cucina vegetale si pratica bene da Tipografia Alimentare, da Røst, da Erba Brusca che può attingere direttamente al suo orto. A Roma la strada l’ha segnata RetroBottega, sia con la raccolta diretta di erbe spontanee che con diversi menu che mettevano davvero al centro del piatto e della ricerca questa materia prima: le verdure. Poi anche Barred, la cucina italo-danese di Marigold e quella biodinamica di Centorti, infine il nuovo Roots. Fuori da Roma Gigliola a Lucca e Ahimè a Bologna sono insegne da tenere d’occhio.  

Pubblicità
Retrobottega Matteo Bizzarri.jpeg

Alessandro Miocchi di Retrobottega. Foto di Matteo Bizzarri per gentile concessione degli intervistati

È un ritorno alle origini, quando un menu solo di carne o pesce era pensabile al massimo ai catering dei matrimoni e qualsiasi italiano per dirsi tale aveva un orto da cui attingere almeno un cespo d’insalata. Scelta, estetica, molta fantasia, anche food-porn: oggi si è tornato a sperimentare coi vegetali e a restituire a questi ingredienti un ruolo primario nella nostra alimentazione, rendendoli parte importante di quella goduria che dovrebbe essere sempre, un pranzo fuori.

Segui Lavinia su Instagram


Segui MUNCHIES su Facebook e Instagram