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Nell'immagine: grafica sulla base del MERS-CoV, non corrispondente al SARS-CoV-2. Originale via NIAD.
Attualità

Le cose che bisogna sapere sull'epidemia di coronavirus in Italia

Perché ci sono stati così tanti casi, quali sono i numeri per le emergenze e cosa stanno facendo le autorità per rallentare il contagio.
Leonardo Bianchi
Rome, IT

[Articolo aggiornato il 28 febbraio]

Secondo la Protezione Civile il numero dei contagiati dal nuovo coronavirus (SARS-CoV-2) in Italia ha superato le 650 unità. I casi sono principalmente concentrati in Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna e Liguria; ma altri sono stati individuati in Piemonte, Toscana, Sicilia, Marche, Lazio, Campania, Abruzzo, Puglia e nella Provincia autonoma di Bolzano. I decessi sono 17: si tratta di persone anziane, e che avevano già patologie pregresse.

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L’Italia è così diventato il terzo paese al mondo per i casi di coronavirus confermati, dietro alla Corea del Sud e la Cina. Di seguito, dunque, un po’ di informazioni utili e pareri di esperti che si sono espressi in questi giorni.

CI SONO STATI COSÌ TANTI CASI DI CORONAVIRUS PERCHÉ CI SIAMO MESSI A CERCARLI

Partiamo da qui: secondo la virologa Ilaria Capua, l’impennata del numero dei casi non è legata a particolari errori o mancanze; piuttosto, deriva dal fatto che “semplicemente abbiamo cominciato a cercarli.” In altre parole, “abbiamo iniziato a porci il problema se certe gravi forme respiratorie simil-influenzali fossero o meno provocate dal coronavirus. Sino a due settimane fa non avevamo nemmeno a disposizione, negli ospedali cittadini, i test diagnostici per riconoscerlo.”

Per l’epidemiologo Pier Luigi Lopalco, è verosimile che in Italia si sia già alla “terza generazione di casi.” Presumibilmente, dunque, il virus è iniziato a circolare “verso la fine di gennaio, quando ancora l’allerta non era al massimo e i voli non erano bloccati: vari soggetti avranno preso l’infezione magari senza accorgersene e in forma leggera.”

Il problema è che attualmente non è stata ancora individuata la “catena di contagio”; mancano infatti i “pazienti zero” nei focolai in Lombardia e Veneto. Di fronte a ciò, dice Capua, il nostro “unico strumento di lotta” è rallentare il contagio con tutti i mezzi disponibili.

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COSA STANNO FACENDO LE AUTORITÀ PER RALLENTARE IL CONTAGIO

Il focolaio più esteso si trova in provincia di Lodi, a cavallo tra i comuni di Codogno, Terranova, Castiglione, Casalpusterlengo, Somaglia, San Fiorano, Bertonico, Maleo, Castelgerundo e Fombio. Da sabato 22 febbraio nell'area (in cui risiedono circa 50mila persone) ci sono blocchi stradali presidiati dalle forze dell’ordine per controllare i movimenti in entrata e in uscita. La stessa misura è stata estesa anche a Vo’ Euganeo, in provincia di Padova.

Da domenica, in Lombardia sono entrate in vigore pesanti misure restrittive. Musei, cinema e tetri resteranno chiusi per una settimana, mentre i bar dovranno chiudere tra le 18 di sera e le 6 di mattina.

In diverse regioni del Nord Italia sono inoltre sospese le lezioni nelle scuole e nelle università. Per ora i mezzi pubblici continuano a funzionare. Diverse aziende hanno però chiesto ai propri dipendenti di raggiungere gli uffici in altri modi, oppure di lavorare da casa.

Secondo il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, l’impatto del coronavirus sul Pil dell’Italia potrebbe pesare di oltre lo 0.2 percento.

COME RIDURRE IL RISCHIO DI CONTAGIO DA CORONAVIRUS

Per ridurre il rischio di contagio, valgono sempre le raccomandazioni del Ministero della Salute e dell’Organizzazione Mondiale delle Sanità: lavarsi spesso (e bene) le mani, almeno per 60 secondi, evitare il contatto ravvicinato con persone che soffrono di “infezioni respiratorie acute,” non toccarsi occhi, naso e bocca, e coprirsi quando si starnutisce o tossisce.

Altra cosa molto importante: se si hanno sintomi—febbre o tosse— non bisogna andare in pronto soccorso o in ospedale per nessun motivo.

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QUALI SONO I NUMERI DA CHIAMARE PER IL CORONAVIRUS

Oltre al proprio medico curante, il governo e diverse regioni italiani hanno messo a disposizione dei numeri telefonici da contattare per casi sospetti di coronavirus o per avere informazioni.

Dal 27 gennaio il Ministero della Salute ha aperto il numero 1500, attivo 7 giorni su 7 dalle 8 alle 20. In caso di sintomi seri, tra cui problemi respiratori, è comunque indicato chiamare il 118.

La regione Lombardia ha istituito il numero verde 800 894545, che chi risiede nelle aree più colpite può contattare “nel caso in cui accusino sintomi influenzali o per ricevere delucidazioni in merito a dubbi e necessità legate all’emergenza coronavirus.”

Anche il Veneto ha aperto un numero verde, 800 462340, per chi teme “di essere entrato in contatto con soggetti infetti, ma che non ha alcun sintomo o che presenta sintomi lievi come febbre e/o tosse senza difficoltà respiratoria.”

La Siems (Società scientifica italiana dell’Emergenza sanitaria) ha invitato comunque a contattare questi numeri “solo in casi di vera emergenza, per non intasare le centrali e rendere meno efficace il soccorso per i casi gravi.”

DOVE TROVARE INFORMAZIONI UTILI, E DOVE NON INFORMARSI

Il Ministero della Salute ha delle linee guida sul coronavirus, che potete trovare qui. La Protezione Civile ha una sezione dedicata all’emergenza coronavirus. L’Istituto Superiore della Sanità ha una pagina informativa su trasmissione, prevenzione e trattamento. La Croce Rossa ha invece dei consigli su mascherine e farmaci.

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Vanno assolutamente evitate invece le catene su WhatsApp e gli audio inoltrati di cui non si conosce la provenienza. Inutile dire che intasare i gruppi Facebook del proprio comune con informazioni fuorvianti, notizie non verificate (soprattutto su casi sospetti), teorie del complotto su laboratori segreti e falsi screenshot di testate non è un grande idea.

Così come non ha molto senso rilanciare, anche solo per indignarsi, le prime pagine di certi quotidiani—sapete già di chi si parla.

QUANTO È PERICOLOSO IL NUOVO CORONAVIRUS

Sempre secondo la virologa Ilaria Capua, ormai sappiamo che il virus è fortunatamente meno letale di quello che si temeva.

“Tanto più scopriamo casi pregressi e passati inosservati,” scrive su Fanpage, “tanto meglio è. Perché vuol dire che il numero degli infetti è maggiore di quanto pensavamo. E il potenziale letale del virus, molto minore.”

Per il direttore dell’istituto di genetica molecolare del Consiglio nazionale delle ricerche Giovanni Maga, in base ai “dati epidemologici disponibili su decine di migliaia di casi,” nell’80-90 percento dei casi chi contrae il coronavirus ha sintomi “lievi e moderati” simili all’influenza. Nel 10-15 percento può svilupparsi una polmonite, il cui decorso “è benigno in assoluta maggioranza.” Per il 4 percento dei pazienti può invece richiedersi un ricovero in terapia intensiva.

Le complicanze aumentano ovviamente con l’età, e i rischi maggiori li corrono le persone sopra i 65 anni che hanno patologie pregresse o sono immunodepresse.

Dal momento che non c’è ancora un vaccino, il vero problema di questa malattia è legato ai numeri: “Se il contagio coinvolgesse tantissime persone, correremmo rischi gravissimi.” Per questo è il momento di fare “il più grande sforzo di responsabilità della nostra epoca.”

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