Salute

Dopo questi due mesi, ho paura di non saper tornare alla 'vita di prima'. Perché?

Questi nuovi ritmi mi sembrano molto più umani—e forse, più che aver paura di non saperlo fare, non voglio proprio farlo.
Vincenzo Ligresti
Milan, IT
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ILLUSTRAZIONE DI  MATTEO DANG MINH.

In questa quarantena, fase 2 inclusa, abbiamo un sacco di domande su cosa sta capitando al nostro modo di rapportarci con noi stessi, col mondo e con gli altri. Per questo abbiamo pensato a un appuntamento periodico, una specie di angolo in cui raccogliere i nostri pensieri, metterli sotto forma di domanda e lasciare che sia un esperto a rispondere.

Domanda: A primo impatto potrà suonare strano, ma la verità è che ho una paura fottuta di tornare alla vita che conducevo prima della pandemia. Questa nuova condizione fa indubbiamente schifo sotto moltissimi punti di vista, ma mi ha anche aperto gli occhi. I ritmi di prima erano folli, spesso senza alcuna ragione, e fermarmi me l'ha fatto capire davvero per la prima volta.

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Solo l’idea di spendere per una cena con persone che in realtà non mi piacciono, lavorare fino a tardi per una consegna che non cambierà le sorti del pianeta, o ancora pensare di dover tornare sotto i riflettori del giudizio degli altri mi turba. Ma la possibilità che tutte queste stupidaggini che credevo necessarie potrebbero mutare irreversibilmente mi spiazza profondamente.

È un pensiero lecito, o sono tutte scuse per evitare di dovermi confrontare con una realtà cambiata profondamente, che cambierà ancora, sarà cadenzata dai contagi, e che quindi crea ansia? Non ci sto capendo molto. Non so chi sarò. Cosa vorrò davvero. Penso che dovrei risparmiare dei soldi. È tutto così incerto. Passerà? Aiuto.

Risposta di Laura Guaglio, psicologa e psicoterapeuta specializzata in gestione e superamento di eventi traumatici ed emotivamente stressanti:

All’inizio per molti la quarantena è stata dura—ci si è sentiti frustrati, arrabbiati, vuoti—ma pian piano abbiamo trovato una nuova dimensione più personale e personalizzante del solito. Abbiamo scoperto dei nuovi ritmi, per nulla perfetti, che forse però ci piacciono di più.

Questo perché la situazione lo imponeva, e l’essere umano ha da sempre grandi doti adattive, capacità di ritagliarsi un pezzo di mondo, resistere anche nelle situazioni più avverse—anche se potrebbe pagare, alle volte, delle conseguenze pratiche ed emotive enormi.

La verità è che non vivremo per sempre questa situazione. Non si sa se migliorerà, peggiorerà, ci darà tregua. Ma una cosa sembra chiara: non torneremo presto alla “normalità”, o per lo meno a quella che chiami “la vita di prima”. La vita di prima non c’è più e conviene farci i conti, proprio come stai iniziando a fare tu. È una consapevolezza a cui, chi prima chi dopo, giungeremo tutti.

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È quindi legittimo in questa fase di rivalutazione di sé e a 360 gradi, sentirsi un contenitore di sensazioni, emozioni, contraddizioni. In questi giorni i pensieri sulle difficoltà del periodo aggravano o si sommano a problemi con cui dovevi già magari confrontarti prima, ed è un carico di stress non indifferente da gestire.

Quindi non è sbagliato cercare di capire, volgendo lo sguardo al passato, quali sono le nuove priorità per noi: se ho sprecato delle serate con amicizie che non mi hanno mai reso felice, è giusto pensare che senso avrebbe continuare a vederle? Se ho lavorato molto più del dovuto per vana gloria, forse dovrei domandarmi perché dovrei continuare a farlo? Una pandemia è, paradossalmente, un ottimo momento per capire come non sprecare più il proprio tempo.

Questo non esclude le perplessità su un futuro incerto che cerchi di gestire nel modo più razionale possibile, seppur mosso dalla paura molto forte di un contagio o di perdere qualcosa, per esempio il lavoro.

Diverso è il caso in cui si voglia evitare di rivedere la gente per paura di un giudizio sul nostro aspetto. Questo periodo di solitudine, vissuto in una bolla con pochi reali confronti, potrebbe aver acuito per alcuni problemi legati all’accettazione di sé e di autostima. O al contrario, dopo mesi di tuta e isolamento, con una pandemia in corso, aver rimpicciolito di molto l’importanza che davamo a ciò che pensano gli altri di noi.

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Quindi, pensando più al medio-termine, come saremo in queste prossime settimane? Che cosa proveremo? È ancora presto per dirlo, ma nell'incertezza potremo agire mossi da spirito di conservazione, alle volte da completa diffidenza nell'altro.

In questo senso, un indizio lo danno i primi studi condotti durante la quarantena. Secondo quello dell’Istituto Piepoli per il Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi, otto intervistati su dieci hanno detto che troverebbero utile un supporto psicologico in questa fase di transizione, mentre quello condotto dall’Enpap, l’ente nazionale di previdenza e assistenza per gli psicologi, mostra come via via che si scende con l’età la paura per la solitudine lascia spazio alle reazioni ansiose.

In generale, gli elementi più comuni sono spesso ansia, difficoltà a uscire di casa e/o a dormire, che per molti diminuiranno sempre di più nelle settimane in cui riprenderanno la loro routine. Gli altri, soprattutto chi ha sperimentato in prima persona il virus e ne è stato testimone, potrebbero avere flashback, incubi, la sensazione di rivivere l’evento traumatico, provare reazioni esagerate per stimoli neutri che non dovrebbero innescarle (si parla in questo caso di Disturbo da stress post-traumatico e a maggior ragione è necessario intraprendere un percorso di psicoterapia).

Per il resto delle domande, Chi sarò, Cosa diventerò?, alcuni se lo chiedono per tutta la vita. Ed è già un ottimo punto di partenza.

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